Bruno Naso: perdura il Pignatone pensiero

 di Angela Stella Il Riformista 22 settembre 2021

L'avvocato Giosuè Bruno Naso frequenta le aule di tribunale dal 1971. È stato difensore di Erich Priebke, di Massimo Carminati, ma lo abbiamo ascoltato anche nel processo Andreotti, in quello per la Strage di Bologna, in quello Moro, in quello Cucchi. Da anni difende diversi membri della famiglia Casamonica, alcuni dei quali condannati due giorni fa per mafia a pene pesantissime.

Avvocato Naso come commenta questa decisione della Decima sezione penale del Tribunale di Roma?

È una sentenza che non ci ha sorpreso particolarmente perché fin dall'inizio del dibattimento ci siamo resi conto che c'era una sorta di muro da parte del Tribunale che non arginava minimamente lo strapotere del pubblico ministero Musarò e contemporaneamente sviliva le iniziative della difesa. Si era capito che l'aria che tirava non era delle migliori. Questo è l'ultimo dei processi dell'era Pignatone, uno di quei quattro collegati a quattro personaggi che l'Espresso del 13 dicembre 2012 mise in copertina, con straordinaria preveggenza rispetto alle successive inchieste, come 'I quattro re di Roma' con un articolo a firma di Lirio Abbate: Massimo Carminati, Giuseppe Fasciani, Michele Senese, Giuseppe Casamonica. Secondo me quell'articolo veniva da una anticipazione suggerita dalla Procura della Repubblica perché serviva come cassa di risonanza per le iniziative giudiziarie future. Gli è andata bene per Fasciani, gli è andata bene in primo grado per i Casamonica, gli è andata malissimo al processo a cui hanno dedicato più attenzione, ossia quello di 'Mafia Capitale'. Ora inizierà il processo a carico di Senese: purtroppo la cultura della giurisdizione di Pignatone perdura ancora nella Procura capitolina, è come se non fosse andato via.

Di che tipo di cultura si tratta?

È quella attraverso la quale il processo è uno strumento di tutela sociale, per cui la nobiltà del fine - chi è che non è contro la mafia o il traffico di droga o l'usura, etc -  giustifica la sommarietà dei mezzi. Il processo penale non dovrebbe servire a combattere un fenomeno criminoso ma a stabilire se quell'imputato è un mafioso, un trafficante di droga o un usuraio. Se si spersonalizza il processo e lo si trasforma in strumento di contenimento dei fenomeni criminosi, allora si perdono di vista i diritti e le garanzie del singolo per un interesse di natura collettiva. Se affidiamo al magistrato penale il compito di fronteggiare i fenomeni, che spetterebbe in una società liberale ad altre istituzioni, egli finisce per snaturarsi. L'equivoco di fondo di una gran parte dei magistrati è quello di credere di essere pagati per fare giustizia, invece lo sono per applicare la legge. Purtroppo spesso questo non accade e ne risentono quelli che finiscono nelle grinfie di un processo penale.

  Come mai non ci si riesce a liberare di questa cultura?

Da un lato per lo strapotere delle Procure, ma dall'altro anche per colpa dei giudici. Contestare questi reati, come avvenuto con i Casamonica, rende le indagini molto pervasive:  le intercettazioni telefoniche e ambientali sono più facili da ottenere, spesso anche tra legale e assistito, e i tempi delle indagini preliminari si possono allungare. Quindi la Procura privilegia questo tipo di contestazioni di reati, anche laddove non ci sono, ma sono i giudici che non vanno fino in fondo ad esercitare le loro funzioni di controllo della legalità del procedimento.

Perché?                                 

Un po' per pigrizia, un po' per non esporsi alla critica 'dell'essere garantisti' che sembra essere una delle critiche peggiori che possa attingere un giudice, e moltissimo perché condividono la stessa cultura delle Procure. Ecco perché noi penalisti diciamo che un traguardo che dobbiamo assolutamente raggiungere è quello della separazione delle carriere. Finchè il giudice oggi fa il giudice e domani passa a fare il pm, o viceversa, mancherà sempre la vera autonomia di giudizio e l'equidistanza con l'accusa e la difesa.

Un aspetto che ha fatto impressione nella narrazione del processo sono gli anni di carcere chiesti (630 ) e quelli ottenuti (400). La condanna più alta è a 30 anni ma non si tratta di omicidio.

Raramente ho un visto in un processo con 44 imputati un solo assolto e due soli rimessi in libertà. Per molti le pene sono così alte perché è stata contestata loro la recidiva. Stiamo parlando dei Casamonica, non della confraternita dei frati trappisti. Io li ho definiti, durante la discussione, 'sporchi, brutti e cattivi', non dei perseguitati dalla giustizia. Noi abbiamo sostenuto fino dal primo momento che per contenere i fenomeni criminosi legati ai Casamonica non era necessario andare a scomodare l'aggravante mafiosa. Bastava comminare le pene che loro meritavano. Sa quanti grammi di droga sono stati sequestrati in questo processo? 8 grammi! Per il resto è tutta droga parlata, chiacchierata. Le usure contestate e commesse riguardavano somme di 500 euro, da restituire 20 euro a settimana.

Andrebbe anche fatto un ragionamento su cosa significa 'Mafia'.

Come ha scritto il suo Direttore, Sciascia disse ' se tutto è mafia niente è mafia'. Poi Falcone, che la mafia vera la conosceva molto bene, ha provveduto a prendere le distanze da quelli che volevano vedere la mafia in ogni fenomeno criminoso. Io, quando voglio fare una battuta paradossale, dico che tra un po' anche per la violenza sessuale verrà contestata l'aggravante del metodo mafioso.

Lei ha dedicato molto tempo della sua arringa al pm Musarò.

Per me è persona intelligente e preparata. Ma come gli ho detto in udienza è un talebano: una volta che ha sposato una tesi, non la mette mai in dubbio. Per lui se uno decide di fare il collaboratore di giustizia, qualsiasi cosa dica è vera. In questo processo abbiamo ascoltato la pentita Cerroni che in altri processi era stata clamorosamente smentita.

Quindi ancora c'è il problema dei pentiti nel nostro sistema giudiziario?

Certo, moltissimo. Poi sa, Musarò è cresciuto in Calabria, con Pignatone. Quindi è ovvio che abbia questa struttura professionale e culturale.

Le ha parlato di separazione delle carriere, una riforma impopolare in parlamento: ravvisa ancora una subordinazione della politica alla magistratura?

Vedo timidi tentativi di smarcamento: Draghi e Cartabia non sono figure ricattabili ma poi bisogna confrontarsi con le forze politiche, e lì è tutta un'altra storia. 

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