Riforma Nordio bloccata al Mef

 Errico Novi Valentina Stella Dubbio 23 giugno 2023


Tutti uniti. Meloni dalla parte di Nordio. Salvini che sdrammatizza persino i dubbi di Bongiorno sulle intercettazioni, dopo averla convinta sull’abuso d’ufficio. Il Terzo polo che se potesse arruolerebbe il ministro seduta stante. Quadro perfetto, per il Guardasigilli e per la sua riforma. Peccato per un dettaglio: la riforma, il ddl in 8 articoli, con dentro l’addio all’abuso d’ufficio e alla pubblicazione delle intercettazioni, ancora non c’è. S’è perso. Doveva piombare subito in Parlamento, ma è bloccato al Mef. In quel ministero dell’Economia diventato, per la maggioranza, epicentro delle tensioni politiche: nel centrodestra si scopre che oltre al Mes “salva Stati”, si è incagliata pure la giustizia. In pratica, il ddl Nordio è ancora sotto la lente d’ingrandimento della Ragioneria generale, e dunque in attesa di “bollinatura”, per una questione di coperture. Direte: che c’entrano i soldi? Non è mica necessario stanziare dei fondi, ad esempio, per abrogare l’abuso d’ufficio? Vero. Ma c’è un ma: tra i provvedimenti del testo di Nordio, varato in Consiglio dei ministri una settimana fa, ce n’è uno che “costa”, e neppure pochissimo. Si tratta dell’assegnazione a un “gip collegiale”, cioè non più a un giudice monocratico ma a un collegio di tre magistrati, la valutazione sulle richieste di misure cautelari in carcere avanzate dalle Procure. Una parte significativa della riforma, definita all’articolo 2 “Modifiche al codice di procedura penale” che aveva suscitato già preliminarmente l’allarme dei Capi degli uffici giudiziari, per via delle carenze di organico che renderebbero impossibile la composizione dei collegi senza incorrere in fatali incompatibilità. In parole povere, diversi Tribunali a corto di magistrati si troverebbero con giudici del dibattimento che si sono già occupati dello stesso procedimento penale in veste di componenti del collegio per le cautelari, circostanza che l’ordinamento non tollera. Non a caso ancora ieri mattina un ampio dossier su Repubblica presentava la questione come un grave handicap per la riforma. Naturalmente Nordio ben conosce il dilemma, e infatti ha previsto, all’articolo 4 (Aumento del ruolo organico del personale di magistratura ordinaria); come spiega la scheda di sintesi del ddl preparata dal Ministero “dato l’impatto sull’organizzazione dei Tribunali, soprattutto per le incompatibilità dei tre giudici rispetto alle successive fasi del processo, si prevede un aumento dell’organico con 250 nuovi magistrati, da destinare alle funzioni giudicanti. Per consentire le necessarie assunzioni, l’entrata in vigore è differita di due anni”. Ma qui si crea la falla. Perché è vero che la legge di Bilancio ha previsto la copertura per gli altri ingressi in magistratura, già programmati dai tempi di Cartabia. Ma i 250 gip “triadici” sono una risorsa in più rispetto agli stanziamenti preventivati. Nel ddl, almeno nel testo circolato prima di essere messo sul tavolo del Consiglio dei Ministri, si legge che sono previsti degli stanziamenti ma senza l'indicazione dell'origine delle relative coperture. Verrebbe da dire: ecco che gli apparati  bloccano la riforma della giustizia. Se non sono le toghe in servizio a via Arenula, per esempio, ad arginare, i decreti attuativi della riforma del Csm, ci pensano i tecnici dell’Economia a frustrare le ambizioni del Guardasigilli? Dell’esecutivo Berlusconi si disse che era il primo governo “all’opposizione dello Stato”. O qualcuno all'interno di Via Arenula sta provando a complicare la faccenda perché quella parte di riforma non piace? A Nordio non farebbe piacere trovarsi in una situazione simile. Anche perché, diciamolo, è una delle sue più grandi paure. Dal Mef assicurano che non si può né si deve parlare di riforma bloccata: si tratta di necessari approfondimenti per accertare la sussistenza delle coperture. Di una procedura sempre necessaria per le bollinature. Sarà senz’altro così. Diciamo che però capiremmo chi si sentisse assediato dai fantasmi. Da uno spettro in particolare: quello che, in futuro più ancora che nell’immediato, potrebbe trasformare il percorso delle riforme di Nordio in un’odissea. Intanto ancora non si capisce dove verrà incardinato il ddl, se alla Camera o al Senato. Sono in corso interlocuzioni tra maggioranza e governo per dove farlo partire. L'orientamento è quello di iniziare l'iter da palazzo Madama, con la spinta anche del presidente della Commissione Giustizia Bongiorno e il via libera del Guardasigilli che si dice pronto alla battaglia per portare avanti il ddl. A offrire uno sguardo poco sereno della situazione è il deputato di Azione Enrico Costa: “Quattro giorni fa, in un'intervista al Corriere della Sera, il ministro Ciriani annunciava che la riforma della Giustizia, varata dal ministro Nordio e approvata dal Consiglio dei Ministri, sarebbe stata bollinata e trasmessa alla Camera. Oggi (ieri, ndr), invece, scopriamo che questo atto andrà al Senato. Perché questa inversione in corsa? Probabilmente frutto di un braccio di ferro interno alla maggioranza. Per noi è ovviamente indifferente da quale ramo del Parlamento si inizi, ma se queste sono le premesse che fanno addirittura smentire le parole del Ministro dei Rapporti con il Parlamento, penso che durante il percorso dell'iter parlamentare, la conflittualità di questa maggioranza non potrà che amplificarsi”.

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