Intervista a Stefano Celli

 Valentina Stella Dubbio 9 giugno 2023

L’assemblea dell’Anm che si terrà domenica sta suscitando un ampio dibattito all’interno delle correnti. Oggi ne parliamo con il dottor Stefano Celli, membro del Cdc dell'Anm in quota Md.

Secondo Lei occorre scioperare per quanto accaduto con il caso Uss o ci vuole altro?

Non vedo l’alternativa “sciopero si, sciopero no”. Il nostro gruppo è da sempre impegnato a coltivare il confronto con il “punto di vista esterno” alla magistratura, che non vive su Marte. All’ultima assemblea generale avevamo proposto, al posto dello sciopero, un percorso graduale incentrato su momenti di confronto pubblico, sia con i nostri interlocutori privilegiati, avvocati e personale amministrativo, sia con tutti i cittadini. Un cammino che aveva l’ambizione di convincere non solo noi stessi dei pericoli insiti nella riforma dell’ordinamento pensata dalla ministra Cartabia. Il timore di perdere il sostegno di alcune componenti dell’assemblea e la necessità di preservare equilibri di governo interno ha indotto i gruppi numericamente più consistenti a una scelta radicale, che però molti magistrati non hanno condiviso. Per domenica prossima pensiamo a due piani di intervento: il primo di ampio respiro, di cammino partecipato, perché crediamo sia l’unico modo per riacquistare autorevolezza: una linea già condivisa dal CDC, che ha condiviso all’unanimità il nostro stimolo, e da diverse assemblee distrettuali; il secondo, più immediato, di interlocuzione istituzionale, perché in gioco c’è la tutela dell’indipendenza. Certo non possiamo pensare di concludere l’assemblea semplicemente con un comunicato di protesta: ci autocondanneremmo all’irrilevanza.

Cosa pensa della posizione di Piraino, espressa sul Giornale?

È una posizione antica, rassicurante, che conosciamo bene: “non si deve interferire con la politica”, che è un modo elegante per dire “noi ci adeguiamo alla politica della maggioranza”. È lo sbocco naturale di chi aspira a far dimenticare la politicità della giurisdizione, che anche la posizione di MI inconsapevolmente riconosce. Politica come esercizio consapevole e motivato di scelte valoriali, basate sui principi costituzionali: niente a che vedere con il lavoro di partiti o schieramenti. Quanto allo sciopero mi chiedo se la segreteria di MI abbiano letto l’intervista al Presidente Santalucia o si siano accontentati del titolo, così da poter rassicurare gli interlocutori istituzionali che già hanno scelto i propri collaboratori, in massima parte, nel gruppo “moderato”.

E di quella di Albamonte in una intervista a noi?

Albamonte ha fatto parte del nostro gruppo fino a poco tempo fa, e le sue affermazioni sono figlie di quella cultura che, semplicemente, aspira a inverare i valori costituzionali nella giurisdizione. Ho apprezzato in particolare la preoccupazione per le riforme in cantiere, specie per quelle costituzionali, a cominciare dalla separazione delle carriere e a un’altra più insidiosa, quella che cancella l’avverbio “soltanto” dall’articolo 101 della costituzione. Confido che anche le scelte concrete che Area farà, in assemblea e dopo, siano coerenti con le idee espresse nell’intervista, e non condizionate dal desiderio di preservare equilibri di governo dell’ANM.

Per Albamonte ci sarebbe una condivisione di un modello culturale di condivisione tra Mi e il Governo. Concorda?

In magistratura ci sono molte sensibilità, e quella di MI è in obiettiva consonanza con il Governo. La storia dell’ANM è però una storia di valorizzazione e sintesi delle molteplici sensibilità, che sono la vera forza di un’associazione che proprio per questo rappresenta la quasi totalità dei magistrati. Confido che MI per prima sosterrà la necessità che tutte le componenti associative possano dare il proprio contributo, a tutti i livelli, anche istituzionali.

Cosa ne pensa del cronoprogramma illustrato da Nordio durante il Question time?

Parlo senza aver potuto leggere una bozza della riforma.  Sul metodo registro una disponibilità formale. La commissione per le riforme penali non si è mai riunita e fra una settimana il ddl va in consiglio dei ministri: speriamo che non si replichi il modello Cartabia, che comunicava solo testi immodificabili alla vigilia del varo.  Sull’abuso d’ufficio già ora la punibilità è limitatissima: vogliamo stabilire che il commissario del concorso che favorisce il figlio di un amico non commette un reato? Va benissimo, chi lo fa se ne assumerà la responsabilità, senza però agitare fantasmi, come la paura della firma.  Mi preoccupano di più, tuttavia, riforma del CSM e separazione delle carriere: su quest’ultima mi chiedo sempre perché chi si dice garantista non riesca a coglierne lo sbocco naturale: un PM avvocato della polizia, o del governo, e comunque un PM influenzato da una mutevole maggioranza politica, anzi partitica.  Si preferisce un’indagine e un pm d’udienza valutato in base al numero di arresti e denunce, condanne o, peggio, alla corrispondenza al programma di una parte politica? O un magistrato che si sente a pieno titolo parte della giurisdizione, guidato solo dal rispetto della legge e dei diritti?


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