Antonio Ciontoli: «Mi porto Marco sulla coscienza, ma io non sono un mostro»

di Valentina Stella Il Dubbio 14 settembre 2018

[LA REPLICA DELLA MADRE DI MARCO VANNINI E LA RISPOSTA DEL DIRETTORE SANSONETTI]

Un giorno nero, tragico. Il 18 maggio 2015. Antonio Ciontoli ha una pistola tra le mani. Scherza. Di fronte a lui il fidanzato di sua figlia Martina, Marco Vannini, 20 anni, quel giorno ospite a casa dei Ciontoli a Ladispoli. Antonio si rigira la pistola, dicono le ricostruzioni, non si accorge che è carica e parte un colpo. Sarà mortale per Marco, colpito al braccio e trapassato nel cuore. Ma ci saranno anche 3 ore di agonia, in cui forse si sarebbe potuto evitare la tragedia: Antonio e i suoi familiari sono stati accusati dal pm Alessandra D’Amore di “aver ritardato i soccorsi e aver fornito agli operatori del 118 informazioni false e fuorvianti così cagionando, accettando il rischio, il decesso del ragazzo”. Lo scorso 18 aprile è arrivata la sentenza di primo grado della Corte d’assise di Roma, composta da due giudici togati e sei popolari, che ha condannato Ciontoli a 14 anni di reclusione per omicidio volontario con dolo eventuale, e a tre anni, per omicidio colposo, la moglie Maria e i figli Martina e Federico. Assolta la fidanzata di quest’ultimo, Viola Giorgini. La disperata, terribile disgrazia è finita in tv, in tutti i talk show possibili. Contro la famiglia Ciontoli si è scatenato un uragano di odio, di violenza, offese. E tra le due cose, l’esposizione mediatica e la caccia alla famiglia colpevole, il nesso è chiaro. Non sta a chi scrive sostituirsi ai giudici ed emettere una sentenza sui drammatici fatti di quella notte, immedesimarsi con i sentimenti di due genitori – Marina e Valerio – che hanno perso il loro unico figlio così prematuramente. Né si pretende di giustificare o condannare le azioni o le omissioni della famiglia Ciontoli. C’è invece il dovere di raccontare la storia osservata da ogni possibile sguardo. Oggi lo facciamo con una intervista esclusiva al signor Antonio Ciontoli, sottufficiale di Marina, già capo nucleo della segreteria particolare del Capo di Stato maggiore della Difesa e dipendente dell’Aise. Ciontoli ha deciso di parlare per la prima e unica volta proprio con il Dubbio. Racconterà la sua versione. E soprattutto ci descriverà i danni subìti dal processo mediatico che si è tenuto non nell’aula del processo ma dinanzi a un tribunale del popolo, in parte virtuale. I Ciontoli hanno dovuto lasciare la casa in cui avevano sempre vissuto, sono stati costretti a spostarsi perché per strada la gente li insultava. Davanti all’ingresso dell’abitazione sono comparse scritte che vanno dall’appellativo di “assassini” in poi. Martina Ciontoli ha perso diversi lavori, dopo essere stata sotto l’assedio dei cronisti: a volte è stata mandata via da superiori che non sopportavano più i piantonamenti della stampa, altre volte è stato il pregiudizio degli stessi datori di lavoro a compromettere possibili impieghi. Ma oltre a questo, oltre ad un proiettile arrivato con una lettera anonima indirizzata al capo famiglia, si è scatenata in rete una ferocia inaudita: “Se la giustizia non fa il suo corso, avrei fatto trascorrere a quel bastardo quei pochi anni di carcere piangendo i suoi 2 figli fatti a pezzi”; “ma le persone allora si devono farsi giustizia da soli? È chiaro che sia un si”; o ancora “bidone di acido tutti dentro”, “vi farei campare con i piedi legati e la bocca semi aperta, e a calci due ore al giorno”, “andrebbe stuprata la figlia e storpiato a vita il padre, luridi infami”. La rappresentazione fatta della famiglia Ciontoli in molte trasmissioni Rai e Mediaset e su varie riviste è stata per quasi sempre a senso unico, senza alcuno spazio per le tesi difensive. Qui si vuole provare a riequilibrare la situazione.

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