Ardita come Mara Venier

 Angela Stella Unità 6 giugno 2023


Non c’è dubbio che l’uccisione di Giulia Tramontano da parte del suo fidanzato Alessandro Impagnatiello, padre anche del figlio che la donna portava in grembo, rappresenti un delitto tra i più orribili che si possano immaginare. Tuttavia stupisce molto la presa di posizione che sulla vicenda ha assunto il magistrato, nonché ex consigliere del Csm, Sebastiano Ardita: “Giulia Tramontano aveva 29 anni e tra 2 mesi avrebbe dato alla luce il suo primo figlio; invece è stata uccisa dal suo compagno, lei ed il bimbo che portava in grembo.  Colpita a coltellate e poi infierendo sul suo corpo e provando a bruciarlo. L’assassino è reo confesso e fin da subito - sulla base della riforma cd Cartabia - potrà chiedere di avviare percorsi di giustizia riparativa (attraverso iniziative varie, magari chiedendo di incontrare i parenti della vittima) Se sarà condannato ed avrà qualche attenuante o beneficio(le attenuanti per la confessione, o i benefici per i percorsi di giustizia riparativa), tra liberazione anticipata e misure alternative/liberazione condizionale, dopo una decina di anni di carcere tornerà libero per rifarsi una vita, come è già accaduto per altri. Lei invece rimarrà sottoterra, viva solo nel ricordo e nel dolore dei suoi cari…vittima di un crimine efferato in un sistema penale che non fa più paura”. Considerazioni di questo tipo in genere vengono fatte da persone con pulsioni giustizialiste, che sono solite commentare le vicende di cronaca nera sui social media senza conoscere i fatti e le regole di uno Stato di Diritto. Oppure da esponenti politici come Matteo Salvini o il sottosegretario di Fratelli d’Italia Andrea Delmastro delle Vedove, ai quali piace ripetere come un mantra di essere "garantisti nel processo, ma giustizialisti nell’esecuzione penale", perché “certezza della pena” vuol dire che la persona condannata deve scontare in carcere fino all’ultimo giorno di reclusione, senza sconti o benefici. Considerazioni di questo tipo ce le saremmo aspettate da una come Mara Venier che domenica, mandando un abbraccio anche ai genitori dell’indagato, ha tenuto subito a precisare dinanzi a milioni di telespettatori che “sì, signora Impagnatiello, suo figlio è un mostro”, alimentando forse ancora di più l’odio social che si è scatenato su questa vicenda, anche nei confronti dell'ormai ex difensore dell'indagato, l'avvocato Sebastiano Sartori, che ieri ha rinunciato al mandato, reo di aver esercitato la sua funzione difensiva, come Costituzione pretende. Ma leggere un j'accuse così duro nei confronti dei benefici di legge e delle misure alternative da un magistrato del calibro di Ardita, che per di più in passato ha anche ricoperto il ruolo di direttore generale del dipartimento detenuti e trattamento del DAP, e che pertanto dovrebbe riuscire a capire quanto siano importanti i percorsi trattamentali all'interno del carcere grazie ai quali la persona reclusa ha la possibilità di "tornare libera per rifarsi una vita", ci lascia davvero sgomenti e senza parole, non foss'altro perché, in quanto magistrato, il dott. Ardita ha una grande responsabilità quando comunica i suoi pensieri. Tanto è vero che il suo commento, apparso su Facebook e apprezzato da migliaia di utenti, ha dato subito la stura a giudizi molto pesanti nei confronti di Impagnatiello: “bestia”, “certi elementi devono marcire in carcere”, “Dovrebbero dargli l’ergastolo senza processo, un bastardo del genere non può avere nessuna attenuante”. Sia chiaro, di fronte a crimini orrendi e brutali siamo abituati a leggere reazioni di questo tipo, ma è opportuno che a scatenare questi istinti tribali sia un magistrato? Le parole del consigliere Ardita hanno fatto trasecolare anche alcuni suoi colleghi i quali, da noi interpellati, hanno preso nettamente le distanze da questa presa di posizione giudicata errata e inopportuna. Tra l’altro, un magistrato ci ha scritto: “La paura del sistema penale, quale strumento di prevenzione generale è proprio una bufala. Il resto è espressione tipica del populismo penale imperante. Mi dispiace, ma ricordavo un Ardita più lucido e pacato…”. Non sono mancati anche commenti pubblici da parte di alcuni avvocati, tra cui Nicola Canestrini: “Mi stupisco che un magistrato strumentalizzi così biecamente una vicenda di cronaca”. Noi abbiamo raccolto il parere di Gian Domenico Caiazza, Presidente dell’Unione Camere Penali: “Le parole di Ardita sono una perfetta rappresentazione di cosa sia il populismo penale, cioè agitazione gratuita, pretestuosa e strumentale del sentimento di indignazione, di dolore, di condanna sociale, per condizionare e travolgere ogni regola del giudizio e del processo penale”. “Per il populista, quale lui è – prosegue il leader dei penalisti - le regole del giudizio, che impongono al giudice di adeguare la pena al fatto ed al soggetto che ha commesso l’illecito, sono fastidiosi ostacoli sulla strada di una giustizia concepita unicamente come vendetta. È un mondo ideale tremendo, rozzo nelle argomentazioni, pericoloso rispetto ai sentimenti che rischia di suscitare, irrispettoso della cruciale funzione sociale del giudice e del processo in contraddittorio tra le parti. Uno spettacolo desolante, tanto più se inscenato da un magistrato. Un mondo che intendiamo combattere senza tregua, in nome ed in difesa dei valori fondanti del vivere civile”, conclude il vertice dell’Ucpi.

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