Intervista ad Adolfo Scalfati

 di Valentina Stella Il Dubbio 29 luglio 2021

Per Adolfo Scalfati,  Professore ordinario di Diritto Processuale Penale presso il Dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Roma “Tor Vergata”, il doppio binario richiesto dal M5s, diretto ad escludere dall'improcedibilità per irragionevole durata i reati di mafia e terrorismo, presenta rischi di incostituzionalità. Vediamo perché.

Siamo ancora in attesa di un testo definitivo frutto della trattativa Governo - M5s ma sembrerebbe che l'accordo sia stato trovato escludendo l’improcedibilità per durata eccessiva nelle vicende per delitti di mafia e di terrorismo. Qual è il suo parere ?

Ferma la mia contrarietà all'ibrido fenomeno della cd. prescrizione processuale, a me pare che si punti al negoziato politico più che alla ragionevolezza del risultato. Ipotizzare la cd. prescrizione processuale per una parte dei reati e la sua radicale assenza per altra (non marginale) area di delitti significa che, in queste ultime ipotesi,  si legittima il baratro giudiziario di un processo sine die. Messe così le cose, senza alcuna proporzionalità dell'intervento legislativo,  sarebbe violata non solo la ragionevole durata del processo ma anche la presunzione di non colpevolezza per l'irragionevole disparità di trattamento tra imputati. È evidente che taluni giudizi potrebbero richiedere una più lunga durata, ma ciò non può dipendere dalla "qualità" del delitto; né si possono paralizzare "per categoria" i meccanismi volti a garantire tempi certi della definizione giudiziaria.

Nel nostro sistema abbiamo già esempi di doppio binario. Forse potevamo fare a meno di un altro.

Il doppio binario rappresenta sicuramente una criticità; sembra che ci sia un codice per gli imputati onesti e uno per quelli disonesti. Bisognerebbe ricordare a taluni che l'imputato non assume differenti qualità (artt. 24 comma 2 e 27 comma 2 Cost.) in relazione al reato di cui è accusato. Qualcuno dimentica che le garanzie procedurali valgono per tutti. L'idea del doppio binario non è recente; anzi, la codificazione varata nel 1989 ne ha via via approfondito il solco.  Ma non si può arrivare ad una soluzione come quella ipotizzata secondo cui, per alcuni imputati, dopo la condanna in primo grado (ne restano ancora due) il processo potrebbe avere una durata illimitata. Tra l'altro, tutto questo rischia di violare il principio rieducativo previsto dall'art. 27 comma 3 Cost.: è inaccettabile applicare una pena, soprattutto se detentiva,  dopo molti anni dai fatti.

Sarebbero esclusi dalla improcedibilità anche i processi per reati quali il 416 bis, criticato da molti giuristi in quanto frutto di una giustizia creativa.

Che l'associazione per delinquere di stampo mafioso abbia carattere creativo ce lo ha ricordato anche la Corte edu con riguardo al cd. concorso esterno. È evidente che la tipicità assai elastica della fattispecie consente contestazioni ad ampio raggio da parte del pubblico ministero, prive di un reale controllo. Detto questo, mi pare che il testo della trattativa con il M5s richieda che la mancata improcedibilità riguardi anche fatti diversi da quello contenuto nell'art. 416 bis del codice penale, di più ridotta portata, purché accompagnati dall'aggravante del metodo mafioso; la qual cosa, oltre a irrobustire l'impiego di strumenti a bassissima tassatività, mette in campo un'ulteriore ipotesi allarmante: l'imputato di reati che prevedono pene contenute (es. turbata libertà degli incanti, aggravata dall'agevolazione al gruppo associativo) può subìre un processo sine die.

In che misura gli aggiustamenti alla norma sopra descritti potrebbero diventare un'arma in mano alle Procure? Prendiamo questo scenario: viene arrestato un individuo e gli si contesta un reato per cui è esclusa l'improcedibilità solo per ottenere le sue dichiarazioni.

Nell'ortodossia giudiziaria questo pericolo non si dovrebbe nemmeno ipotizzare. Ma chi frequenta le aule giudiziarie sa che vicende del genere esistono e costituiscono una patologia. Non vi è dubbio che si tratta del vecchio metodo autoritario, secondo cui viene privata la libertà sulla base di una contestazione particolarmente grave affinché il malcapitato faccia dichiarazioni contro di sé e (soprattutto) contro altri, in cambio di qualche beneficio. Del resto, già l'articolo 416 bis comma 1 c.p. contempla una possibilità del genere: colui che collabora sfugge alla circostanza aggravante del metodo mafioso.  Adesso, dinanzi alla prospettiva di un "fine processo mai", queste ipotesi sono destinate ad aumentare.

Professore si attendeva da tanto una riforma. Siamo sulla strada giusta?

Abbiamo fatto passi avanti dal punto di vista culturale; le dichiarazioni dell'attuale Ministro sono proiettate in una prospettiva diversa rispetto al passato. Però, stiamo verificando che le strette maglie dei negoziati politici determinano soluzioni di tipo opposto; e questa in cantiere penalizza le libertà fondamentali: non si persegue la ragionevole durata del processo mediante l'assenza, in determinate e non rare ipotesi, di meccanismi che impongano tempi giudiziari certi; anzi, la soluzione prescelta rappresenta la negazione del principio. In linea di fondo, peraltro, la ragionevole durata non va conseguita a detrimento delle libertà ma mediante: organizzazione degli uffici giudiziari, maggiori risorse ai distretti, formazione degli addetti, eliminazione dei tempi morti della procedura. Qui invece stiamo andando in una direzione completamente diversa.  

La direzione giusta sarebbe stata diritto penale minimo, indulto e amnistia?

Non si può procedere sempre a suon di indulti perché mina la credibilità del sistema giudiziario.  Sul piano del metodo, la riforma avrebbe dovuto partire da zero, eliminando la disciplina voluta a tutti costi dal precedente Ministro. A voler essere realisti, comunque, i tempi non sono maturi per rivoluzioni sistemiche, data l'incertezza del clima politico. Ma si poteva  irrobustire il diritto penale minimo, ricorrendo ad una massiccia depenalizzazione (anziché iniettare continue ipotesi criminose come sta facendo il Parlamento) e soprattutto ampliare, più di quanto il disegno di legge in discussione ipotizzi, percorsi riabilitativi e di mediazione. Invece, persevera un'idea autoritaria che affida all'apparato giudiziario il potere di controllo e punizione.   


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