Casamonica vuol dire Mafia

 di Valentina Stella Il Dubbio 21 settembre 2021

Il clan Casamonica è mafia: lo hanno stabilito i giudici della Decima sezione penale del Tribunale di Roma che ieri pomeriggio nell’aula bunker di Rebibbia, dopo sette ore di Camera di Consiglio, hanno emesso una sentenza di condanna a carico di 44 imputati con accuse che vanno a vario titolo dall'associazione mafiosa finalizzata al traffico e allo spaccio di stupefacenti, estorsione, usura e detenzione illegale di armi. Sono stati condannati per 416 bis con le pene più alte: Domenico Casamonica (30 anni), Giuseppe Casamonica (20 e 6 mesi), e poi gli altri fratelli, Salvatore (25 anni e 9 mesi), Pasquale (23 anni e 8 mesi), Massimiliano (19 anni e 4 mesi). In totale sono state emesse condanne per oltre 400 anni di carcere: l’accusa - i pm  Giovanni Musarò e Stefano Luciani - aveva chiesto 630 anni di carcere in totale. Per questa stessa vicenda, nel maggio del 2019, erano state disposte quattordici condanne in abbreviato e tre patteggiamenti. I vertici del clan erano tutti collegati in videoconferenza dagli istituti di pena dove sono reclusi. Presente in aula, alla lettura della sentenza, il procuratore aggiunto della Dda di Roma, Ilaria Calò: « è una decisione molto importante che conferma la validità dell’impostazione data dalla Dda e la serietà del lavoro svolto dalla Procura e dalla Polizia Giudiziaria in questi anni».   «Una sentenza sconcertante ma non sorprendente» invece per l’avvocato Giosuè Bruno Naso, difensore, con la figlia Ippolita, di diversi imputati della famiglia Casamonica. L'avvocato Bruno Naso aggiunge al Dubbio:  «si tratta di una decisione in linea con il conformismo che il Collegio ha dimostrato nel corso di tutto il dibattimento, nel quale il pubblico ministero l'ha fatta da padrone, senza trovare un controllo da parte del Presidente. Nella fase dibattimentale non ci siamo sentiti considerati sullo stesso piano della pubblica accusa: questo è un aspetto che investe l'involuzione sul piano culturale che sta subendo  e che ha subìto da alcuni lustri a questa parte la giurisdizione penale in questo Paese. Al di là di questo - conclude Naso - è l'ennesimo esempio di sentenza attraverso la quale si vuole moralizzare  una certa parte della società.  I Casamonica, che di certo non sono soggetti commendevoli, servono per tranquillizzare la coscienza per cui la mafia è fronteggiata anche a Roma. Io dico: magari la mafia fosse rappresentata dai Casamonica». Ed infatti per il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, «quella pronunciata dal Tribunale di Roma è una sentenza storica che finalmente mette nero su bianco che Casamonica equivale a mafia ed un segnale importante da dare ai cittadini del nostro territorio». Non poteva mancare la sindaca Virginia Raggi, in campagna elettorale: « Io di fronte al clan dei Casamonica non mi sono mai piegata, non ho mai indietreggiato di un passo, non ho mai avuto paura di loro. Ho sempre lottato per il bene dei romani a volto scoperto, ho chiamato per nome e cognome chi ha umiliato e offeso la città. Vivo sotto scorta per questo. Oggi (ieri, ndr) il tribunale di Roma ha confermato l’associazione a delinquere di stampo mafioso. Ha confermato che è mafia». Ma Roma dunque è una capitale dove imperversa la mafia? La risposta si inserisce nel più ampio dibattito in dottrina che riguarda l’art. 416 bis c.p., in particolare il comma 3 dell’articolo:  “L’associazione è di tipo mafioso quando coloro che ne fanno parte si avvalgono della forza di intimidazione del vincolo associativo e della condizione di assoggettamento e di omertà che ne deriva”. La più recente decisione in materia, prima di ieri, ha riguardato il  clan Spada: la Corte d’Assise di Appello di Roma a gennaio ha riconosciuto la qualificazione di associazione di stampo mafioso del sodalizio, confermando il primo grado. Come ricorda Giulia Morello su giurisprudenzapenale.com, «il clan Spada è stato definito dalla dottrina e dalla giurisprudenza come “mafia autoctona”, inserendosi nel più ampio alveo delle cd. mafie atipiche o non tradizionali, alla cui categoria, peraltro, si riconducono anche le mafie delocalizzate e le mafie straniere. [...]Si pone, peraltro, sul sentiero recentemente tracciato dalla Suprema Corte con la pronuncia Fasciani». Invece con la sentenza della Sesta Sezione della Cassazione del 12 giugno 2020 nel caso ribattezzato inizialmente come "Mafia Capitale" è stata esclusa la qualificazione mafiosa dell’associazione criminale riferibile a Buzzi e Carminati.  


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