Niente green pass per gli avvocati

 di Valentina Stella Il Dubbio 18 settembre 2021

Agli avvocati non servirà il green pass per entrare negli uffici giudiziari: è quanto si legge nella bozza di decreto circolata in queste ore e che estende l'obbligo  del certificato verde a tutti i dipendenti e gli autonomi del settore pubblico e privato che dovranno accedere nei luoghi di lavoro dal 15 ottobre al 31 dicembre. A disciplinare questo aspetto è l'articolo 2  "Impiego delle certificazioni verdi negli uffici giudiziari". Il comma 1 prevede che « al fine di tutelare la salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza, i magistrati ordinari, amministrativi, contabili e militari, gli avvocati e procuratori dello Stato, i componenti delle commissioni tributarie non possono accedere agli uffici giudiziari se non possiedono e, su richiesta, non esibiscono la certificazione verde COVID-19». Il comma 8, invece, esclude gli avvocati dall'obbligo: «Le disposizioni del presente articolo non si applicano agli avvocati e altri difensori, consulenti, periti e altri ausiliari del magistrato estranei alle amministrazioni della giustizia, testimoni e parti del processo». Dunque un doppio binario tra magistratura e avvocatura. Ma la domanda è se l'obbligo di green pass valga anche negli studi legali. La parte del decreto che disciplinerebbe questa parte è l'articolo 3 "Disposizioni urgenti sull’impiego di certificazioni verdi in ambito lavorativo privato" in cui è previsto che « chiunque svolge una attività lavorativa nel settore privato è fatto obbligo, ai fini dell’accesso nei luoghi in cui la predetta attività è svolta, di possedere e di esibire su richiesta la certificazione verde. [...] I datori di lavoro di cui al comma 1 sono tenuti a verificare il rispetto delle prescrizioni».  Per il costituzionalista Giovanni Guzzetta, Ordinario  di Istituzioni di Diritto Pubblico presso l'Università di Roma Tor Vergata,  «da come è formulato l'articolo sembrerebbe applicarsi solo ai lavoratori dipendenti e a coloro che hanno rapporti di lavoro parasubordinato.  Tutto è costruito sul controllo del datore di lavoro, chiamato a verificare il rispetto di quanto previsto dalla norma. Quindi un titolare di uno studio legale non sarebbe obbligato ad avere il green pass ma dovrebbe predisporre il controllo per  la segretaria di studio o un suo dipendente. Inoltre, non penso si possa applicare al dominus dello studio, perché sarebbe anche in contraddizione con il fatto che a chi non è in possesso del green pass viene sospesa la retribuzione. Alla fine poi mi chiedo: perché l'obbligo dovrebbe essere previsto in studio e non quando gli avvocati vanno in udienza?». Dà una interpretazione diversa Francesco Volpe, ordinario di diritto amministrativo presso l'Università degli Studi di Padova: «In generale la norma è scritta molto male perché è generica nell'individuare i soggetti a cui si rivolge e le sanzioni sono tarate solo per i lavoratori dipendenti. L'articolo 3 sembrerebbe ricomprendere tutti i liberi professionisti. Il certificato verde sarebbe necessario quindi per accedere ai luoghi dove si svolge la propria attività, indipendentemente che siano frequentati da altre persone: quindi un avvocato, anche se non ha una segretaria o non riceve un cliente, dovrebbe avere il green pass. In astratto dovrebbe averlo anche se si recasse nella sede dei clienti o addirittura nel domicilio privato se è lì che esercita. Tutto questo è paradossale se confrontato con il comma 8 dell'art. 2». Il comma 4 è riservato ai magistrati onorari: obbligo di green pass anche per loro. Tuttavia « Il protrarsi dell’assenza in conseguenza della carenza o della mancata esibizione della certificazione oltre il termine di trenta giorni comporta la revoca dall’incarico».  Una sorta di licenziamento mascherato, un unicum nel nuovo scenario che si andrà a definire, considerato che per i magistrati ordinari che violano la norma scatta la sanzione disciplinare non inferiore alla censura. «Si tratta di una questione che andrà approfondita - conclude il professor Guzzetta - perché potrebbero determinarsi profili di discriminazione, soprattutto in considerazione delle controversie interpretative sullo status giuridico dei giudici onorari». 

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