Intervista a Stefano Musolino

 Valentina Stella Dubbio 9 agosto 2023

In nome delle garanzie sancite dalla Cassazione e dalle Corte Superiori le aspettative dell’Accusa devono giustamente pagare un prezzo: è questo il messaggio, forse inaspettato da un pm antimafia, che ci consegna Stefano Musolino, Segretario di Magistratura democratica, che aggiunge: la politica è vittima e protagonista del populismo penale. 

Approvato due giorni fa un decreto legge per rimediare ad una sentenza della Cassazione. Come giudica questa azione del Governo?

Come una preoccupante forma di autoritarismo applicato alle dinamiche giurisprudenziali, perché dimostra la sfiducia del Governo nella capacità dell’ordinaria dialettica giurisprudenziale di individuare il migliore equilibrio tra i valori coinvolti. Peraltro, la sentenza che ha giustificato l’intervento urgente del Governo è risalente ad oltre un anno fa ed è stata emessa da una sezione semplice della Corte, quindi non aveva la capacità persuasiva e nomofilattica delle pronunce a Sezioni Unite. 

Comunque la sentenza Tardio/Caso messa sotto accusa recepiva decisioni delle SU (Petrarca, Donadio e Scurato).  

In realtà la Scurato sembrava inserire tutto il catalogo del 51 comma 3bis cpp nell’articolo 13 del dl 152/91. Questo, al di là del dettaglio tecnico, dimostra che c’era un dibattito sul tema. Contrariamente a quanto si percepisce, lo stabilizzarsi dell’interpretazione giurisprudenziale non è assimilabile ad una linea orizzontale, ma piuttosto ad una linea oscillante che giunge ad un punto di equilibrio in esito ad affinamenti progressivi. Il diritto e la sua interpretazione devono poter respirare; in questa vicenda, invece, il mantice giurisprudenziale è stato soffocato dal rigido autoritarismo governativo. 

Entrando nel merito: si prevede l’estensione ad una serie di ipotesi di reato di criminalità grave - come quelli aggravati dal “metodo mafioso”, con finalità di terrorismo, reati di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti e sequestro di persona a scopo di estorsione - degli strumenti di investigazione disciplinati dalla legislazione in materia di criminalità organizzata. Da pm antimafia è d’accordo?

Le preoccupazioni vanno comprese, perché i pubblici ministeri hanno operato confidando in alcune regole; se queste vengono cambiate, a cagione di un mutamento giurisprudenziale, importanti risultati processuali possono venire meno. Tuttavia, l’Accusa esprime le preoccupazioni di una parte processuale (seppure posta a tutela di interessi pubblici), mentre la giurisprudenza della Cassazione tutela tutti i diritti coinvolti, avendo cura di salvaguardare anche quelli del soggetto che subisce il processo. Era già avvenuto, dopo le Sezioni Unite Cavallo: c'è sempre un prezzo da pagare ogni qualvolta un intervento della Cassazione determina una maggiore tutela dei diritti, ma io credo che sia un prezzo che bisogna accettare, per quanto caro esso sia, perché è questa la dinamica di affinamento e protezione dei diritti che la Costituzione affida alla giurisprudenza. Faccio alcuni esempi…

Prego.

Sezioni Unite Mannino: stabilì delle regole più rigorose per il concorso esterno, altrettanto fecero le Sezioni Unite Franzese sulla causalità; in conseguenza ‘caddero’ una serie di importanti processi impostati su regole probatorie diverse da quelle accreditate dalla Corte. Questa, però, è la fisiologia del sistema di affinamento giurisprudenziale nella tutela dei diritti, non una patologia che giustifica un intervento tramite decretazione d’urgenza.

Il professor Giorgio Spangher ha detto: «quando la giurisdizione dà delle interpretazioni di garanzia c’è una parte della magistratura, quella soprattutto dell’Antimafia, che reagisce sostenendo che i principi stabiliti in esse non siano funzionali agli accertamenti. E la politica si piega attuando correttivi addirittura a decisioni delle Sezioni Unite. La politica invece resta inerme dinanzi invece a situazioni di minore tutela dei diritti previsti nel nostro codice di rito; per questi casi occorre attendere che la giurisdizione, nei limiti, si adegui alle decisioni di maggiore tutela delle garanzie della Corte Costituzionale, della Cedu, della Corte di Giustizia europea». Condivide?

Mi pare che quello di Spangher sia un resoconto piuttosto fedele. È quello che è accaduto fino ad ora, nella maggior parte dei casi: mentre la giurisprudenza si assume la responsabilità di tutelare i diritti, il Parlamento è protagonista del populismo penale, per ossequiare il quale i diritti vanno in sofferenza.

Il suo collega Albamonte ha detto: «La politica sembra applaudire i pm antimafia, anche per ragioni di consenso popolare, e ostacolare in tutti i modi quelli che si occupano di altri settori, soprattutto quelli di criminalità economica e di reati contro la PA». Lei è d’accordo?

La semplificazione è efficace, ma il tema è più complesso. Ci siamo dimenticati della lezione impartitaci durante l’emergenza pandemica, quando lo Stato ha avuto la necessità di ricorrere a imponenti interventi a sostegno della sanità, dei cittadini più bisognosi e delle imprese. Allora appariva evidente la necessità anche per l’Italia di adeguarsi al rigore con cui la normativa comunitaria tutela gli interessi finanziari pubblici. Le proposte attuali, invece, vanno in direzione opposta (ad esempio in materia di sanatoria tributaria). Quindi condivido la valutazione di Albamonte, perché al fondo sottende il problema più generale relativo al modo in cui intendiamo il diritto ed il processo penale e quindi il modo di governarlo. Il populismo penale si alimenta proprio per questo: dà apparente protezione ad insicurezze sociali (spesso più percepite che reali, perché alimentate dai media), mentre ignora l’aggressione di rilevanti interessi pubblici, trascurati dalla narrazione mediatica concentrata a cavalcare le emozioni; così si distrae l’opinione pubblica e si omette una più efficace tutela degli interessi finanziari dello Stato e, più in generale, non si tutela l’ordine pubblico economico, agevolando poteri economici opachi.

A proposito di panpenalismo, nel decreto approvato due giorni fa si innalza la pena edittale minima prevista per l’ipotesi di incendio doloso: da quattro anni a sei anni di reclusione e si prevede una aggravante. Non si tratta dell’ennesima contraddizione del Ministro Nordio che non molto tempo fa diceva: «La sicurezza va garantita in modo preventivo e non con l’inasprimento delle pene»?

Ha detto bene lei, è l’ennesima contraddizione del Guardasigilli. Vorrei chiedere a chi ha proposto l’aumento delle pene, quale esito si attenda. Si tratta dell’ennesimo, goffo tentativo di neutralizzare la paura e la legittima rabbia sociale per gli incendi di quest’ultimo periodo. Si fa credere ai cittadini che una sanzione penale più severa risolva i problemi; mentre questi restano e la giustizia viene caricata di aspettative che non le sono proprie.

Scioglimento dei Comuni per mafia. In questi giorni, con una serie di articoli, abbiamo messo in evidenza le falle dell’attuale normativa, arrivando a dire che forse dietro ogni scioglimento c’è semplicemente del puro arbitrio. Concorda?

Prima ancora delle valutazioni sull’evanescenza della fattispecie, mi piacerebbe si potesse giudicare, laicamente, la sua efficacia. Parlo dalla mia esperienza di cittadino calabrese che ha assistito allo scioglimento, anche reiterato (verrebbe da dire ostinato!), di numerosi Comuni. Ebbene gli effetti sono stati deludenti: è peggiorata la qualità amministrativa, senza autentici effetti “liberanti” per gli enti coinvolti. Soverchiare l’esito di una libera elezione democratica, istituendo un Commissario sulla base di valutazioni approssimative (perché così previste dalla legge), impone degli oneri. Se lo Stato non riesce ad imprimere un’autentica svolta in termini di efficienza e legalità dell’ente coinvolto, il sistema avrà fallito il suo obiettivo funzionale, culturale e sociale. La norma sullo scioglimento degli enti è stata ispirata da una logica emergenziale. Credo sia giunto il tempo di ripensarla. 

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