Caiazza: stop ai magistrati fuori ruolo nei ministeri

 di Angela Stella Il Riformista 18 settembre 2021

Venerdì 24 settembre alle ore 14 partono i lavori del XVIII Congresso Nazionale dell'Unione delle Camere Penali Italiane, dal titolo "Cambiare la Giustizia, cambiare il Paese - Le proposte dell'avvocatura penale per una nuova stagione delle garanzie". L'appuntamento è all'Hotel Ergife di Roma. Tra gli ospiti illustri la Guardasigilli Marta Cartabia e il Ministro della Giustizia francese Éric Dupond-Moretti. Oltre al dibattito congressuale anche tavoli tematici sulla giustizia. Uno sguardo al recentissimo passato con il dibattito su "La Riforma Cartabia. Tra mediazione politica e scienza giuridica", nel quale interverranno tra gli altri il componente della commissione Lattanzi, avv. prof. Vittorio Manes, e il professor Giorgio Spangher, alla guida della pattuglia dell'Accademia che ha bocciato su tutta la linea il nuovo istituto dell'improcedibilità. E poi uno sguardo al futuro con il confronto sull' "Ordinamento giudiziario: la riforma indispensabile" tra Carlo Guarnieri, Ordinario di Sistemi Giudiziari Comparati Università di Bologna e Nello Rossi, Direttore rivista Questione Giustizia. Per inquadrare il contesto all'interno del quale si svolgerà la tre giorni, abbiamo sentito il Presidente dell'Ucpi, Gian Domenico Caiazza.

Presidente, la magistratura associata ha criticato la 'riforma di mediazione Cartabia' nel metodo e nel merito. Anche dal vostro palco sentiremo le medesime critiche?

Ovviamente no. Se rivolgessimo le stesse critiche che rivolge la magistratura significherebbe che qualcosa non va. Questa riforma non è la riforma che avremmo voluto. Il lavoro della commissione Lattanzi, che era molto più vicino alle nostre aspettative, è stato fortemente ridimensionato e riscritto in senso peggiorativo per le ragioni di mediazione politica che tutti conosciamo. Detto questo è innegabile che si tratti di una riforma che segna un drastico cambio di passo rispetto all'epoca del populismo di Bonafede. E non a caso ciò ha determinato, e tuttora determina, la reazione rabbiosa sia della magistratura associata sia dei corifei mediatici e politici del giustizialismo nostrano.

A proposito di questo, a ridosso dell'ultimo Cdc dell'Anm, si è innescata a distanza una polemica tra lei e il presidente Santalucia. Ci spiega meglio?

La magistratura torna alla carica e vuole rimettere mano all'improcedibilità, non paga di aver condizionato e concorso a far riscrivere anche con profili di incostituzionalità la norma sulla prescrizione, mediante la diffusione di notizie false e allarmistiche sulla pretesa insufficienza del termine di tre anni per celebrare in appello processi di mafia. Nel recente dibattito alla Festa dell'Unità a cui ho partecipato, il pm Eugenio Albamonte e l'ex procuratore Armando Spataro hanno convenuto che i soli processi che si celebrano con certezza entro il termine non di tre, ma addirittura di due anni in appello, sono proprio i processi di mafia, per evitare che gli imputati possano essere scarcerati per decorrenza dei termini di custodia cautelare. Esiste però un potere giudiziario che utilizzando una certa capacità di ricatto politico sul tema del contrasto alla criminalità organizzata interviene indebitamente sulla libera determinazione di Governo e Parlamento. Se dunque l'Anm intende rimediare ai danni causati da questa irresponsabile campagna di doloso quanto infondato allarme sociale, troverà senza esitazione i penalisti italiani al suo fianco.

Per quanto concerne la riforma del Csm, qual è il punto su cui non si può arretrare per non rischiare di ripetere gli schemi dello scandalo Palamara?

Nella proposta di riforma formulata dalla Commissione Luciani non c'è praticamente nulla che possa avere una incidenza di reale risposta alle esigenze di rinnovamento che la crisi della magistratura pone. Si tratta di interventi, non a caso concordati con l'Anm, che toccano aspetti molto marginali, quali i meccanismi elettorali del Csm, qualcosa sulle porte girevoli e poco altro. La crisi della credibilità della giurisdizione necessita di ben altre risposte. La prima: l'adozione di iniziative volte a riequilibrare il rapporto tra i poteri dello Stato, agendo sullo squilibrio di un potere giudiziario che interviene pesantemente, condizionandoli, sia sul potere legislativo che su quello esecutivo. Per correggere questa grave distorsione, noi proporremo a Congresso di prevedere il divieto del distacco dei magistrati fuori ruolo presso l'esecutivo. Questa è la prima e ineludibile riforma dell'ordinamento giudiziario. Non esiste in nessun Paese del mondo che la magistratura occupi in modo militare il Ministero di Giustizia e anche altri dicasteri. Anche se questo non è previsto dalla Commissione Luciani, non c'è nessuno che risponda alla nostra denuncia.

La seconda proposta di riforma?

L'introduzione di rigorosi criteri per le valutazioni di professionalità  e degli avanzamenti in carriera dei magistrati che abbia in considerazione anche la qualità e i risultati della loro attività in modo da ricostruire una responsabilità professionale del pm o del giudice che oggi non c'è.

Su questo punto, proposto anche dal Pd, il past president dell'Ucpi, Gaetano Pecorella, non è d'accordo.

Ho letto l'intervista di Gaetano Pecorella che è sempre per tutti noi un punto di riferimento. Noi non proponiamo un automatismo tra il risultato professionale e la valutazione. Su questo sono d'accordo anche io con Pecorella: non basta dire il processo è andato male, gli imputati sono stati assolti per mal giudicare un pubblico ministero. Questa sarebbe una semplificazione inaccettabile. Noi invece sosteniamo che nella valutazione, che oggi di fatto non esiste perché sono tutti sempre promossi, devono avere un peso - le cui modalità e limiti andranno stabiliti -  i risultati, ad esempio gli annullamenti delle sentenze, conseguiti in quattro anni, non nel singolo procedimento. Se un pm arresta 400 persone e ne vengono condannate 20 e questo succede più volte, tale dato deve essere un elemento della valutazione.  

Separazione delle carriere, riparte la discussione in Commissione Affari Costituzionale: è la volta buona?

In politica si valutano sicuramente i risultati finali ma anche il percorso che una idea fa. È difficile immaginare che in questa legislatura, dove non ci sono le maggioranze idonee per questa riforma costituzionale, si arrivi al risultato che noi speriamo. Ma è evidente che giungeremo in tempi ragionevolmente brevi, già nella prossima legislatura, al coronamento di questa grande riforma. La consapevolezza è cresciuta fortemente nelle forze politiche, nel Paese, nella stessa magistratura. Noi stiamo dando un contributo decisivo a questa presa di coscienza. Quindi, far ripartire il dibattito sulla nostra proposta è fondamentale perché ci consentirà di capire a che punto siamo in questo cammino.

Per ottenere questo risultato conta anche molto il rapporto che c'è tra magistratura e politica. Quest'ultima è pronta a svincolarsi dalla subordinazione alla prima per fare delle vere riforme?

No, incredibilmente no. All'inizio di questa intervista ho ricordato l'intervento pesantissimo a piedi uniti prima di alcuni magistrati simbolo, poi del Csm e dell'Anm sulla riforma della prescrizione. Nonostante la magistratura sia in un momento di enorme difficoltà, ha intatta la forza di scrivere insieme al Governo la propria riforma per l'ordinamento giudiziario e il Csm ma anche quella di interdizione sulla riforma della prescrizione. È talmente inveterata la dimensione ancillare della politica rispetto al potere giudiziario che quest'ultimo riesce a dettare i tempi e il merito delle scelte legislative ancora con una efficacia straordinaria. Questo è il grande terreno di battaglia che noi dobbiamo affrontare nei prossimi anni.

Tema carcere: c'è al lavoro la quinta commissione ministeriale.

La nostra idea  è molto diversa: uno delle proposte forti del nostro programma politico che illustreremo al Congresso è quella di rimettere mano di nuovo ai risultati importantissimi e straordinari degli Stati Generali dell'Esecuzione Penale, abbandonato all'ultimo miglio dal Pd, e bruciato in piazza dal primo governo Conte. Non sono possibili palliativi: il degrado delle carceri è evidente, i fatti di Santa Maria Capua Vetere non sono episodici.  La Ministra con la Commissione ha dimostrato per l'ennesima volta la sua sensibilità sul tema dell'esecuzione penale ma occorre mettere mano in modo più determinato al problema.

Lei è d'accordo con la proposta lanciata su questo giornale dal professor Fiandaca per un viceministro che si occupi solo di carcere?

È una bella idea. D'altronde proviene da uno dei giuristi più lucidi e acuti nel nostro Paese.

 


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