Intervista a Oliviero Mazza

 Valentina Stella Dubbio 30 giugno 2023

La notizia di ieri riguardante l’ex senatore di Forza Italia ed ex presidente dell'Assemblea Regione Siciliana, Gianfranco Miccichè, presunto acquirente di droga da parte del ristoratore palermitano Mario Di Ferro, da ieri ai domiciliari, apre una serie di questioni. Un non indagato è finito sulle pagine di tutti i giornali perché il suo nome appariva nell’ordinanza di custodia cautelare. Tutto normale? Ne parliamo con il Prof. Avv. Oliviero Mazza, Ordinario di Diritto processuale penale Università degli Studi di Milano-Bicocca.

Non è stata una importante mancanza non prevedere modifiche in merito alla pubblicazione dell'ordinanza di custodia cautelare nella ormai non tanto nuova normativa sulla presunzione di innocenza?

Temo proprio di sì. L’ordinanza cautelare è un compendio degli atti di indagine e la sua pubblicazione consente di aggirare ogni divieto riferito agli esiti delle investigazioni. Il problema è ben noto, ma finora è stato affrontato solo con un timido divieto di inserire nella motivazione di tale provvedimento riferimenti non essenziali alle intercettazioni.

Ricorda chi ha semplificato l'accesso da parte dei giornalisti alle ordinanze cautelari?

In realtà, il segreto investigativo non è stato pensato con riferimento alle decisioni del G.i.p.. Solo nel 2017 è stato esteso ai provvedimenti in materia di intercettazioni, ma tuttora restano escluse le decisioni cautelari che, non essendo coperte dal segreto, risultano pubblicabili anche nel corso delle indagini. È una precisa scelta legislativa quella di consentire la pubblicazione delle decisioni del G.i.p., ma dovrebbe essere ripensata proprio per evitare il troppo facile aggiramento del divieto di pubblicazione degli atti di indagine. Come detto, l’ordinanza cautelare è il tramite per la legittima pubblicazione dei risultati delle indagini.

In Europa si è consolidato un certo tipo di bilanciamento tra il diritto alla privacy e il diritto all'informazione su personaggi pubblici. Nel caso in questione, secondo lei è giusto accostare lo spacciatore che sta commentando un reato a quello di Micciché, non indagato?

Premesso che le notizie sulla vita privata dei soggetti politici possono rivestire un interesse pubblico, il caso in questione è del tutto peculiare in quanto il politico non era oggetto di indagini e l’eventuale uso personale di stupefacenti non costituirebbe comunque reato. Mi sembra quindi difficile giustificare un interesse pubblico alla notizia, a meno di non ritenere che questo dato sia strettamente correlato all’azione politica di Miccichè. Ma non mi sembra che sia questo l’intento perseguito dai giornalisti. La sostanziale gratuità della notizia depone per la sproporzione dell’ingerenza nel diritto alla riservatezza del terzo estraneo all’indagine.

In Italia, forse più che negli altri Paesi, sarebbe difficile far passare una norma che ad esempio impedisca la pubblicazione dell'ordinanza di custodia cautelare? Significherebbe urtare troppo la sensibilità della pubblica opinione, quasi al pari di uno svuota carcere?

Si potrebbe trovare un ragionevole punto di equilibrio nella pubblicazione della sola notizia del provvedimento restrittivo, seguita dalla informazione relativa alla motivazione del riesame o dell’ordinanza genetica quando non sia impugnata. Ciò garantirebbe quantomeno un’informazione che tenga conto delle osservazioni difensive. Considerato, però, che i divieti hanno sempre dimostrato la loro inefficacia, sarebbe più realistico cercare di incidere a monte, imponendo una motivazione cautelare estremamente asciutta, selettiva e limitata ai fatti strettamente rilevanti per le incolpazioni.

Secondo lei a livello normativo cosa si dovrebbe fare per tutelare i terzi non indagati, al di là della questione intercettazioni già toccata dal ddl Nordio? Si potrebbe pensare ad esempio a prevedere degli omissis generalizzati?

La tutela rispetto ai fatti privi di rilevanza penale deve riguardare tanto i terzi quanto gli indagati. La pubblicazione delle notizie si giustifica, infatti, solo con riferimento ai reati, mentre è puramente lesiva della riservatezza quando riporta circostanze che non hanno nulla a che vedere con gli addebiti penali. È una regola generale che assorbe in sé ogni altra possibile soluzione. Posto questo principio in modo chiaro, sarei estremamente rigoroso nelle sanzioni per chi viola la regola. E non parlo di sanzioni penali che incontrerebbero facili obiezioni fondate sulla libertà d’espressione, ma di natura disciplinare e interdittiva, tanto per il giornalista quanto per la testata. Poi è chiaro che bisognerebbe regolamentare anche l’accesso agli atti ostensibili mediante un apposito fascicolo a disposizione di tutta la stampa, così da spezzare il circolo vizioso che lega alcuni giornalisti agli inquirenti.

Se fosse stato già legge il ddl Nordio avrebbe impedito di far conoscere a tutti che Micciché avrebbe comprato droga dagli indagati posto che nell'ordinanza vengono inserite sia intercettazioni che pedinamenti?

Per quanto riguarda gli ulteriori limiti alla pubblicazione delle intercettazioni va nella direzione giusta, ma sconta il difetto di precetti privi di sanzioni effettive. Nel caso specifico, il divieto di citare i dati personali dei soggetti diversi dalle parti prevede pur sempre un’eccezione quando ciò sia indispensabile per la compiuta esposizione dei fatti oggetto di accertamento. Dunque, indicare l’acquirente dello stupefacente potrebbe essere inteso come una specificazione del fatto reato. Il paradosso è che più le regole diventano di dettaglio e più è facile aggirarle. Occorre, invece, un salto culturale, non basta continuare a denunciare le degenerazioni e intervenire settorialmente, bisogna definire poche regole chiare e puntare sul senso di responsabilità di tutti, rafforzato da sanzioni effettive in presenza di violazioni. E non parlo solo dei giornalisti, il problema è soprattutto a monte in chi scrive le motivazioni o distribuisce “sotto banco” gli atti processuali, alimentando le distorsioni mediatiche.

Cosa ne pensa del ddl Nordio in generale?

Si tratta di un pacchetto di riforme molto articolato, che va dall’abrogazione del reato di abuso d’ufficio al contraddittorio cautelare anticipato, ma al di là delle singole previsioni quello che conta è la netta cesura con l’ideologia della riforma Cartabia. Siamo passati dall’efficientismo repressivo all’efficienza delle garanzie. Non condivido, ad esempio, le critiche di chi sostiene l’irragionevolezza dell’abolizione dell’appello del pubblico ministero per i soli reati a citazione diretta. Il problema sono i moduli processuali differenziati, che contrastano con la presunzione d’innocenza, ma, rispetto al passato, oggi si differenzia nell’ottica comunque di un aumento delle garanzie. Chi contesta questa scelta dovrebbe, a maggior ragione, criticare l’idea stessa del doppio o del triplo binario che finora ha sempre visto procedure differenziate in ragione del tasso ridotto di garanzie per i reati più gravi. Incrementare le garanzie, sia pure solo per certi reati, è comunque una scelta che segna un’inversione di tendenza e non è in sé criticabile. In prospettiva, il processo penale dovrà essere ripensato ab imis, oggi è diventato uno strumento efficiente di difesa sociale o della vittima, mentre dovrebbe tornare ad essere il giardino inviolato della cognizione. Così come il tema della libertà personale dovrebbe fondarsi sulla regola aurea che escluda del tutto la custodia cautelare, ponendo come misura massima gli arresti domiciliari, lasciando la possibilità della carcerazione solo in caso di dimostrato pericolo di commissione di crimini violenti da parte dell’imputato. 

 

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