Intervista a Rita Bernardini

 Angela Stella Unità 12 agosto 2023

Con Rita Bernardini, Presidente di Nessuno Tocchi Caino, facciamo il punto sulle nostre carceri.

Una donna si è lasciata morire in carcere. Cosa ci consegna questo ennesimo dramma?

Quel che siamo diventati. Se in Italia può accadere che una donna non si nutra per così tanti giorni senza che nessuno lo sappia soprattutto all’esterno, senza che nessuno intervenga per aiutarla, vuol dire che siamo ad un punto di non ritorno, ad una situazione oscena di disumanità. Si scrive che i sanitari abbiamo chiesto a Susan John – questo era il suo nome - di ricoverarsi in ospedale, ma che lei non abbia dato il consenso. Se chi la monitorava avesse chiamato i garanti, mobilitato gli psicologi, gli educatori, se qualcuno le avesse parlato cercando di comprendere il suo gesto estremo di non mangiare e di non bere, credo che la tragedia non si sarebbe consumata. Ho parlato con una delle “ragazze di Torino”, ex detenuta alle Vallette ora in affidamento al lavoro: mi ha detto di essere desolata e di non vederci chiaro in questa storia perché trova inspiegabile che nessuna delle sue ex compagne le abbia scritto per raccontarle quel che stava accadendo. Io, con lei, mi chiedo “lo sapevano?”.

Con NTC state continuando a visitare le carceri. Qual è la situazione?

Dall’inizio dell’anno abbiamo visitato oltre 70 istituti, facendo regolari rapporti al Capo del DAP Russo che, insediatosi da pochi mesi, si trova a gestire un’eredità penitenziaria che nel corso degli anni si è notevolmente aggravata per scelte dissennate dei Governi e dei parlamenti che si sono succeduti. Ora abbiamo più detenuti e meno personale perché con la legge Madia sono stati tagliati migliaia di posti di lavoro nelle carceri: le carenze si registrano non solo nel corpo degli agenti di polizia penitenziaria, ma anche – e sono vertiginose – fra direttori, educatori, psicologi, assistenti sociali, personale sanitario, soprattutto psichiatri. È impossibile in queste condizioni tentare di realizzare il principio costituzionale della risocializzazione. Le misure alternative sono un miraggio, altro che carcere come extrema ratio!

La popolazione detenuta è cambiata?

Spesso quando varchiamo la soglia di un istituto, ci sembra di entrare in un manicomio, in un lazzaretto. Sto preparando il report della visita che abbiamo fatto a Bergamo: leggo fra i miei appunti che su 550 reclusi 300 sono i consumatori problematici di sostanze stupefacenti e che il 60% di loro ha serie questioni di natura psichiatrica. Fuori non ci sono comunità adeguate a seguirli e, quindi, pur avendone diritto per legge continuano a rimanere in carcere dove non ricevono alcun sostegno se non gli psicofarmaci distribuiti a gogò. Stanno entrando in carcere molti giovani fra i 18 e i 25 anni: è un fenomeno che dovrebbe allarmarci. A San Vittore ce ne sono più di 200 la cui dipendenza da sostanze non è mai stata accertata dai servizi sanitari sul territorio.

Stop alle e-mail tra detenuti e avvocati. Che ne pensa?

Ancora una volta viene compromesso il diritto di difesa per ragioni che non stanno né in cielo né in terra se pensiamo che siamo nel 2023 e che i mezzi di comunicazione e di trasmissione si sono notevolmente evoluti. A volte ci sembra di impazzire come quando abbiamo accertato che ci sono istituti dove se il detenuto vuole telefonare al suo avvocato deve prima motivare per iscritto il perché. Ma ci rendiamo conto? Vediamo cosa risponderà il ministero della giustizia all’on Giachetti che il 10 luglio ha presentato un’interrogazione parlamentare.

Il Governo sembra non essere pervenuto sul tema del carcere.

Finora non abbiamo visto molto e quel che abbiamo visto va nella direzione opposta al pensiero del Ministro Nordio: meno carcere, più misure alternative, depenalizzazioni. Ricordiamo che nel 2014 ha presieduto una Commissione ministeriale in materia. Continuo a nutrire la speranza che non abbia cambiato idea.

Quali le vostre proposte?

La prima misura, per respirare, è ridurre la popolazione detenuta e visto che sembra sia divenuto impossibile anche solo parlare di indulto e amnistia (peraltro previsti dalla nostra Costituzione), come Nessuno Tocchi Caino abbiamo collaborato con l’on. Giachetti ad elaborare due pdl di riforma della liberazione anticipata. La prima è retroattiva e reintroduce per il periodo del Covid quella “speciale” emanata a seguito della condanna della Corte EDU del 2013 e durata fino al 31 dicembre 2015: elevare da 45 a 75 i giorni di liberazione anticipata concedibili ogni semestre. Con la seconda, non temporanea ma di modifica stabile dell’Ordinamento penitenziario, si aumentano da 45 a 60 i giorni di liberazione anticipata e, soprattutto, si prevede che la misura sia concessa puntualmente ogni semestre ai detenuti che abbiano un buon comportamento e che ad emanare il provvedimento sia direttamente l’istituto (che conosce il detenuto) e non il magistrato di sorveglianza. Non dimentichiamo infatti che i magistrati di sorveglianza in Italia sono solo 240 e che devono fare un lavoro immane con piante organiche neppure coperte al 100%: sgravarli di questo compito, sarebbe un bel passo in avanti.

Nordio non ha portato all'ultimo Cdm la terna del Garante. Le polemiche lo hanno stoppato?

Non saprei. Io mi auguro ancora di far parte del collegio del Garante perché, se accadesse, mi consentirebbe di avere un ruolo istituzionale continuando a fare, con più strumenti e responsabilità, quel che ho sempre fatto cercando di mettere in pratica gli insegnamenti di Marco Pannella. Colgo l’occasione per ringraziare, comunque vadano le cose, le tante personalità che mi hanno sostenuta insieme agli oltre ottanta professori di Diritto Penale. Marco ripeteva “fai quello che devi, accada quel che può”. Per non scordarmelo, il 15 agosto sarò a Rebibbia Nuovo Complesso con una delegazione casualmente formata tutta da donne.

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