Giuristi divisi sulle parole di Mantovano

 Valentina Stella Dubbio 17 ottobre 2023

Giuristi divisi sulle recenti dichiarazioni del sottosegretario Mantovano che ha preso le difese del Governo sulla questione dei giudici che stanno disapplicando il dl Cutro: il compito dei giudici non è quello di disapplicare le norme non “gradite”, ma valutarne la compatibilità con la Costituzione e seguire la via della questione di legittimità. Secondo Chiara Favilli, ordinario di Diritto dell’Unione Europea all’Università di Firenze, «in caso di contrasto tra una norma nazionale e una norma dell’Ue, come ad esempio una norma del Trattato o una direttiva, che deve essere attuata, ma che comunque può produrre effetti diretti se è chiara, precisa, incondizionata, esiste in linea di principio un obbligo del giudice, a partire da quello di pace fino al Consigliere di Cassazione, a disapplicare il primo. Ciò è stato precisato dalla Corte di giustizia sin dal 1964 e tale orientamento è stato ribadito con giurisprudenza costante e accettato dalla Corte Costituzionale sin dal 1984. Sotto questo aspetto il diritto dell’Unione si contraddistingue rispetto a tutte le altre fonti internazionali, che pur vincolano lo Stato, ma non godono di questa primazia del diritto e dell’obbligo di disapplicazione. Come avvenuto nei recenti casi di cui si sta discutendo, il giudice ha semplicemente interpretato le norme, come fa sempre.  Se ha un dubbio può e potrebbe essere opportuno rivolgersi alla Corte di Giustizia, non tanto alla Consulta. A quest’ultima dovrebbe rivolgersi solo nell’ipotesi in cui individui un contrasto insanabile tra la norma UE e i diritti fondamentali della nostra Carta. Vorrei sottolineare poi che i giudici della protezione, così come quelli che si occupano del diritto dell’Unione sotto altri aspetti, sono anche inseriti in un sistema di cooperazione e formazione giudiziaria europea, sono in continuo contatto con l’Agenzia Europea per l’Asilo dell’UE, i cui membri sono nominati dai Governi, che ha tra i suoi compiti quello di uniformare il più possibile l’orientamento dei giudici a livello europeo. Il giudice non è solo nella sua stanza a confrontarsi con la norma Ue e a decidere senza altri strumenti. Ad esempio, l’Agenzia ha pubblicato nel 2018 un documento corposo sul trattenimento dei richiedenti protezione internazionale dando proprio indicazioni molte precise anche sulla garanzia finanziaria, che deve essere determinata caso per caso». Parere in parte diverso quello di Giovanni Guzzetta, Ordinario di istituzioni di diritto pubblico presso l'Università di Roma Tor Vergata: «Certamente ha ragione il sottosegretario Mantovano, alla luce dei dati normativi e giurisprudenziali, nel ritenere che il potere di disapplicazione non è un potere assoluto e generale. Il giudice può disapplicare la legge interna solo nel caso in cui la norma europea che giustifica la disapplicazione sia dotata di “effetto diretto”, sia, cioè, direttamente applicabile. Solo nel caso in cui il diritto europeo sia “chiaro, preciso e incondizionato” e tale da essere autosufficiente, da non avere, cioè, bisogno di ulteriori interventi normativi di esecuzione per poter essere applicato, il giudice può disapplicare». Ovviamente, per il costituzionalista, «se una norma europea sia chiara, precisa e incondizionata non è sempre facile da stabilire. Per questo motivo sia l’ordinamento europeo che quello nazionale prevedono delle “contromisure”. A livello europeo è previsto che il giudice possa rivolgersi alla CGUE perché questa dirima la questione attraverso la c.d interpretazione pregiudiziale. A livello nazionale, la più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale ha stabilito che, qualora la questione intercetti diritti fondamentali stabiliti dalla Costituzione e anche se la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione possa fa ritenere al giudice interno che ci si trovi di fronte a prescrizioni chiare precise e incondizionate, il giudice debba comunque investire la Consulta della questione, attesa la sua delicatezza». Comunque «è bene ribadire che la disapplicazione da parte dei giudici costituisce un’eccezione alla regola generale del nostro ordinamento costituzionale, in base alla quale, per mettere da parte una legge interna, la via maestra è quella di sollevare questione di legittimità costituzionale. Anche perché disapplicare una legge interna significa smentire una scelta riconducibile all’organo rappresentativo della sovranità popolare, il Parlamento. È dunque una scelta molto delicata, che dovrebbe indurre a un uso misurato della disapplicazione, limitato alle ipotesi in cui i presupposti siano conclamati». Invece per Andrea Morrone, ordinario di Diritto costituzionale nell’Università di Bologna, «che un giudice non convalidi un atto amministrativo di trattenimento di un migrante non può sorprendere. Deriva dal principio dello Stato di diritto che, negli ordinamenti liberaldemocratici, affida al giudice la tutela dei diritti lesi da atti arbitrari. Per valutare l’ordinanza del giudice occorre perciò guardare al merito della decisione. Nella motivazione si dà conto di un conflitto tra il provvedimento e la disciplina nazionale adottata in attuazione di una direttiva europea. Era l’unica soluzione? No. Si poteva ritenere la disciplina nazionale (dl Cutro) in contrasto o con la Costituzione o il diritto europeo. Nel primo caso, il giudice avrebbe dovuto rivolgersi alla Consulta; nel secondo interrogare la CGUE. A differenza della decisione di annullare il trattenimento, però, il rinvio ai giudici superiori avrebbe lasciato il migrante in uno stato di privazione della libertà personale. Il giudice ha il potere di scegliere cosa fare, perché la soluzione del caso non è univoca. Il problema vero è la garanzia della libertà personale, la cui limitazione richiede leggi chiare e rispettose dei principi costituzionali. Molti sono i dubbi sull’adeguatezza della nostra disciplina al valore della persona del migrante. Altri giudici si sono rivolti alla Corte costituzionale. È una strada necessaria, per sapere, una volta per tutte, se le norme nazionali rispettano la Costituzione e il diritto europeo, in modo da consentirne applicazioni eguali per tutti, e non caso per caso». 


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