Separazione delle carriere: storia dei referendum

 di Valentina Stella Il Dubbio 14 giugno 2021

Tra i sei quesiti referendari promossi dal Partito Radicale e dalla Lega c'è quello intitolato "Separazione delle carriere dei magistrati sulla base della distinzione tra funzioni giudicanti e requirenti". Come spiegano i proponenti, che chiedono l'abrogazione parziale del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante "Ordinamento giudiziario" e successive modificazioni ed integrazioni, «la conseguenza dell'eventuale approvazione del referendum sarebbe che il magistrato, una volta scelta la funzione giudicante o requirente all'inizio della carriera, non potrebbe più passare all'altra e viceversa». Un simile tentativo era stato già compiuto nel 2000 dopo che la Corte Costituzionale aveva dichiarato ammissibile un simile referendum (sentenza 37/2000 Presidente Giuliano Vassalli, relatore Valerio Onida). Il 21 maggio di quell'anno gli elettori furono chiamati a esprimersi sul referendum promosso dal Partito Radicale, insieme ai socialisti dello SDI e al Partito Repubblicano. Il centrodestra, guidato da Silvio Berlusconi, dopo aver lanciato lo slogan “il 21 maggio resta a casa per mandarli a casa” contribuì al non raggiungimento del quorum. Come ricordato da Notizie Radicali nella ricostruzione "Breve storia della separazione delle carriere in Italia" di Massimo Lensi, «Berlusconi attaccò duramente i promotori, convinto che una volta tornato al Governo avrebbe raggiunto lui quell’obiettivo: “Io questi referendum non li voterò perché sono fatti ad uso dei Radicali e dei comunisti, perciò siano questi signori ad andare a votarseli”». Infatti fu solo il 32% del corpo elettorale ad esprimersi su quel quesito: di quel 32%, votò a favore dell'abrogazione il 69%. «L’11 giugno 2001 il centrodestra tornò effettivamente al Governo e iniziò un lungo iter politico e parlamentare per la separazione delle carriere dei magistrati, che il Governo decise di inserire nella cosiddetta “riforma Castelli” dal nome dell’allora ministro della giustizia». Essa fu poi approvata « ma senza l’originario disegno di separazione delle carriere e con blandi provvedimenti sulla separazione delle funzioni». Poi arriviamo al 2007, anno in cui, ricorda Lensi, « le toghe dell’Anm scesero in campo di nuovo, quando il secondo governo di centrosinistra, guidato da Romano Prodi, tornò sull’argomento con la “riforma Mastella”. Volarono accuse di “inciucio” tra centrodestra e centrosinistra, ma alla fine la legge fu approvata. La riforma Mastella conteneva alcuni provvedimenti relativi al passaggio di funzioni da giudicanti a requirenti e viceversa, stabilendo che il transito sarebbe potuto avvenire non più di quattro volte nel corso dell’intera carriera e solo dopo aver svolto le stesse funzioni per almeno cinque anni». Un ulteriore tentativo di stabilire una definitiva separazione delle carriere ci fu nel 2013, quando il Partito Radicale si mobilitò su un pacchetto referendario che conteneva anche la separazione delle carriere dei magistrati. Le firme raccolte non furono però sufficienti per chiedere la convocazione del referendum. E arriviamo nel 2017 quando, presso la Camera dei deputati, sono state depositate le oltre 70000 firme a sostegno della proposta di legge costituzionale di iniziativa popolare sulla separazione delle carriere dei magistrati, promossa dall’Unione delle camere penali italiane e da un apposito “Comitato promotore della proposta di separazione delle carriere”, di cui fa parte anche il Partito Radicale. Purtroppo la proposta è ferma in Commissione affari costituzionali. 

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