Nordio fiancheggiatore dei Nar

 Valentina Stella Dubbio 2 agosto 2023

Come ogni anno, all’avvicinarsi alla commemorazione della Strage di Bologna, non mancano le polemiche. Quella più forte arriva probabilmente da Paolo Bolognesi, presidente dell’associazione familiari delle vittime, che, in un'intervista a La Stampa, ha attaccato pesantemente il Ministro della Giustizia Nordio il quale avrebbe dato addirittura «un assist ai terroristi». Come è noto la Corte d’assise di Bologna ha condannato alla pena dell’ergastolo Gilberto Cavallini riconoscendolo colpevole di concorso nel reato di strage. Racconta Bolognesi: «Gli avvocati del terrorista neofascista Cavallini hanno chiesto l’annullamento della condanna di primo grado sostenendo che quattro giudici popolari avevano superato il limite dei 65 anni, previsto dalla legge. E si basavano su due precedenti in Sicilia. Noi abbiamo ribattuto che la legge prevede il limite di età al momento della nomina, non alla fine del processo». E Nordio che c’entra, chiede il giornalista? «Rispondendo ad un question time in Parlamento ha detto che esiste una sentenza delle Sezioni Unite della Cassazione favorevole alla tesi di Cavallini, è questo è falso. Ma nessuno ha protestato. Nemmeno quando la Cassazione ha confermato la nostra tesi». Le cose stanno realmente così?  Partiamo dall’inizio, ossia da una interrogazione presentata dalla senatrice Musolino (Gruppo per le Autonomie) a gennaio: «due diverse Corti d’assise d’appello (Palermo e Messina) hanno “annullato” la condanna di imputati accusati di reati gravissimi sul presupposto che due giudici popolari avevano superato i 65 anni di età al momento della pronuncia della sentenza. Alcuna disposizione nella legge prevede che al raggiungimento di questo limite operi una decadenza dell'incarico […] Si chiede di sapere se il Ministro in indirizzo non ritenga necessario disporre una verifica sulla vicenda descritta e se non ritenga di intervenire con urgenza per scongiurare, anche mediante un provvedimento di interpretazione autentica, che un caso simile possa verificarsi ancora». Il Ministro ammise la serietà e la complessità di un problema con il quale la Cassazione si sarebbe già confrontata, esprimendo un orientamento costante, nel ritenere che la piena assimilazione della figura del giudice popolare con quella del giudice togato riguardi anche l’età. «L'orientamento consolidato della Cassazione impedisce qualsiasi attività ispettiva, perché le corti si sono adeguate a tale orientamento consolidato e, quindi, a una sorta di interpretazione autentica che danno le sezioni unite della Corte di cassazione» risposte il Guardasigilli. Si riferiva ad esempio alla sentenza 957/2003 della V sezione della Cassazione: «Essendo il requisito dell’età una delle condizioni di capacità dei giudici popolari (art. 9 della legge n. 287/1951), è evidente che tale elemento non può essere inteso come riferito esclusivamente al momento della iscrizione negli albi comunali o, al massimo, sino al successivo momento dell'estrazione per la formazione del collegio. Il venir meno del suddetto requisito anagrafico opera illico et immediate e impedisce automaticamente l’ulteriore espletamento delle funzioni giudiziarie da parte del soggetto che ne sia privo, essendo inammissibile una sorta di prorogatio, oltre i termini fissati dalla legge, delle condizioni di capacità del giudice popolare, che vengono meno con il raggiungimento del sessantacinquesimo anno di età, esattamente come avviene per i giudici togati al raggiungimento dell’età massima di 70 anni». Inoltre capiamo bene: Nordio non disse che esiste una decisione della SU ma che l’orientamento era talmente consolidato da far ritenere l’esistenza di una interpretazione autentica delle SU. Il Ministro comunque annunciò di «rimodulare completamente la legge, in modo da allineare l'età dei giudici popolari con quella dei giudici togati».  È vero che la questione rimaneva comunque aperta, visto che a maggio la Cassazione ha annullato con rinvio la decisione della Corte d’Assise d’Appello di Palermo perché a suo dire il superamento del tetto dei 65 anni dei giudici popolari, presenti nel collegio giudicante, non fa scattare la nullità della sentenza. Nordio, come promesso, ha inserito nel suo ddl, incardinato proprio ieri nella Commissione Giustizia del Senato, la seguente previsione: «Si introduce una norma di interpretazione autentica per chiarire che il requisito di età massima fissato per i giudici popolari delle Corti d’Assise in 65 anni deve sussistere soltanto al momento della nomina. Si evita così il rischio che – in procedimenti per gravissimi reati anche per mafia e terrorismo – siano ritenute nulle le sentenze pronunciate da Corti d’Assise nelle quali un giudice popolare abbia superato i 65 anni durante il processo», si legge in una nota di sintesi di Via Arenula. Lo ha ribadito ieri lo stesso responsabile di Via Arenula in un comunicato: «43 anni dopo quel vile attacco, rinnoviamo la vicinanza ai familiari delle 85 vittime e dei 200 feriti e all’intera comunità di Bologna, che negli anni ha saputo trasformare il dolore in impegno civico e in sostegno all’attività dei magistrati. In sede giudiziaria, è stata accertata la matrice neofascista della strage e ulteriori passi sono stati compiuti per “ottemperare – come ebbe a ricordare il capo dello Stato - alla inderogabile ricerca di quella verità completa che la Repubblica riconosce come proprio dovere”. In nome di quest’essenziale obiettivo, il Ministero della Giustizia si sforza di assicurare ogni supporto possibile agli uffici giudiziari impegnati nelle indagini sul terrorismo, come contro la mafia: così già nel primo pacchetto di riforme approvate dal Consiglio dei Ministri a giugno è stata inserita una norma, per evitare che potessero essere annullate sentenze per gravissimi reati. È stato chiarito che il requisito dei 65 anni, come età massima dei giudici popolari delle Corti d’Assise, deve sussistere soltanto al momento della nomina. Le preoccupazioni di Bologna devono essere fugate in via definitiva». Quindi sostenere che Nordio abbia fornito un assist ai terroristi appare una considerazione spropositata e svincolata se si guarda al complesso contesto giuridico e alla novità normativa. L’altra polemica che sta tenendo banco è la richiesta da parte della destra di istituire, appellandosi a nuovi documenti dei servizi, una Commissione parlamentare di inchiesta «sulle connessioni del terrorismo interno ed internazionale con gli attentati, le stragi e i tentativi di destabilizzazione delle istituzioni democratiche avvenuti in Italia dal 1953 al 1992». La proposta non piace al Partito Democratico: «Le sentenze sulla strage oggi ci sono. Diciamo quindi no  - ha detto il presidente della Regione Emilia-Romagna, il dem Stefano Bonaccini - a chi, anche in Parlamento, pensa di poter attenuare le responsabilità fin qui accertate, o avviare operazioni di revisionismo o di riscrittura di quanto accaduto e sancito dai Tribunali, risultati preziosi raggiunti con così tanta fatica». Da ultimo c’è molta polemica sull’assenza oggi a Bologna della premier Giorgia Meloni che manda Piantedosi. Due anni fa andò Cartabia, senza Draghi. E comunque la premier mantiene la sua coerenza forse con questa assenza considerato che proprio l’anno scorso dichiarò: « La strage alla stazione di Bologna di 42 anni fa rappresenta una ferita aperta per tutta la Nazione. Gli 85 morti e gli oltre 200 feriti meritano giustizia, per questo continueremo a chiederla insieme alla verità. Lo dobbiamo alle famiglie delle vittime e a tutto il popolo italiano». 


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