Manes: «Giustizia mediatica problema culturale». E Caiazza: «Sulle carriere separate solo ideologismo»

 Valentina Stella Dubbio 30 settembre 2023


La sessione pomeridiana del secondo giorno del congresso di Area in corso a Palermo si è aperta con un dialogo tra Vittorio Manes, professore di diritto penale all’Università di Bologna, e il segretario Eugenio Albamonte che lo ha stimolato su vari temi. Il primo riguardava lo stato di salute della Costituzione: “Quando ci si discosta dai principi costituzionali – ha detto Manes - la giurisdizione si sovraespone. Pensiamo al principio di legalità e all’esigenza di rispettare il testo della legge: se non la si rispetta la giurisdizione si assume delle responsabilità e dei compiti che non le sono propri. Più in generale, preoccupa lo stato di salute di alcuni principi costituzionali, specie nel lessico della politica e nella realtà quotidiana: pensiamo alla finalità rieducativa della pena prevista dall’art. 27 Cost. Ma non dimentichiamo anche la prima parte, che contiene un monito che viene prima e più in altro: “Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità”. Eppure sentiamo parlare di castrazione chimica nella civilissima Italia di Beccaria. Abbiamo troppi contesti dove i principi costituzionali sembrano sospesi, come ci ricorda dolorosamente la tragedia dei suicidi in carcere”.


Sull’informazione giudiziaria ha aggiunto: “il problema della giustizia mediatica è innanzitutto un problema culturale e non si risolve con una legge. Però credo che uno stato di consapevolezza debba essere focalizzato sulla reputazione, che spesso viene vilipesa sui media e sui social. La giustizia parallela crea poi evidenti distorsioni sulla fiducia nella giustizia istituzionale ed altrettanti effetti perversi sulla microfisica del processo, con ricadute destruenti sui diritti fondamentali. La giustizia mediatica ha più presa sull’opinione pubblica, rispetto agli elementi del processo. L’opinione pubblica crocifigge sempre. Anche se non abbiamo riscontri empirici, il giudice si vede costretto a decidere se stare dalla parte del popolo o dalla parte del diritto. Ed è sempre un rischio che un giudice debba trovarsi in questa situazione”.


In merito all’abuso di ufficio ha dichiarato: “La riforma è diventato il desiderio proibito della politica in merito alla quale si crea una tifoseria da stadio. Sono particolarmente sensibile al grido di dolore dei sindaci, avendo seguiti, da avvocato, diversi primi cittadini. Però ho l’impressione che ci stiamo misurando con un problema che non è quello reale. Con la riforma del 2020 la norma è altamente tassativa ma ci sono state iscrizioni troppo generose: si iscriva allora solo in presenza di specifici elementi indizianti. Più in generale, l’attuale dibattito appare come un canto funebre sulla presunzione di innocenza. La politica si è legata ad un giudizio di censura etica che scatta con la sola iscrizione nel registro degli indagati. Allor azzardo una proposta politica più forte: eliminiamo quelle norme e prassi che fanno scattare dalla semplice iscrizione conseguenze sul piano extrapenale. Peraltro, mi chiedo, se davvero abrogassimo l’abuso di ufficio, oltre ad eliminare un presidio di tutela che ha una sua ragion d’essere anche a tutela dei cittadini contro i soprusi, a quale espansione di altre norme assisteremmo?”


In seguito è intervenuto anche il Presidente dell’Unione Camere Penali, Gian Domenico Caiazza: “Sulla separazione delle carriere noto una forte ideologizzazione, semplificazione, indifferenza alla realtà obiettiva. L’automatismo con la perdita dell’autonomia del giudice si infrange sui casi della stragrande maggioranza delle democrazie straniere. Noi siamo orgogliosi di aver scelto il modello portoghese: pm indipendente, con indipendenza blindata in Costituzione. Ho sentito dire dal Ministro che la separazione delle carriere per noi sarebbe la panacea di tutti i mali. Ma non è così. Ci sarà una ragione per cui in tutti i Paesi con il sistema accusatorio esiste la separazione? Già vedo che adesso il discorso si orienta meglio perché basta leggere il nuovo 104 Cost. Poi sento dire da Cascini che vi si arriva sulla questione dei membri laici e sulla questione dell’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale. Ma se questi sono i problemi parliamone, non affrontiamo invece il tema come se fossimo vampiri a cui imporre il crocifisso. Quando noi – avvocati e magistrati - ragioniamo in modo non ideologizzato siamo in grado di fare grandi cose insieme, come nel caso del documento comune sottoposto all’ex Ministro Bonafede. Lega e Cinque Stelle gli dissero di no perché l’idea dello sconto di pena era impopolare”.


A seguire Dario Greco, Presidente Coa Palermo: “il populismo è imperante, l’impoverimento culturale dei nostri governanti è disarmante. Ma c’è anche il vizio dei partiti, che ho ascoltato stamattina, è rimproverare agli altri gli errori che loro stessi hanno commesso quando governano”. E poi: “il primo messaggio che dovremmo dare alla politica è di stare fermi per almeno dieci anni sui codici di rito, senza fare riforme epocali, lasciateci lavorare”. Sulla separazione delle carriere: “sono a favore ma state sicuri che non la faranno. SI tratta di un tema talmente e divisivo! E mi chiedo: possiamo dire al alta voce, con la mano sul cuore che in Italia l’azione penale è obbligatoria?”


Successivamente sono intervenuti i leader delle altre correnti dell’ANM. Il primo è stato Angelo Piraino, Segretario di Magistratura Indipedente, la cui vicinanza con il Governo è stata fortemente criticata ieri da Albamonte. Il magistrato della corrente conservatrice ha detto: “Mi sono trovato d’accordo con la prima parte della relazione di Eugenio Albamonte che, pur nella diversità delle idee, mi dispiace lasci la guida di Area. Mentre sul secondo pezzo non ho trovato sintonia: quando ha parlato di attacchi agli organi di garanzia. Io invece a guardare i provvedimenti non ho trovato ancora qualcosa che lasci pensare che ci sia un attacco alla giurisdizione, al di là di quello che si dice con slogan e invettive mediatiche. Tra gli atti parlamentari quello che resta di mettere a rischio la giurisdizione è proprio quello della separazione delle carriere. Perché cancellare il 107 terzo comma Cost che ha tutelato molto l’indipendenza interna? Chi ha pensato questa modifica, cosa aveva in testa? Non c’entra nulla con la separazione delle carriere”.


Poi è intervenuta Rossella Marro, Presidente di Unicost che si è chiesta: “Una magistratura separata, senza l’obbligatorietà dell’azione penale e con due Csm separati con sbilanciamento tra componente togata e laica, avrà la forza di tutelare gli interessi dei cittadini? Il governo del Csm spetta alla magistratura, non alla componente laica che viene pensata in osmosi con la società civile”.


Infine Stefano Musolino, Segretario di Magistratura democratica: “Vogliono rendere la magistratura inaffidabile e debole dinanzi ai cittadini. Le Camere penali sono state lo strumento per portare la riforma costituzionale in Parlamento senza apparenti responsabilità politica. C’è insofferenza verso l’indipendenza della magistratura. Mi ha organizzato un convegno sull’interpretazione della norma, per cui il giudice è bocca della legge non sia più attuale. Ma è inquietante perché secondo loro dobbiamo essere semplicemente gli esecutori del potere politico. Cosa accadrà nel mondo dei diritti, dove ci sono sempre più conflitti”. E poi si è chiesto: “E’ possibile pensare ancora ad una magistratura orizzontale? Nella mediocrità della politica impegnata ad assecondare gli stinti del popolo, dobbiamo essere saggi per preservare i diritti fondamentali”. E infine: “Quando si vuole eliminare l’obbligatorietà dell’azione penale cambia l’essenza della magistratura. Non è possibile restare autonomi e indipendenti”.

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