Borsellino voleva far arrestare Giammanco

 Valentina Stella dUBBIO 3 OTTOBRE 2023

È proseguita ieri nella sede di Palazzo San Macuto, presso la commissione parlamentare Antimafia presieduta da Chiara Colosimo, l'audizione dell’avvocato Fabio Trizzino, legale di Lucia, Manfredi e Fiammetta Borsellino. L’avvocato è stato un fiume in piena nel cercare di ricostruire un puzzle complicatissimo, fatti di tradimenti, corvi, poteri oscuri: tutti intorno al dossier mafia-appalti e tutti causa molto probabilmente della morte di Falcone e Borsellino. Quest’ultimo era convinto che il procuratore di Palermo Pietro Giammanco fosse un «infedele».  Borsellino, ha affermato Trizzino, disse a Maria Falcone, che chiedeva insieme con Alfredo Morvillo i motivi per cui il fratello Giovanni aveva dovuto lasciare Palermo, questa frase: «State calmi perché sto scoprendo cose tremende». Borsellino, ha continuato Trizzino, aveva detto «al maresciallo Canale che voleva arrestare Giammanco o far arrestare Giammanco, e poi incontra segretamente, fuori dalla Procura, a fine giugno 1992 gli esponenti del Ros Mori e De Donno (estensore del rapporto, ndr) per parlare di Mafia e Appalti. E disse loro: ‘in Procura parlano malissimo di lei, De Donno, ma io ho preso informazioni e ho cambiato idea’. Borsellino andò dritto al punto e voleva approfondire le indagini su mafia e appalti. ‘Tutte le novità riferitele solo a me’, disse». Borsellino viene a sapere di «circostanze talmente gravi che lo hanno rafforzato nel convincimento che quel capo era un infedele» e con lui «interrompe il flusso completo delle comunicazioni». Roberto Scarpinato, a quel tempo magistrato della procura di Palermo, ora deputato del Movimento Cinque Stelle, sapeva dell'incontro segreto di Borsellino con il Ros. Scarpinato era stato «destinatario di una confidenza di Borsellino ed è Scarpinato a dircelo» in una testimonianza, ha detto Trizzino rivolgendosi poi al magistrato presente in Commissione. A quel punto la presidente Chiara Colosimo ha invitato Trizzino a rivolgersi alla Commissione e non al singolo parlamentare. «Il 25 giugno - ha proseguito Trizzino - a Casa Professa Borsellino rilascia il suo testamento spirituale: firma la sua condanna a morte, dicendo: 'Io sono testimone e so cose che devo riferire all'autorità giudiziaria'. Molti collaboratori di giustizia ci dicono che lì Borsellino si sovraespose e tra i mafiosi Salvatore Montalto riferisce al pentito Siino così: 'Cu ciu purtava a Borsellino di parrari di queste cose'». Montalto, ha aggiunto Trizzino, «è legato alla famiglia di Passo di Rigano (a Palermo, ndr) di Salvatore Buscemi». E «a chiedere a Riina di accelerare la morte di Borsellino sono la famiglia di Passo di Rigano che faceva capo ai Buscemi, che nell'archiviazione del dossier mafia-appalti vengono liquidati con tre parole», ha spiegato Trizzino che ha proseguito: «I collaboratori ci dissero che Riina si presa la responsabilità dell’accelerazione della morte di Borsellino, contemplando solo l’istanza vendicativa. Riina è in pieno delirio di onnipotenza ma non era riuscita a far togliere gli ergastoli, a migliorare la vita dei carcerati. Ma si mette in mezzo Falcone. E lui ha un problema di leadership interna. Quindi decide di far uccidere Falcone a Palermo per rivendicare la sua posizione di comando. Invece l’omicidio di Borsellino non ha senso nell’ottica di Cosa Nostra. Brusca dice: mi ero preparato per uccidere Mannino ma la deviazione arriva quando comincia a parlare Lipera e cambiano dunque obiettivo. Brusca aggiunse che Buscemi godeva dell’appoggio di  un certo magistrato all’interno della Procura». Ha poi fatto un appello: «Chiedo alla commissione di chiedere all'autorità giudiziaria competente le annotazioni del diario di Giovanni Falcone, che non sono 14 ma 39». Nelle annotazioni, ha aggiunto Trizzino, Giovanni Falcone «si lamenta del fatto che in riferimento al rapporto mafia-appalti i fedelissimi di Giammanco affermino che quel rapporto era carta straccia». A scrivere per primo delle annotazioni riguardanti il rapporto dei Ros fu Giuseppe D'Avanzo, giornalista di Repubblica oggi scomparso. E a confermare la loro esistenza «è la Sabatino (Enza, pm a Palermo, ndr.) dicendo che ne è protagonista», spiega Trizzino indicando un episodio di «umiliazione» a cui fu sottoposto Giovanni Falcone. Un giorno «Giammanco interrompe una riunione in procura togliendo a Falcone di fronte a tutti il potere di assegnare fascicoli, e il fascicolo sull'omicidio del colonnello Russo e del professore Costa viene assegnato alla pm Sabatino». Falcone decide quel giorno di andare via da Palermo: «Non poteva competere con gli appoggi politici di Giammanco, legato a Lima, e questo è un elemento che non è entrato neanche nel processo di Capaci. Disse ai colleghi: andate via anche voi, altrimenti sarete complici di questo sistema». Si tratta di annotazioni «di cui il popolo italiano non ha avuto mai disponibilità». E ha concluso: «Non viviamo più, è del tutto impossibile l'elaborazione del lutto. Noi siamo costretti a cercare la verità. È una questione di dignità e di impegno, la nostra vita, le nuove generazioni della famiglia anziché cercare di vivere la propria vita, sono costrette a impegnarsi nella ricerca della verità che non è semplice. Ho un conflitto di interessi, ma di tipo emotivo. Ai siciliani dico che il motivo per cui ci hanno messo 30 anni per fare la Palermo-Messina sta nel rapporto mafia-appalti», dove è condensato il sistema di «cointeressenza tra aziende della famiglia mafiosa di Passo di Rigano, e le società del gruppo Ferruzzi». «Un cointeressenza che sarà replicata», dice Trizzino, nella speculazione di Pizzo Sella, a Palermo». Ci sarà un proseguo durante il quale i commissari potranno rivolgere le loro domande. 


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