Intervista a Francesco Petrelli

 Angela Stella Unità 21 novembre 2023

 

Il nuovo pacchetto sicurezza agita l’Unione delle Camere Penali. Ne parliamo con il presidente, l’avvocato Francesco Petrelli.

 

 

L’Ucpi  ha deciso di proclamare lo stato di agitazione in merito al nuovo provvedimento del Governo.

 

Sì, e abbiamo richiesto un incontro anche al Ministro della Giustizia Nordio non solo per esporre la nostra contrarietà a questi ultimi interventi di riforma ma anche per trattare i temi più urgenti attinenti agli interventi correttivi in materia di processo penale.

 

 

Quali sono gli aspetti più critici del nuovo pacchetto sicurezza varato dal Governo?

 

Questo pacchetto sicurezza dimostra che non solo il populismo non è mai passato ma che la sua retorica giustizialista ha avuto il compito di aprire la strada alle politiche della giustizia più autoritarie e pericolose. Ancora una volta, anziché ricorrere a riforme strutturali di sistema ed alla modernizzazione delle amministrazioni, anche a fine di prevenzione, si è preferito l’approccio simbolico tipico del populismo penale che solo retoricamente risolve i problemi della sicurezza sociale, della devianza e della microcriminalità, mentre nei fatti li lascia moltiplicare e diffondere.  Con riferimento alle nuove ipotesi di reato ed agli inasprimenti di pena sono piuttosto evidenti i profili di violazione dei fondamentali principi del diritto penale, di offensività, di determinatezza e di proporzionalità.

Si pensi alla criminalizzazione dell'occupazione di immobili ed all’espansione dei relativi poteri di polizia, laddove era sufficiente restituire efficienza agli ordinari rimedi. Si pensi alla ipotesi di imbrattamento di edifici o monumenti che risulterebbe aggravato laddove sia destinata ad offendere l’onore, il prestigio ed il decoro delle autorità ed alla conseguente indecifrabilità nei fatti di tale intenzione (lo era l’imbrattamento di Palazzo Madama?) o al blocco stradale. Insomma, anziché risolvere i problemi reali del Paese se ne radicalizzano i profili criminali.

 

Questo provvedimento, come quelli approvati nell’ultimo anno, tende a voler risolvere i problemi con il diritto penale e la minaccia punitiva?

 

A fronte di modeste ed incerte concessioni l'approccio ai problemi del carcere è segnato da un passaggio ideologico di inaudita gravità. Al fine di assicurare comportamenti regolari da parte dei detenuti, si passa evidentemente da una logica premiale, che era quella sottesa alla legge Gozzini, alla logica della minaccia e della intimidazione. Si torna alla logica del vecchio Regolamento Rocco del 1931: si tornerà presto a chiamare il detenuto con il numero di matricola. Altro che discutibile logica della carota e del bastone: qui è rimasto solo il bastone.

Si pensi alla criminalizzazione della resistenza passiva ed alla idea che assieme alla tentata evasione tali condotte possano integrare il reato di rivolta. Si pensi poi alla ipotesi di istigazione alla rivolta integrata magari dall’invio di una lettera ad un detenuto con la quale lo si inviti a rivendicare un suo diritto negato.

Che dire dell’omologazione dei Centri per il rimpatrio con il luoghi di reclusione destinati a coloro che hanno commesso dei reati. Risulta irrazionale l’idea di poter operare in caso di proteste anche non violente l’applicazione di misure cautelari con il trasferimento in massa di migranti anche di incerta identificazione  in strutture carcerarie sovraffollate e spesso fatiscenti e con problemi endemici di igiene e di assistenza sanitaria,  con un aumento  ingiustificato di costi e di rischi. 

 

Insomma sempre più carcere.  

 

Con l’aumento delle ostatività alla sospensione anche di pene minori, si moltiplicheranno insensatamente gli accessi in carcere anche di coloro che potrebbero fruire di misure alternative, con incremento delle già gravissime situazioni di sovraffollamento, con inutile sacrificio di percorsi esistenziali di persone magari già ravvedute e reinserite. Anziché ridurre il rischio della recidiva da cui discende la sicurezza dei cittadini, la aumenta. Anziché provvedere all’incremento degli strumenti trattamentali ed al miglioramento delle condizioni di vita detentiva e di porre rimedio al numero impressionante dei suicidi, si imposta il problema in chiave disciplinare e di assoggettamento alla pura retribuzione. Dice il Ministro di ispirarsi alla formula kantiana dell’uomo come fine ma qui si assiste alla fine dell’uomo, ridotto ad espiatore di pene esemplari ed a strumento di intimidazione.  

 

Pensa alla misura per le detenute incinte?

La norma che elimina la sospensione delle pene in caso di donne incinte e di madri di minori è gravissima in  quanto la tutela della salute e della vita dei minori e delle madri è stata ritenuta recessiva rispetto alle paventate esigenze securitarie declinate in chiave intimidatrice e repressiva. Una norma che costringerà a fare nascere molti bambini in carceri nelle quali sono evidentemente carenti i necessari presidi igienici e sanitari, con rischi anche sulla vita dei nascituri. Egualmente grave l’idea di far crescere bambini fra le sbarre, con tutti i traumi psicologici connessi. Le strutture denominate istituti a custodia attenuata che dovrebbero accogliere le madri sono infatti in Italia solo 4 e pertanto del tutto insufficienti alle future necessità, con l’inevitabile ricorso agli istituti di pena ordinari.

 

Oggi l'idolo della pubblica opinione è diventata la sicurezza, non stiamo parlando della sicurezza misurabile con dati, indici e stime concrete, ma di qualcosa di molto più impalpabile che prende il nome di «sicurezza percepita». L'idolo della «sicurezza percepita» alimenta un eccesso di diritto penale simbolico che affonda le sue ragioni nel populismo giudiziario e prescinde totalmente dai dati criminologici.   Concorda su questo e quanto peso ha l’informazione nell’instillare nell’opinione pubblica una falsa rappresentazione della realtà, sacrificando sul piano dell’ideologia e della commercializzazione delle notizie, il racconto della complessità della realtà?

 

L’informazione ha una enorme responsabilità nello sviluppo di una falsa rappresentazione delle dinamiche della giustizia penale, soprattutto nell’incrementare la percezione di un assedio della criminalità, mentre i reati sono in Italia in costante decrescita. E soprattutto nel diffondere il messaggio secondo il quale più carcere corrisponde a più sicurezza. 

L’opinione pubblica e l’informazione dovrebbero infatti diffidare di questo tipo di messaggio e di una legislazione che costituisce una vera e propria truffa delle etichette, infatti l’aumento indiscriminato del numero dei reati e delle pene e tutte le nuove regole che rendono più difficile l’accesso alle misure alternative, non solo non incidono sul numero dei reati, ma ingolfano inutilmente i tribunali e affollano le carceri che già versano in condizioni drammatiche, il che non aumenta affatto la sicurezza dei cittadini in quanto finisce con l’aumentare il fenomeno della recidiva e per impedire il corretto funzionamento della giustizia.    

 

L'ex Ministro Orlando ha commentato: “sarei curioso di conoscere gli interventi del Ministro Nordio in Cdm, ogni volta che in quel consesso si introduceva un nuovo reato e si aumentano le pene edittali”.

 

Il Ministro Nordio ha più volte detto e scritto di non credere all’aumento delle pene come deterrenza eppure si affida a tali strategie ritenendo che sia utile in chiave puramente simbolica. Ne dobbiamo dedurre che questi interventi non dimostrano altro che la dichiarata impotenza della politica di fronte ai problemi sottesi ai fenomeni dell’illegalità. Non sapendo come risolverli si affidano ai simboli. Ma il vizio della politica di usare la giustizia penale con la sola attenzione alla pancia dell’opinione pubblica è nel nostro Paese purtroppo antica e assai diffusa. Ricorderei piuttosto all’ex Ministro Orlando di come la sua innovativa riforma dell’esecuzione penale, frutto di anni di studio, sia stata abbandonata solo per timore del confronto elettorale.

 

Oppure l’impotenza è solo del Guardasigilli, che non solo appoggia riforme securitarie ma tradisce anche le promesse per una giustizia liberale e minima

 

L’impotenza è francamente dell’intera classe politica. La giustizia penale è trattata dalla politica come una cassetta degli attrezzi cui ricorrere in maniera estemporanea al solo fine di risolvere i problemi propri anziché quelli dei cittadini. La politica giudiziaria dovrebbe essere posta al riparo dagli opportunismi ma  è invece oramai da decenni soggetta da un lato ai diktat della magistratura e dall’altro alla ricerca del consenso.  Non è il primo tradimento al quale assistiamo. Invece, a proposito di  “giustizia liberale e minima”, facciamo magari una riforma utile introducendo una riserva di legge rafforzata che imponga una maggioranza qualificata in materia penale:  vietato inventare reati e aumentare le pene, magari a forza di decreti, ad ogni occasione, sulla spinta di fatti di cronaca ed a soli fini elettorali.

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