In Italia sono vilipesi sui social, insultati fuori dai Tribunali, minacciati di morte perché assimilati agli imputati che difendono

 Valentina Stella dubbio 22 gennaio 2024

Diciamolo francamente: la possibilità di esercitare il mandato difensivo in Italia non è assolutamente messa in pericolo come accade in altri Paesi: basti pensare alla Turchia, all’Iran, all’Egitto, alla Cina. Ma anche noi abbiamo delle storie da raccontare, di legali minacciati a parole o con fatti concreti per esercitare senza timore la loro professione. Il primo nome che ricorre nella memoria è quello di Fulvio Croce, presidente dell’ordine degli avvocati di Torino. Siamo nel capoluogo piemontese il 28 aprile 1977. Settantasei anni, civilista arriva con la sua macchina davanti al suo studio. Un ragazzo grida ‘Avvocato’. Lui si gira e una Nagant M1895 di fabbricazione russa gli scarica addosso cinque colpi: tre al torace, poi due alla testa. Fu assassinato perché assunse la difesa d’ufficio– unitamente ad altri consiglieri – nel primo processo celebrato dalla Corte d’assise di Torino nel 1976 contro gli imputati del maxiprocesso ai “capi storici” delle BR.  Maurizio Ferrari, il compagno ‘Mao’, un anno prima, aveva annunciato la condanna a morte per tutti gli avvocati che avessero accettato di difenderli: «Ci proclamiamo pubblicamente militanti dell’organizzazione comunista Brigate Rosse, e come combattenti comunisti ci assumiamo collettivamente e per intero la responsabilità politica di ogni sua iniziativa passata, presente e futura. Affermando questo viene meno qualunque presupposto legale per questo processo, gli imputati non hanno niente da cui difendersi. Mentre al contrario gli accusatori, hanno da difendere la pratica criminale, antiproletaria dell’infame regime che essi rappresentano. Se difensori dunque devono esservi, questi servono a voi egregie eccellenze. Per togliere ogni equivoco revochiamo perciò ai nostri avvocati il mandato per la difesa, e li invitiamo nel caso fossero nominati di ufficio, a rifiutare ogni collaborazione con il potere. Con questo atto intendiamo riportare lo scontro sul terreno reale, e per questo lanciamo alle avanguardie rivoluzionarie la parola d’ordine: portare l’attacco al cuore dello Stato». Andando ai tempi più recenti, registriamo un altro fenomeno: la circostanza per cui gli avvocati vengono accusati per difendere gli imputati, accusati dei peggiori crimini, e assimilati ingiustamente con il reato da loro eventualmente commesso. Diceva il famoso avvocato francese Jacques Verges: «Je ne suis pas l’avocat de la terreur, mais l’avocat des terroristes. Hippocrate disait : "Je ne soigne pas la maladie, je soigne le malade". C’est pour vous dire que je ne défends pas le crime mais la personne qui l’a commis». L'assimilazione tra l'avvocato e il suo assistito è una delle tante distorsioni che intaccano il ruolo del difensore nella società. Eppure come ha scritto Ettore Randazzo in 'L'avvocato e la verità' (Sellerio Editore Palermo): «solo i nemici della democrazia e della libertà possono temere l'avvocatura».  Sempre di più in questi anni stiamo assistendo a vari tipi di attacchi verso coloro che esercitano un diritto costituzionalmente garantito: gli avvocati vengono vilipesi sui social, ricevono sputi fuori dalle aule e pallottole nella buca delle lettere, addirittura le loro auto sono incendiate e le loro famiglie minacciate di morte. Su questo giornale vi abbiamo raccontato diverse storie in merito che vi riproponiamo in questa carrellata.  Nel 2017 alcuni balordi diedero fuoco alla macchina dell'avvocato Pierluigi Barone. Dopo ricevette una telefonata anonima al suo studio: «Il tuo cliente è un assassino», riferendosi ad uno dei cinque giovani, difeso da Barone, indagato al tempo con altri per omissione di soccorso per la morte del 18enne Matteo Ballardini. Proprio al Dubbio l'avvocato raccontò che nella telefonata fecero altre minacce: « Mi hanno detto che poi toccherà alla casa, e poi a mia moglie. Paura? Io sono un legale e non mollo i miei clienti. Questo modo di fare violento mina i principi base della Costituzione e della civiltà. E noi non possiamo cedere». Invece questo messaggio «Volevo complimentarmi con gli avvocati Mario Scarpa e Ilaria Perruzza, che assistono i 4 maiali stupratori di Rimini! Complimenti per la dignità che avete dimostrato nell’accettare la difesa e non aver rifiutato! Questo Stato tra qualche anno li promuoverà facendoli entrare a pieno diritto nella Casta dei Togati. Nel frattempo speriamo che il tempo regali ad entrambi l’esperienza vissuta dai due polacchi» fu uno dei tanti gravemente offensivi indirizzati ai due avvocati che assunsero l’incarico difensivo di quattro immigrati accusati dello stupro e della violenza avvenuti nei confronti di una giovane polacca e di un suo amico. Arriviamo nel 2018: «Sentenza vergognosa! Dato che la giustizia non esiste sarà fatta in un altro modo. Vendetta anche per te avvocatura»: iniziava così la lettera minatoria che, accompagnata da un proiettile, giunse all’avvocato Andrea Miroli, legale della famiglia Ciontoli, dopo la sentenza di primo grado per la morte di Marco Vannini. Sempre nello stesso anno all'avvocato Giovanni Codastefano, difensore d'ufficio di un uomo accusato di aver violentato la moglie e maltrattato la figlia, toccò leggere questo sul web: «Penso che fa più schifo l’avvocato che lo difenderà», «Vergognati! Come si fa a difendere uno del genere?», «Certi avvocati per du soldi difenderebbero anche lo stupratore delle loro madri... merdacce! », «Bastardo anche l’avvocato». Non finisce qui: l'avvocato Simone Matraxia, legale di fiducia di Innocent Oseghale, il nigeriano coinvolto nella morte di Pamela Mastropietro, fatta a pezzi e ritrovata in due trolley abbandonati sul ciglio della strada, appena ricevette il mandato lesse su Facebook: «L’ avvocato che si prende la briga di difendere certe persone, e certi reati va denunciato per complicità» e altresì «Ha pure un avvocato? Ahhhhh la pena di morte».  L'anno successivo  ci spostiamo al  Tribunale di Frosinone quando il presidente della Corte d'assise Giuseppe Farinella pronunciò la sentenza di primo grado per l'omicidio di Emanuele Morganti, il ventenne deceduto dopo essere stato aggredito in una notte di marzo del 2017 ad Alatri. Un caso drammatico che aveva suscitato molto commozione per la morte di un ragazzo accerchiato e picchiato, dopo una serata in un locale con la fidanzatina. Non fu allora omicidio volontario, come richiesto dall’accusa, ma preterintenzionale.  La derubricazione del reato scatenò  l’ira dei parenti e degli amici della vittima. Qualcuno, fuori dal tribunale, aggredì il pool difensivo come ci raccontò proprio l’avvocato Giosuè Bruno Naso: «Ci hanno minacciati e insultati gridandoci “bastardi”, “schifosi”, “come fate a difendere delle merde simili?”». Arrivarono anche degli sputi verso di loro e si rese necessario l’intervento di alcuni agenti delle forze dell’ordine.  Sempre nel 2019 a subire minacce sui social furono gli avvocati Domenico Gorziglia, Giovanni Labate e Marco Mazzatosta, legali di Francesco Chiricozzi e Riccardo Licci, i due giovani di CasaPound, accusati di violenza di gruppo, lesioni aggravate e violenza sessuale con abuso delle condizioni di inferiorità psichica e fisica nei confronti di una donna di 36 anni. «Ma gli avvocati sono i peggio», «i due vanno condannati in base alle leggi, vanno puniti, ma chi andrebbe arrestato seduta stante deve essere l'avvocato» e ancora «Lasciateli al popolo, saprà fare giustizia più di quella togata... non dimenticate il legale che andrebbe anche radiato» e «io metterei in galera pure gli avvocati che favoreggiano sti maledetti difendendoli».  Nel 2020 a ricevere minacce di morte furono gli  avvocati Massimiliano e Mario Pica, legali dei tre allora indagati per la morte del giovane Willy Monteiro Duarte, ucciso durante un pestaggio a Colleferro. Ricevettero una telefonata anonima a studio: «Dì all’avvocato che lo ammazziamo». Ma anche Andrea Starace e Giovanni Bellisario, legali di Antonio De Marco, reo confesso del duplice omicidio di Eleonora Manta e Daniele De Santis, sono finiti nel mirino dei leoni da tastiera: «anche l'avvocato dovrebbe andare in carcere», «non vi vergognate a difenderlo», «se le vittime fossero stati i vostri figli vi sareste comportati allo stesso modo?».  E poi ad aprile di quest'anno vi abbiamo raccontato la storia di due avvocate di Brescia S.L. e M.M processate e insultate dal Tribunale del popolo per aver fatto assolvere un uomo accusato di violenza sessuale: «ma questi avvocati non si vergognano a difendere un delinquente simile. Lo schifo assurdo che per i soldi non si guarda in faccia nessuno, eppure sono donne ma nessuna solidarietà. Il denaro e la carriera sono superiori al dramma di questa ragazza» e persino più grave: «Che non debbano mai provare nessun tipo di violenza queste sottospecie di avvocati». A chi dunque desidera gettare la chiave della cella prima di iniziare un processo, impedendo l'esercizio del diritto di difesa, rispondiamo sempre con un pensiero di Ettore Randazzo: «Senza processo la giustizia dove starebbe? Nel lugubre simbolismo di un cappio penzolante col plauso raccapricciante di un gruppo di scalmanati dimostranti? Ci mancherebbe! Tutti devono essere processati e dunque difesi. Incondizionatamente; altrimenti basterebbe un'accusa grave e infamante per giustiziare sommariamente una persona, espellendola dal consesso civile; non possiamo di certo consentire una simile barbarie». 

Commenti

Post popolari in questo blog

Le commissioni di inchiesta in Parlamento

«L’avvocato non può essere identificato con l’assistito»

«Ridurre l’arretrato civile del 90%? Una chimera» Nordio ripensa l’intesa con l’Ue