Intervista a Giovanni Fiandaca

 Valentina Stella Dubbio 15 agosto 2023

Con il professor Giovanni Fiandaca, emerito di diritto penale all’Università di Palermo e già Garante dei diritti dei detenuti siciliani, affrontiamo il dramma dei suicidi in carcere e il tema delle possibili soluzioni per migliorare l’esecuzione penale.

Susan John e Azzurra Campari sono le due donne che si sono suicidate in carcere a Torino. Cosa ci consegnano queste vicende?

Queste tristissime vicende confermano e ribadiscono che la situazione penitenziaria presenta aspetti di così cronicizzata drammaticità che sarebbe finalmente il caso di affrontarli, innanzitutto sul piano politico governativo, con soluzioni e mezzi davvero adeguati. Ma dubito purtroppo che in atto vi siano, oltre alla volontà, le idee e le reali competenze per farlo.

Il Ministro Nordio in un'intervista al Corriere ha detto: 'Per quanto ho potuto capire era stato fatto tutto il dovuto. Ma la prevenzione di un suicidio è praticamente impossibile: persino due prigionieri del processo di Norimberga si tolsero la vita, uno impiccandosi e l’altro avvelenandosi, benché sotto il controllo della polizia militare'. Secondo lei è un paragone azzeccato?

Non è un paragone indovinato. L’accresciuto rischio di suicidi, e più in generale di atti autolesivi, è prevedibile quantomeno in astratto, specie nel periodo estivo che determina, come noto, in molte persone recluse un aggravamento del sentimento di solitudine e di abbandono, in particolare se si tratta di persone fragili o al primo impatto con la prigione. Certo, è complicato verificare di volta in volta in che misura questo rischio astratto tenda a diventare concreto. Tuttavia non manca soltanto una sufficiente dotazione di psicologi e psichiatri per far  fronte oggi alla maggiore vulnerabilità di non pochi detenuti. Nella mia esperienza di Garante regionale, ho maturato l’impressione che il personale specialistico, pur disponibile, non sempre possegga la competenza e l’esperienza necessarie per accertare il grado di possibile concretizzazione del rischio suicidario. Essere anche bravi psicologi o psichiatri non equivale ad essere automaticamente esperti delle reazioni psicologiche riconducibili alla cosiddetta sindrome di prigionizzazione e all’insieme degli effetti ulteriormente desocializzanti dello stato detentivo.

Il Guardasigilli ha aggiunto: 'Va detto, però, che la nostra situazione carceraria è la sedimentazione di decenni di disinteresse, per non dire di errori, trascuratezze ed economie esasperate'. Non è una scusa per deresponsabilizzarsi?

Che la situazione carceraria sia trascurata da decenni è vero, in questo Nordio ha ragione. Solo che ora tocca a lui affrontare i tanti problemi incancreniti e non lo invidio. Penso però da tempo che per prendere veramente in mano la situazione non basti un Guardasigilli, eventualmente più attento e sensibile. Ho maturato la convinzione, come ho detto in precedenti interviste, che occorrerebbe un soggetto politico apposito, dotato di pregresse conoscenze ed esperienze in materia che presieda a tempo pieno e con autonomia alla politica penitenziaria, e più in generale, all’intera esecuzione penale: insomma una sorta di Ministro specificamente addetto al settore, operante in diretto collegamento con la Presidenza del Consiglio e non un delegato come avviene oggi con il Ministro della Giustizia. Quest’ultimo infatti deve occuparsi di troppe cose per potere dedicare una continua attenzione alle carceri e d’altra parte mi pare improprio che le scelte politiche specifiche in campo penitenziario finiscano con l’essere di fatto delegate al capo del Dap, che è più un vertice amministrativo che un decisore politico.

Nordio propone le caserme dismesse come soluzione per contrastare il sovraffollamento. Che ne pensa?

A me pare che la trovata della caserma sia un comodo diversivo o palliativo. Intanto vi è incertezza sull’effettiva disponibilità quantitativa di caserme dismesse. Inoltre, ammesso e non concesso che si tratti di una soluzione astrattamente praticabile, i tempi di attuazione sul piano tecnico burocratico sarebbero comunque lunghi. Ma il rilievo a mio avviso determinante è che la dimensione spaziale della detenzione non è da sola decisiva per incidere sui disagi psichici e le condizioni di fragilità e vulnerabilità psicologica. La vera esigenza è di disporre di educatori e psicologi in numero adeguato e professionalmente attrezzati. Questa è a mio giudizio la priorità.

Quali sarebbero invece le altre soluzioni per lei da attuare a medio e lungo termine?

Le soluzioni giuste sono note da parecchio tempo, almeno in linea teorica. Premesso che il carcere in molti casi è veleno piuttosto che medicina, il vero rimedio consiste nel ridurne drasticamente l’impiego: estendendo legislativamente i presupposti e le tipologie delle sanzioni extra detentive, evitando comunque l’ingresso in carcere alle persone fragili responsabili di reati di modesta gravità, consentendo ai non pochi soggetti con pene residue molte basse di essere affidati a strutture socio-assistenziali che ne agevolino il reinserimento nelle realtà esterna. Insomma, occorrerebbe prendere una buona volta sul serio il principio della pena detentiva come extrema ratio. Sono sicuro che Nordio sia in teoria d’accordo. Però non basta un Ministro della Giustizia di cultura liberale per promuovere inversioni di tendenza nella politica sanzionatoria. La questione non è personale ma sistemica e temo purtroppo che l’attuale contesto sistemico induca ad essere ancora alquanto pessimisti.

Quindi è impossibile pensare a provvedimenti quali l’indulto e l’amnistia?

Credo che non ci siano i presupposti politici e culturali minimi per immaginare tali provvedimenti.

In questa situazione drammatica è allora sempre più importante avere un futuro Collegio del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale all’altezza.

Dalle possibili candidature di cui ha sinora dato notizia la stampa, non mi sentirei di sostenere che l’attuale Governo si faccia adeguatamente carico dell’esigenza del rinnovare i componenti dell’ufficio del Garante in maniera corrispondente alle migliori aspettative. Anche questa volta non ne faccio una questione di persone, ma soprattutto una questione di reali competenze ed esperienze maturate in precedenza. Con tutto il rispetto per i nomi delle persone menzionate, addirittura due docenti di diritto civile non mi sembrano la soluzione più adeguata e non mi pare che basti a compensare questo limite la presenza di un anziano ex magistrato di sorveglianza. Dal mio punto di vista, la figura del garante ha caratteristiche tali da distinguerla anche da chi in passato si è occupato di detenuti in qualità di magistrato. 


Commenti

Post popolari in questo blog

Le commissioni di inchiesta in Parlamento

«L’avvocato non può essere identificato con l’assistito»

«Ridurre l’arretrato civile del 90%? Una chimera» Nordio ripensa l’intesa con l’Ue