La strage di Erba e i tanti dubbi sulla colpevolezza di Olindo e Rosa
di Valentina Stella Il Dubbio 28 agosto 2021
Ogni estate è buona per dedicarsi ad un
nuovo giallo o ripescarne uno dal passato. Tra questi ultimi c'è sicuramente la
strage di Erba. Non è questo lo spazio per rifare un processo ma sicuramente
quello per porsi delle domande, per sollevare dei dubbi. Una fredda sera
dell’11 dicembre 2006, verso le 20:30, a Erba (provincia di Como) nella corte
di via Diaz 25, vengono uccisi a colpi di coltello e di spranga Raffaella
Castagna, il figlio Youssef, la nonna del bambino Paola Galli, e la vicina di
casa Valeria Cherubini, mentre scampa alla morte il marito di quest’ultima, il
superteste Mario Frigerio, che rimane gravemente ferito. Alla strage seguì un
fuoco appiccato nell’abitazione. Il primo sospettato fu il compagno di Raffaella,
Azouz Marzouk, ma aveva un solidissimo alibi: si trovava in Tunisia e così venne
scagionato. L'attenzione si spostò poi sui coniugi Olindo Romano e Rosa Bazzi, due
vicini di casa di Raffaella Castagna che in passato avevano avuto contenziosi
legali con la defunta. I due furono condannati in primo grado dalla Corte
d’assise di Como e in secondo grado dalla Corte d’assise d’appello di Milano a
due ergastoli, con conseguente isolamento diurno per tre anni, per i reati di
pluriomicidio aggravato, incendio (art. 423 c.p.), violazione di domicilio e
reato di porto d’arma fuori dall’abitazione, nonché per omicidio e tentato
omicidio per i fatti che poi diverranno noti alla cronaca, appunto, come
“strage di Erba”. La Corte di Cassazione il 3 maggio 2011 confermerà la doppia
conforme di condanna. E il tentativo di nuovi analisi sui reperti è stato
respinto lo scorso dicembre. Persino Azouz Marzouk li ritiene estranei ai
fatti, benché in un primo momento i due confessarono, per poi fare un passo
indietro. Sulla loro colpevolezza ci sono molti dubbi, soprattutto
relativamente a tre elementi, centrali per giungere alla loro colpevolezza: la
testimonianza dell'unico testimone della tragedia, Mario Frigerio - colpito con un fendente alla gola e creduto
morto dagli assalitori, ma che riuscì a salvarsi grazie ad una malformazione
congenita alla carotide che gli impedì di morire dissanguato - e la traccia di sangue trovata nella loro
auto, la confessione appunto. Sul primo punto vi riproponiamo un estratto della
consulenza effettuata nel 2010, su richiesta degli avvocati Nico D’Ascola, Luisa Bordeaux e Fabio Schembri, difensori dei coniugi
Romano al professor Piergiorgio Strata, neuroscienziato di fama internazionale e
accademico italiano. A lui, in qualità di studioso nel campo della memoria, fu
chiesto un parere sulla testimonianza fornita da Frigerio: è affidabile il ricordo
di una persona che ha fornito una prima versione dei fatti, versione che si è
andata poi progressivamente modificando nel tempo durante gli ulteriori interrogatori
avvenuti sia nei giorni immediatamente successivi sia a distanza durante il
dibattimento? Per la Corte di Assise «a sostegno della presunta “assoluta
attendibilità del teste” si dice che "le sue dichiarazioni hanno progredito
nel tempo a più riprese senza mai mostrare incongruenze logiche interne e senza
mai mostrare contraddizioni tra una versione e l’altra». Per il professor
Strata non è così. Come leggiamo nella sua relazione «nel primo interrogatorio
del 15 dicembre da parte del PM Dott. Pizzotti, secondo la relazione del perito
sull’esame tecnico ricavato dalle registrazioni originali dell’interrogatorio,
il teste Frigerio risponde con precisione e lucidità alle varie domande e poi
descrive il suo aggressore di carnagione scura (poi precisa olivastra) capelli
corti, tanti capelli corti, grosso di stazza, capelli neri. Inoltre, su precisa
domanda risponde di non aver mai visto prima quella persona. Fra l’altro tra il
15 ed il 20 dicembre 2006 il Sig. Frigerio dirà al figlio Andrea di poter
riconoscere lo sconosciuto aggressore tramite identikit o fotografia
segnaletica. Trattandosi di fatti raccontati a pochi giorni dagli eventi questa
memoria va considerata la più genuina e affidabile». Il teste «non aveva il
minimo dubbio che l’aggressore fosse persona a lui sconosciuta. Partendo dal
presupposto che il teste non abbia mentito il contenuto di questa testimonianza
va considerata come altamente affidabile». Tutto cambia con un altro
interrogatorio reso al Luogotenete Gallorini. «All’inizio dell’interrogatorio
l’interrogante chiede: “Lei conosce Olindo il suo vicino di casa? Che abita
nella palazzina li vicino?” Frigerio‐ “Sì lo conosco di vista” Int.
“Cioè non ..l’ha…cioè…lo sa come è fatto? Cioè … lo saprebbe riconoscere
insomma?” Inter. “Voglio dire se avesse visto Olindo lo avrebbe
riconosciuto’” Frigerio‐ “Non posso essere” Inter.‐“ ..sto dicendo “ Frigerio‐
“No..” Inter‐ “Diciamo per
assurdo però lo dobbiamo fare (inc.) Se Lei avesse avuto di fronte
l’Olindo…avrebbe saputo che era Olindo…”
Frigerio “Penso di sì” Inter‐
“Pensa di sì, ma non è sicuro … Di questa figura nera di fronte, di cui lei ha
parlato nella precedenti occasioni “ Frigerio‐
(inc.) Inter. “non è in grado di escludere che sia alcuno che potrebbe
essere uno conosciuto da lei e che non abbia riconosciuto?” Frigerio
(questo sì) Inter‐ “Quindi Lei la persona l’ha guardata?” Frigerio‐
“Sì” Inter‐
“… però potrebbe non averla riconosciuta” Frigerio‐ “… caratteristiche “ Inter.
– “Le caratteristiche ma non in modo preciso“». Per il professor Strata «Questo
pressante esercizio di immaginazione avvenuto nell’interrogatorio da parte del
Luogotenente Gallorini sulla figura di Olindo ed il ripetuto tentativo di
insinuare un dubbio costituisce la più potente arma per falsificare il ricordo.
[...]Il valore della testimonianza del Sig. Frigerio, il quale ha sicuramente
sempre agito in buona fede, richiede di essere valutata con molta cautela.
Dall’esame del materiale in mio possesso non risulta che il teste Frigerio
abbia fatto dichiarazioni “senza mai mostrare contraddizioni fra una versione e
l’altra”. [...]La seconda versione deve ritenersi sicuramente influenzata dall’invito
a meditare sulla possibilità che l’aggressore fosse il Sig. Olindo Romano. La
seconda versione, quindi, non può avere un peso determinante agli effetti di
un’eventuale condanna, mentre la prima versione va considerata altamente
affidabile». Venendo, invece, alla traccia di sangue presente nell’auto di
Olindo ed attribuita a Valeria Cherubini, una delle vittime, essa ha
rappresentato uno dei pilastri della Pubblica Accusa. Infatti, la Procura ha
sostenuto (con successo) che quella traccia ematica è stata
trasportata nell’auto dei Romano da
Olindo, dopo aver calpestato il sangue delle vittime per le aggressioni mortali
da lui stesso provocate. Per il biologo forense Eugenio D'Orio, incaricato di
condurre le indagini biologiche e genetiche per conto di Azouz Marzouk, ovvero
della parte offesa, «
la “traccia di
sangue” non esiste! Quella traccia biologica, che appartiene alla vittima
Cherubini, è certamente non di provenienza ematica. Una cosa è dire che c’è
sangue della vicina di casa barbaramente uccisa nell’auto di Olindo, altra
cosa, diametralmente opposta, è dire che c’è DNA della tua vicina di casa
nell’auto, ma che questa traccia è, con certezza, non-sangue. Il che esclude, a
priori, che questa sia una “prova del delitto”». In ultimo sulla confessione:
anche gli innocenti confessano. Un esempio su tutti: Giuseppe Gulotta nel
febbraio del 2012, all'esito di una sentenza di assoluzione, dopo trentasei
anni di calvario giudiziario e ventidue anni di carcere, viene assolto per non
aver commesso il fatto. Era accusato dell’omicidio di due carabinieri ad Alcamo
Marina, in provincia di Trapani. Fu picchiato e costretto a confessare. E
ancora, come riportato nel libro 'I grandi delitti dalla “A” alla “Z”' di
Gennaro Francione ed Eugenio D'Orio, negli Usa «nel 25% dei casi in cui una persona è stata
scagionata grazie all’esame del DNA, l’imputazione era avvenuta tramite una
falsa confessione». Per quanto riguarda Olindo e Rosa, come disse uno dei
legali, Nico D' Ascola, « è vero che i Romano confessano la loro responsabilità, ma lo fanno sulla
base di una ricostruzione dei fatti nella quale l'avvocato Schembri è stato
capace di individuare ben 384 contraddizioni rispetto alla realtà dei fatti che
risulta da prove oggettive e accertate». Per chi fosse interessato, segnaliamo
una approfondita inchiesta de Le Iene, a cura di Antonino Monteleone.
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