E ora non condannate Salvini per “reato di parentela”...

 Valentina Stella Dubbio 2 gennaio 2024


L’inchiesta sugli appalti Anas – che ha portato agli arresti domiciliari Tommaso Verdini, figlio dell’ex parlamentare Denis nonché cognato di Matteo Salvini – ha tenuto banco alla Camera nell’ultimo giorno di lavori del 2023. Tutte le opposizioni, tranne Azione e Italia Viva, il 29 dicembre scorso hanno sollecitato chiarimenti al leader del Carroccio, in quanto ministro delle Infrastrutture, e a tutto il governo: «Il Movimento 5 Stelle chiede che il ministro Salvini venga immediatamente e urgentemente a riferire sul sistema di consulenza e appalti pubblici banditi da Anas. È infatti agli arresti domiciliari Tommaso Verdini, presidente della Inver, che si sarebbe occupato di mediare tra imprenditori e dirigenti Anas, anch’essi destinatari di misure cautelari», ha dichiarato Federico Cafiero de Raho, deputato pentastellato. A lui aveva fatto seguito l’intervento della responsabile Giustizia del Partito democratico Debora Serracchiani: «C’è una questione politica. Chiediamo che, rispetto a questa questione politica, ci sia un intervento del governo, che lo stesso governo smentisca ed elimini questa ambiguità, che è un’ambiguità tutta politica, prima ancora che giudiziaria, perché quella giudiziaria non ci compete, ma quella politica sì. E quindi chiediamo che venga fatta chiarezza su quelle relazioni, su quei rapporti». Fonti del ministero di Salvini hanno fatto però sapere che questa richiesta non avrà una risposta: «La vicenda riguarda il governo Draghi e non ci facciamo dettare l’agenda dalle opposizioni», è l’indicazione che è stata data.

Fratelli d’Italia, dal canto suo, ha fatto quadrato attorno all’alleato vicepremier: sugli appalti Anas «c’è una indagine in corso iniziata ben prima dell’insediamento dell’attuale governo, che non coinvolge Matteo Salvini, né altri esponenti politici, quindi attendiamo gli sviluppi», è la posizione del partito della premier Meloni, anche se qualcuno immagina che a via della Scrofa si segua con segreta soddisfazione l’evolversi della vicenda e non ci si disperi certo, a sei mesi dalle Europee, nel vedere il numero uno della Lega in difficoltà. Ora però occorre evitare che il caso Verdini susciti una più o meno esplicita evocazione del “reato di parentela”, così come già avvenuto con il parlamentare Aboubakar Soumahoro, messo alla gogna mediatica e politica – persino da parte di coloro che lo avevano fatto eleggere – a causa delle presunte malversazioni della suocera e della moglie. La questione si può spiegare bene con un paragone, prendendo in prestito la legislazione antimafia. Fino a maggio di quest’anno, fino a quando cioè il paradosso non è stato almeno attenuato da una sentenza importante della Cassazione, l’influenza del crimine organizzato su un’azienda poteva essere desunta dalla semplice parentela fra persone ritenute “colluse” e gli amministratori dell’impresa. Con la decisione della prima sezione penale di piazza Cavour ha iniziato a vacillare finalmente «il “comodo” (per chi vi ricorre) principio della “familiarità” che determina di per sé contiguità o addirittura “intraneità” al sistema criminale, principio in virtù del quale sono sottoposte a sequestro e confisca migliaia di aziende», spiegammo su questo giornale. Il pericolo però è che questo non valga nel caso Verdini, che vede coinvolti appunto il padre e il fratello della compagna di Matteo Salvini, e per il quale potremmo assistere facilmente all’applicazione di un’assurda proprietà transitiva tra gli indagati, per di più, ça va sans dire, presunti innocenti, e il ministro delle Infrastrutture. Un assurdo sillogismo secondo cui colpevoli loro, colpevole il ministro, passando per la fidanzata.

Da quanto appreso, Salvini sarebbe piuttosto infastidito dalla già strisciante equazione che avversari politici e taluni osservatori starebbero insinuando tra il suo legame sentimentale e le contestazioni che la Procura di Roma muove al suo potenziale genero e al suo potenziale cognato – non essendo lui sposato con Francesca Verdini –, come se sottinteso alle richieste di riferire in Aula ci fosse la consapevolezza o almeno il forte dubbio che Salvini sapesse o offrisse coperture alle presunte malefatte. Tuttavia, come ha ben scritto Daniele Capezzone su Libero, «non esiste il reato di fidanzamento». E si potrebbe aggiungere, a fortiori, che la responsabilità penale è personale, e qui neanche sappiamo se ci sarà un processo e quali saranno gli imputati, e né Salvini né alcun membro del governo sono coinvolti. E invece tutti, da sinistra e dai 5 Stelle, a puntare il dito contro Salvini, apparentemente per opportunità politica, ma probabilmente per incolparlo di essere il compagno di Francesca, che non si è scelta né il padre né il fratello, ancora protetti dall’articolo 27 della Costituzione per cui, tra l’altro, «l’imputato non è considerato colpevole sino alla condanna definitiva». Dietro tutto questo poi si cela il solito refrain di utilizzare la magistratura per abbattere un avversario politico, come se non fossimo stati già abbastanza abituati a certi collateralismi fra partiti politici e procure della Repubblica.

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