La salute di Matteo Messina Denaro non è questione politica

 Valentina Stella Dubbio 10 agosto 2023

«Matteo Messina Denaro si è risvegliato dall'operazione che è andata molto bene, è vigile e attivo. È in terapia intensiva solo per prassi dopo interventi del genere». Lo ha detto il garante dei detenuti in Abruzzo, Gianmarco Cifaldi dopo l'intervento a cui due giorni fa il boss mafioso è stato sottoposto all'ospedale de L'Aquila. «La degenza in ospedale dipende dalla combinazione tra il consulto sanitario e gli approfondimenti del Dap che deve valutare le azioni per garantire la sicurezza interna ed esterna – ha affermato ancora Cifaldi -. Tutte le azioni vanno a garantire i diritti costituzionali sia per il boss sia per tutte le persone libere». Si è trattato di un intervento chirurgico dovuto a una «ostruzione che non è strettamente legata al cancro», ha detto l'equipe medica che lo segue. Al momento non ci sarebbero complicazioni. L’avvocato Alessandro Cerella, che dallo scorso giugno affianca la nipote dell’ex primula rossa, l’avvocato Lorenza Guttadauro, nella difesa del capomafia ieri mi ha detto: «lo Stato ha vinto quando lo ha arrestato, ma perderebbe se gli negasse i suoi diritti, quali quello alla salute». E cosa ne pensa la politica? Abbiamo un po’ faticato a trovare qualcuno disposto ad esporsi, forse la doverosa difesa del diritto alla salute di Matteo Messina Denaro potrebbe essere impopolare tra gli elettori. Comunque il senatore dem Walter Verini ci ha detto: «lo Stato deve rispettare la salute e la dignità dei detenuti, anche di coloro che - come Messina Denaro - si sono macchiati di crimini efferati e non hanno avuto il benché minimo rispetto per le vittime e per lo Stato stesso. Mi pare che lo Stato lo abbia fatto e lo stia facendo, consentendo in questi mesi al detenuto di sottoporsi a cicli di cura in ospedale, fino all’intervento chirurgico dell’altro ieri. Se medici e sorveglianza valutano la compatibilità delle sue condizioni con il carcere, è giusto che torni lì o in una struttura carceraria di alta sicurezza, dotata di adeguato centro medico. Ci sono stati, del resto, anche precedenti in questo senso. Fuori di questo perimetro vedo solo rischi di segnali molto sbagliati dello Stato di fronte ad un criminale mafioso». Dello stesso parere Devis Dori, capogruppo Avs in commissione Giustizia: «Le cure fuori dal carcere devono essere un'assoluta eccezione e comunque solo per esigenze e tempi strettamente necessari, per poi rientrare in carcere, dove già è stato allestito ciò che serve. Qui non c'è in campo solo la tutela della salute individuale, ma anche e soprattutto le esigenze di sicurezza generale. Lo Stato sta già facendo ciò che è possibile per garantirgli il diritto alla salute. Lo Stato vince non solo quando si sforza di garantire i diritti, ma anche quando non perde la memoria di ciò che la giustizia ha già accertato». Lapidaria la capogruppo M5S in commissione Giustizia alla Camera Valentina D'Orso: «il diritto alle cure va sempre garantito dallo Stato senza eccezioni». Nella maggioranza ha parlato solo il senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin: «La questione non è politica ma è del giudice di sorveglianza che sarà chiamato a valutare l’istanza della difesa. Va detto comunque, come dimostrato anche nel caso Cospito, che alcune nostre carceri sono dotate delle strutture sanitarie all’altezza anche di quadri clinici complessi».  Pensiero simile espresso all’Adnkronos da Marco Cappato, candidato a Monza alle elezioni suppletive per il seggio al Senato, rimasto vacante dopo la scomparsa di Berlusconi: «La decisione se riconoscere o meno le condizioni di incompatibilità con il regime carcerario di 41 bis è una decisione tecnica, basata sulle reali condizioni sanitarie del detenuto. Non deve in alcun modo diventare terreno di scontro sulla base di giudizi politici. Le leggi ci sono, bisogna applicarle».  «Signor Matteo Messina Denaro ho saputo dalla tv che lei si è aggravato ed è stato portato in ospedale, mentirei a lei e a me stessa se le dicessi con ipocrisia e falsità che mi dispiace». Inizia così la lettera aperta che Graziella Accetta, la mamma del piccolo Claudio Domino, il bimbo di 11 anni ucciso dalla mafia 37 anni fa, ha indirizzato all’ex primula rossa di Castelvetrano. «Assolutamente no, non mi dispiace, accetti la mia franchezza, lei purtroppo ha fatto crimini così efferati che non si possono perdonare, che nemmeno il Padreterno potrebbe perdonarle, ma due parole gliele voglio dire. Si ricordi che quello che non si paga sulla terra per i credenti si paga in cielo, alleggerisca la sua anima, collabori, ci dica quel che sa, ci dica la verità e chi sono i veri ‘traditori’ di questo Stato», ha concluso la donna. «Ricordo quando, da presidente dell’Anm, - disse il Segretario di Area Dg Eugenio Albamonte -  venni aggredito pesantemente, anche dagli altri gruppi associativi, quando appoggiai una decisione della Cassazione che, annullando con rinvio un provvedimento della Sorveglianza relativo alla compatibilità della condizione di Totò Riina col carcere, chiese una valutazione più approfondita della situazione. Dissi che così lo Stato si dimostrava più forte della mafia, perché coltivava i principi di civiltà e non quelli dell’odio e della segregazione a prescindere. Rimasi isolato completamente. A&I che era in giunta mi fece un doc contro. Md restò zitta. Mi attaccò l’intero quadro politico nazionale, destra e sinistra unite».

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