Sos sanità in carcere

 Angela Stella Unità 1 novembre 2023

Dopo il Senato, via libera anche dalla commissione Giustizia alla Camera alle proposte di nomina del Governo per il collegio del Garante nazionale dei detenuti. In particolare è arrivato l’ok alla nomina a presidente di Felice Maurizio D’Ettore e di Irma Conti e Mario Serio come componenti del collegio. In particolare sulla nomina di D’Ettore sono arrivati 20 voti favorevoli e 5 contrari, su quella relativa a Conti 20 voti favorevoli e 5 contrari, mentre sulla nomina di Serio 19 voti favorevoli e 6 contrari. Secondo quanto si apprende, si sono espressi per l’ok alle proposte i gruppi di maggioranza e il Movimento 5 stelle, visto l’accordo raggiunto con la maggioranza sulla loro proposta del nome di Serio. “Abbiamo votato contro il parere sulla nomina del nuovo Garante dei detenuti: nessuna preclusione personale, ma ci è stato impedito di poter audire i soggetti in commissione, anche per la massima trasparenza. Questa blindatura da parte della maggioranza è stata incomprensibile. Auguriamo comunque un buon lavoro, per un ruolo così importante e delicato”:  così Devis Dori, capogruppo di Alleanza Verdi Sinistra in commissione Giustizia alla Camera. Ora si dovrà attendere la firma del Quirinale per l’ufficializzazione della nomina. Tuttavia il Garante ancora in carica, ossia Mauro Palma, è tornato a denunciare “la drammatica linea di tendenza che non permette cadute di attenzione”, ossia un suicidio in carcere ogni 5 giorni. L’ultimo episodio in ordine di tempo riguarda un ragazzo di 28 anni: sarebbe uscito tra sei mesi, il prossimo aprile, ma si è tolto la vira due giorni fa nella Casa circondariale di Caltanissetta, dove era detenuto dal luglio del 2021, poco più di due anni fa.  Con la sua morte salgono a 54 le persone detenute che si sono tolte la vita dall’inizio del 2023. Per il Collegio del Garante “è una linea di tendenza che si è manifestata costante, nei numeri, negli ultimi cinque anni: a esclusione del 2022 con il picco tragico di 85 i dati dal 2018 indicano una costante di suicidi in carcere intorno ai 60. Una costante che, considerato il numero odierno, alla fine di ottobre, rischia pericolosamente di essere di nuovo superata.   A questo conto, in cui ogni caso ha un nome e un vissuto di drammaticità e di fragilità rimasto sostanzialmente inascoltato, devono aggiungersi i ‘morti per causa da accertare’, giacché spesso gli accertamenti riconoscono nel suicidio la causa della morte: sono 21 dall’inizio dell’anno”.  Intanto la redazione di “Non Tutti Sanno”, notiziario dei detenuti della Casa di reclusione di Rebibbia a Roma, diretto dal giornalista Roberto Monteforte ha rivolto un appello, tra gli altri, all’Ordine nazionale dei Medici, a quello regionale del Lazio, al ministro della salute prof Orazio Schillaci, al ministro della Giustizia on. Carlo Nordio, al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria dott. Giovanni Russo, al garante nazionale e a quelli locali per denunciare la crisi della sanità pubblica per i ristretti. “Siamo cittadini che hanno sbagliato e che per questo stanno scontando la loro condanna in una casa di reclusione, ma non per questo abbiamo perso il diritto alla salute e alla dignità di persona”, si legge nella lunga lettera che prosegue: “Sappiamo delle gravi difficoltà del Sistema Sanitario Nazionale per la mancanza di risorse e di mezzi, ma per noi non ci sono alternative alla sanità pubblica”. Tuttavia “Capita che il medico di base o lo specialista che va in pensione non venga sostituito e che i bandi indetti dalle Asl vadano deserti, oppure che si debba aspettare molto tempo prima che arrivi la nuova nomina e questo significa ulteriori forti disagi per noi “ristretti” che già subiamo gli effetti nefasti del sovraffollamento. Poi non sempre chi si aggiudica l’incarico decide di restare a lungo in un penitenziario. Infatti c’è chi lascia per le responsabilità, i disagi, le difficoltà che considera eccessive a fronte degli scarsi riconoscimenti economici e di carriera”. I detenuti, quasi ricordando che le parole del professor Giovanni Fiandaca per cui il “carcere è spesso più un veleno che una medicina” sottolineano: “di carcere ci si ammala. Uno studio recente attesta che una percentuale compresa tra il 60 e l’80% della popolazione detenuta è affetta da almeno una patologia. Voi lo sapete bene, meno l’opinione pubblica. C’è il disagio psicologico legato alla carcerazione che riguarda la stragrande maggioranza dei reclusi e che oltretutto abbassa le difese immunitarie, quando non sfocia in più gravi problemi di carattere psichiatrico. Ci sono la scarsa attività fisica e la cattiva alimentazione che favoriscono la comparsa di disturbi gastrointestinali e malattie metaboliche come il diabete, ci sono la promiscuità e la cattiva igiene che aumentano il rischio di malattie contagiose come l’epatite virale, l’infezione da HIV, le malattie trasmesse sessualmente, la tubercolosi, la scabbia e i pidocchi. Ma sono frequenti anche i problemi cardiovascolari, con ictus e infarti, o alle vie respiratorie. Senza trascurare i problemi alla vista, otorinolaringoiatrici o alla masticazione”. Per poi non parlare “delle due principali cause delle patologie nelle nostre carceri: la dipendenza dalle sostanze e il disagio psichico e psichiatrico che andrebbero curati fuori e non dietro le sbarre”. Da qui la richiesta finale: “Venite in carcere, curateci, fate in modo che i giovani medici vi affianchino a fare tirocinio. Che esperienza straordinaria farebbero affermando sul campo il diritto alla cura e che occasione avrebbero per superare paure e pregiudizi e scoprire quanta umanità c’è dietro le sbarre”.

 

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