Intervista a Bruno Contrada

 Angela Stella Unità 8 giugno 2023

La Cassazione, rigettando i ricorsi della Procura Generale di Palermo e del Ministero dell'Economia e delle Finanze, ha confermato la riparazione per ingiusta detenzione nei confronti del dott. Bruno Contrada che abbiamo intervistato a poche ore dalla decisione.

Dottor Contrada come commenta la decisione?

Sono d’accordo con quanto detto dal mio avvocato. Io non dovevo essere processato, né mandato in carcere. Da oggi spero non di avere più a che fare con la giustizia. Tutto l’iter giudiziario che ha caratterizzato la mia vicenda non è stato solo lungo ma soprattutto motivo di grande sofferenza.

Lei è arrivato fino alla Cedu.

La decisione del 2014 della Cedu condanna l’Italia per violazione dell’articolo 3 della convenzione per essere stato io sottoposto a pena inumana e degradante. Successivamente nel 2015 sempre la Cedu ha ritenuta illegittima la precedente condanna perché per i giudici all’epoca dei fatti il reato di concorso esterno che mi era stato contestato non era sufficientemente tipizzato, quindi il processo sarebbe stato celebrato illegittimamente. Dopo queste due decisioni ci fu una sentenza della Cassazione nel 2017 che conclude così: “la sentenza di condanna emessa dalla Corte di Palermo nel 2006 è ineseguibile e improduttiva di effetti penali”. Questa è la sentenza più importante che arrivò quando io avevo già scontato tutta la mia pena: quattro anni in carcere e quattro ai domiciliari. Due anni furono condonati per buona condotta.

L’accusa si è sempre opposto al risarcimento?

La procura generale è intervenuta sempre nei due procedimenti relativi al risarcimento per ingiusta detenzione. Secondo loro non mi spettava nulla. Ci sono stati diversi ricorsi fino alla decisione di ieri. Tutto questo mi ha provocato un dolore inspiegabile. Come diceva Piero Calamandrei “il processo stesso, anche per un innocente, è una pena”.

Lei era destinato ad un risarcimento….

La fermo subito: se dovessimo parlare di risarcimento dovremmo fare riferimento all’intera mia vicenda giudiziaria durata 30 anni. Se dovessi essere risarcito per quanto accaduto, lo Stato italiano dovrebbe fare una nuova manovra finanziaria. Non esiste cifra per risarcire un danno del genere, come quello da me subito. Qui si siamo in presenza della distruzione di una vita.

Tornando alla riparazione per ingiusta detenzione, alcuni magistrati si sono opposti e alcuni giudici hanno dato loro ragione. Come se lo spiega?

Dovrebbe rivolgere a loro questa domanda. Non so perché hanno avuto questa predisposizione a non riconoscere quello che era un mio diritto. Lo vada a chiedere all’ex procuratore generale di Palermo Roberto Scarpinato e a quello attuale Lia Sava.

Lei veniva arrestato alla vigilia di Natale del 1992. Perché proprio per quel giorno? Per infliggere maggiore sofferenza?

Io per circa 40 anni, di cui 23 a Palermo, ho svolto sempre ruoli di polizia giudiziaria. Cercavano sempre di non eseguire ordini o mandati di cattura a Natale, a meno che non ci fosse un carattere di urgenza o necessità. Nel mio caso, benché non ci fossero queste due esigenze, si è eseguito l’ordine di cattura e mi hanno condotto nel carcere militare. Non c’era pericolo di fuga: avevano messo sotto controllo il mio telefono e sapevano dovrei avrei trascorso le vacanze, ossia con i miei parenti. Neanche quello di inquinamento delle prove: per il reato di cui ero accusato avrei dovuto distruggere interi archivi, come quello del Ministero dell’Interno o della Squadra Mobile dove c’erano i fascicoli delle operazioni svolte da me. E sulle prove testimoniali avrei dovuto pagare decine di persone affinché non rilevassero presunte verità. Manca anche il pericolo di reiterazione del reato: ma se veniva sospeso dal servizio come avrei fatto a reiterarlo? Quindi ho fatto 31 mesi e 7 giorni di custodia cautelare in attesa del processo senza che ricorressero queste condizioni. E perché mi hanno arrestato il giorno di Natale?

Me lo dica lei.

Anche qui bisognerebbe chiederlo a chi chiese di arrestarmi: Ingroia, Scarpinato, Natoli, Morvillo, Lo Forte e a chi sottoscrisse quella richiesta ossia il procuratore facente funzioni Vittorio Aliquò. Ma bisognerebbe anche domandarlo al il Gip del Tribunale di Palermo, dott. Sergio La Commare, che non fece altro che copiare integramente la richiesta della Procura.

Qualcuno anche all'interno delle istituzioni ha remato contro di Lei?

Certo, all’interno delle mie istituzioni con l’aiuto di persone che per anni ho perseguito e mandato in galera. Dobbiamo contestualizzare: siamo nel 1992, l’annus horribilis della prima Repubblica. È l’anno di Tangentopoli ma anche di Mafiopoli. In quest’ultimo filone finii anche io. Ma quell’anno fu orribile anche per Giulio Andreotti, per il presidente Carnevale, per l’ex Ministro Mannino. È difficile sintetizzare quello che accadde in quegli anni e come si arrivò a condannare un uomo come me, che non aveva mai neanche una multa, a dieci anni di carcere. Posso solo dire che tutte le accuse che mi sono state rivolte erano tutte false.

Ma il problema non sono i pentiti e i delinquenti che hanno parlato ma coloro che gli hanno creduto nella magistratura.

Loro hanno fatto il loro mestiere di criminali. Avevano messo bombe, sciolto gente nell’acido, appiccato incendi, ucciso persone. Cosa poteva importare loro di fare un reato piccolo di calunnia o diffamazione nei miei confronti? Hanno denunciato addirittura i loro figli o i loro genitori. Erano capaci di tutto e non vedevano l’ora di accusare uno sbirro. I pentiti poi lo hanno fatto per il loro tornaconto personale. E i magistrati hanno creduto a loro per la parte che interessava. Perché ad altri pentiti non hanno creduto perché non dicevano le cose che dovevano dire.

Nonostante tutto, quando vediamo alcune trasmissione che parlano di Mafia alcuni giornalisti fanno sempre riemergere il sospetto accusatorio su di lei.

Devono per forza fare così, altrimenti dovrebbero dichiarare apertamente ed umilmente e umanamente il loro fallimento.

In tutti questi anni ha ricevuto delle scuse da qualcuno?

Da nessuno. Né da quelli che mi hanno accusato né dagli uomini delle istituzioni. 

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