Quella grande riforma della giustizia realizzata solo a parole

 Valentina Stella Dubbio 13 giugno 2023

Se è vero come dice l’Ucpi che Silvio Berlusconi è stato “oggetto di una aggressione politico-giudiziaria che non ha precedenti nella storia della Repubblica”, è anche vero che il fondatore di FI è la principale causa della mancata “grande riforma epocale della giustizia” da lui stessa prefigurata fin dalla discesa in politica nel 1994. Tutto a causa di un rapporto con le toghe vissuto sempre come un perenne braccio di ferro da un lato e dall’altro come timore di venire perseguitato nelle aule giudiziarie. Tale tensione ebbe il suo apice la mattina dell'11 marzo 2013 quando ci fu l'occupazione simbolica del palazzo di giustizia di Milano da parte dei parlamentari del Popolo delle Libertà che protestavano contro i magistrati del processo Ruby. La rivoluzione in tema di giustizia pensata da Berlusconi doveva avere come cardini la separazione delle carriere tra giudici e pm, la divisione in due diversi Csm, l’obbligatorietà dell’azione penale regolata da criteri stabiliti dalla legge, il divieto di appello delle sentenze di proscioglimento, l'istituzione di un'Alta Corte di Disciplina per giudicare i magistrati. Ma, nonostante quattro governi con lui come premier, e maggioranze parlamentari amplissime, non riuscì mai a realizzarla. Anzi, talvolta fu proprio lui a sabotarla, come dimostra il premio "Toga Rossa" che i penalisti romani gli consegnarono nel 2000 per “la sciagurata ma efficace campagna astensionistica portata avanti al fine di sabotare i referendum sulla giustizia” promossi, tra gli altri, dal Partito Radicale, tra i quali c'era proprio un quesito sulla separazione delle carriere. All'epoca Berlusconi disse che i referendum erano inutili dal momento che quelle riforme le avrebbe fatte lui una volta tornato al Governo, ma poi non andò così. Sulla giustizia Berlusconi è sempre stato prodigo di intenzioni, ma avaro di attuazioni, cosicché ad oggi il divario tra le promesse e le riforme realizzate resta enorme. Il suo più grande tentativo di riforma organica della Giustizia è rappresentato dal disegno di legge costituzionale che il suo Governo presentò il 7 aprile 2011 (Ministro della Giustizia era Angelino Alfano) con il quale veniva completamente riscritto il Titolo IV della Costituzione. Il progetto riformatore non ebbe seguito, non solo perché nel novembre 2011 il governo cadde e a Palazzo Chigi arrivò Monti, ma anche perché trovò nell’Anm una opposizione durissima. “Questa maggioranza non ha la legittimazione storica, politica, culturale e anche morale per affrontare la riforma” della giustizia, disse l’allora segretario Giuseppe Cascini. Ma sarebbe difficilissimo qui ricordare tutti i grandi scontri con l’Anm e con la stessa Procura di Milano - sulle cosiddette leggi ad personam, dette anche leggi bavaglio, decreti salva amici o salva aziende, cioè in grado di risolvere i guai giudiziari del leader, che negli anni i governi e il partito di Berlusconi hanno fatto approvare o hanno soltanto proposto. Alcune furono modificate nel loro assetto originario, altre dichiarate incostituzionali. Tra tutte, il Lodo Schifani (immunità per le alte cariche dello Stato, dichiarato incostituzionale dalla Consulta nel 2004), il Lodo Alfano (che sospendeva i processi penali per le alte cariche dello Stato, giudicato incostituzionale nel 2009), il provvedimento sul “legittimo impedimento” (abrogato da un referendum popolare nel 2011), il decreto Biondi che vietava la custodia cautelare in carcere per i reati contro la Pa e per quelli finanziari, la depenalizzazione del reato di falso in bilancio. L’unica legge portata a compimento fu la riforma Castelli, che, trasformando il procuratore capo nel solo responsabile unico dell'andamento della procura, ha dato origine al fenomeno del carrierismo, emerso pubblicamente con il Palamara Gate. Ma a parte le riforme annunciate e mai realizzate, la colpa principale del leader di Forza Italie è stato quella di aver declinato il termine garantismo solo con riferimento alle regole processuali (e nemmeno sempre), mentre poi i suoi Governi praticavano il contrario nel campo del diritto sostanziale agitando lo spettro della "sicurezza percepita". Da questo punto di vista i governi berlusconiani hanno indubbiamente promosso, in un'ottica pan-penalista, riforme carcerocentriche (la Bossi-Fini sull'immigrazione, la legge ex Cirielli su recidiva e prescrizione e la Fini-Giovanardi sulle droghe, solo per citarne alcune), fino ad arrivare all'obbrobrio della custodia cautelare obbligatoria per tutte le persone anche solo sospettate di violenza sessuale (poi dichiarata incostituzionale dalla Consulta) e alle stretta sulle misure di prevenzione e sui benefici penitenziari. 

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