Dl su criminalità organizzata in Cdm

 Valentina Stella Dubbio 2 agosto 2023

Il Governo sarebbe al lavoro su un decreto legge in materia di giustizia che dovrebbe, tra l'altro, rivedere il reato di criminalità organizzata, come annunciato a metà luglio per venire incontro alle preoccupazioni dell'Antimafia. Secondo quanto ha appreso l'Ansa il testo, in corso di limatura, potrebbe arrivare sul tavolo del Consiglio dei ministri di lunedì prossimo, probabilmente l'ultimo prima della pausa estiva. Possibile che il provvedimento contenga anche qualche intervento sulle intercettazioni e la nomina della nuova terna del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale, che poi passerà all’esame delle Commissioni competenti. Il 17 luglio la premier, per mettere una pezza alle dichiarazioni di Nordio su una possibile revisione del concorso esterno e praticamente alla vigilia della commemorazione della strage di Via D’Amelio, annunciò un decreto legge per «rimediare» a una «recente sentenza della Cassazione» che potrebbe mettere a rischio alcuni processi di mafia, lasciando impuniti delitti gravi di cui non emerge nettamente il collegamento con la criminalità organizzata. L’intento del Governo è quello di chiarire «una volta per tutte» cosa debba intendersi per «reati di criminalità organizzata». Ad essere presa di mira la sentenza 34895 del 2022, (Presidente Angela Tardio, relatore Filippo Casa) la quale ha stabilito che non è sufficiente l’aggravante di mafia per accedere al regime semplificato del dl 152/91, in sintesi per parlare di criminalità organizzata. A spiegare le criticità è stata la stessa premier: «La Cassazione ha affermato che possono farsi rientrare ‘nella nozione di delitti di criminalità organizzata solo fattispecie criminose associative, comuni e non’». Il problema, secondo lei, è che, ad esempio, «un omicidio commesso avvalendosi di modalità mafiose, o commesso al fine di agevolare un'associazione criminale, non sarebbe un delitto di criminalità organizzata, secondo la Cassazione». La stessa preoccupazione era stata sollevata dal Procuratore Nazionale Antimafia, Giovanni Melillo, in un convegno organizzato a marzo scorso da AreaDg, dove dichiarò: «dire che un omicidio di mafia non è un delitto di criminalità organizzata è obiettivamente qualcosa che si fa fatica a spiegare; su questa strada si sta incrinando la sorte di tutti processi di criminalità organizzata ancora non definiti con sentenza passata in giudicato». La questione aveva suscitato polemiche sia nel merito che nel metodo. Persino il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia aveva espresso forti perplessità: «La politica, paradossalmente, sembra sedotta talvolta dalle istanze della magistratura requirente. Ora si discute di una sentenza della Corte di Cassazione in materia di definizione della nozione di criminalità organizzata, se ne lamentano i pubblici ministeri, e il Governo rassicura: “rimedieremo ad un errore della Corte di Cassazione”». Lo stesso pm Eugenio Albamonte da questo giornale ha detto in proposito: « La politica sembra applaudire i pm antimafia, anche per ragioni di consenso popolare, e ostacolare in tutti i modi quelli che si occupano di altri settori, soprattutto quelli di criminalità economica e di reati contro la PA». Anche la vice presidente del Senato, la dem Anna Rossomando, in una intervista al Dubbio qualche giorno fa ha criticato il modus operandi: «Premetto che la sentenza della Cassazione a cui si fa riferimento è nel solco di una giurisprudenza consolidata e pluriennale. Quindi non siamo in presenza di un contrasto tra pronunce. A fronte di questo, intervenire con un decreto legge di interpretazione autentica perlopiù in materia penale, è sicuramente inappropriato. Se ci sono delle criticità, quali quelle espresse dal Procuratore Antimafia Melillo, allora il legislatore può intervenire con un disegno di legge». Forti critiche erano arrivate pure da parte del presidente dell’Unione Camere Penali, Gian Domenico Caiazza, che dalle colonne del Riformista, ha spiegato: «quella sentenza -per chiunque sappia di cosa tecnicamente stiamo parlando- non fa che ribadire un principio tanto banale quanto consolidato da molti anni, anche da pronunce delle Sezioni Unite. E cioè questo: se una Procura sceglie di contestare a Tizio un reato comune “aggravato dalla modalità mafiosa”, e non anche il reato di associazione mafiosa, non possono applicarsi le regole ultra-invasive (trojan, durata delle intercettazioni, luoghi intercettabili e così via) eccezionalmente previste per tale ultimo reato. Un principio di garanzia e di stretta legalità che rende onore alla ferma giurisprudenza della nostra Suprema Corte, ma che è anche abbastanza ovvio». Un giudizio negativo era arrivato altresì dall’ex presidente dell’Ucpi, Valerio Spigarelli, che sull’Unità ha scritto: «È la solita storia, quando gli ermellini fanno il mestiere loro in senso garantista in tema di mafia – e non è che succeda tutti i giorni – c’è sempre qualcuno che tira loro la giacca. I governativi che contano, Meloni e soprattutto il suo personale cardinal Mazzarino, il sottosegretario Mantovano, prendono la palla al balzo e si buttano sotto l’ala dell’antimafia doc, dicendo non solo che Melillo ha ragione, ma che provvederanno loro a sistemare la cosa con un bel decreto-legge che insegni ai giudici di Piazza Cavour come vanno interpretate le norme di riferimento».


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