Consiglio d'Europa: subito legge sull'ergastolo

 di Angela Stella Il Riformista 11 giugno 2021

Il tema dell'ergastolo torna al centro del dibattito politico: ieri, nel stesso giorno in cui il Consiglio d'Europa ha chiesto all'Italia di adottare quanto prima una legge sul carcere a vita, la Ministra della Giustizia Marta Cartabia, ascoltata dalla Commissione Antimafia,  si è appellata al Parlamento affinché «non perda l'occasione per riscrivere la norma» sul fine pena mai. Ha indicato anche una possibile strada come quella di «prevedere, sempre a titolo esemplificativo, specifiche prescrizioni che governino il periodo di libertà vigilata, anche regolandone diversamente la durata». Dunque due moniti importanti  - uno dall'Europa, l'altro dalla Guardasigilli - arrivano alla politica chiamata a trovare la quadra entro maggio 2022, come richiesto dalla Corte Costituzionale in una recentissima decisione che, pur dichiarando l'incostituzionalità dell'ergastolo ostativo, ha dato un anno di tempo al Parlamento per originare una legge che bilanci il diritto alla speranza dei detenuti e le esigenze di sicurezza e lotta alla criminalità organizzata. Il Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa questa settimana ha esaminato i passi compiuti dall'Italia dopo la condanna della Corte Europea dei Diritti dell'uomo sul caso di Marcello Viola, pronunciata nel 2019. L'uomo, sempre proclamatosi innocente, fu condannato all'ergastolo ostativo in via definitiva per associazione di stampo mafioso, oltre che per altri delitti, quali l'omicidio. In carcere dagli anni '90, aveva chiesto ai magistrati di sorveglianza di poter accedere ai benefici - permessi premio e liberazione condizionale - , dopo 26 anni di reclusione. Richieste più volte respinte a causa della mancata collaborazione con le autorità. Da lì il ricorso alla Cedu che con una sentenza del 2019 condannò l'Italia per la violazione dell'articoleo 3  della Convenzione (Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti) a causa dell'impossibilità per un detenuto, condannato per uno dei reati previsti dall'articolo 4 bis comma 1 della legge sull'amministrazione penitenziaria, di poter accedere ai benefici penitenziari in assenza di utile collaborazione con la giustizia. Nonostante siano passato tre anni, il Comitato dei Ministri da un lato «ha preso atto con preoccupazione che il ricorrente non può accedere alla liberazione condizionale» e dall'altro ha rilevato che è necessaria « l'adozione di misure legislative per garantire la possibilità per i tribunali nazionali» di valutare il percorso rieducativo del detenuto al fine di ottenere la liberazione condizionale, pur in assenza di collaborazione. Di conseguenza «preso atto con soddisfazione» della sentenza 97/2021 della Consulta, il Comitato dei Ministri  «ha sottolineato l'urgenza di porre fine alla violazione subita dal ricorrente e di garantire la non reiterazione della violazione dell'articolo 3 della Convenzione, disposizione che non consente alcuna eccezione o deroga; ha pertanto invitato le autorità ad adottare senza ulteriori ritardi le misure legislative necessarie per rendere l'attuale quadro legislativo conforme ai requisiti della Convenzione». L'avvocato Antonella Mascia, legale di Viola, accoglie con «soddisfazione» questo monito europeo. Tuttavia ci racconta che, nonostante la sentenza Cedu e quella della Consulta sui permessi premio, «le nostre richieste per ottenere almeno un permesso premio per concedere qualche ora di libertà a Viola con i figli fuori dal carcere sono state respinte con diverse motivazioni, tra cui un parere negativo della DNA  e il fatto di non aver richiesto la revisione del processo, visto che Viola si ritiene innocente. Eppure noi abbiamo portato all'attenzione dei giudici di sorveglianza diverse relazioni che dimostrano che l'interessato ha una condotta esemplare, lavora in carcere, aiuta gli altri detenuti, si è separato dalla moglie con la quale non ha più contatti dal 2013 perché ancora legata ad un contesto criminale». La conclusione per l'avvocato Mascia è che «il legislatore dovrebbe comprendere che occorre guardare al percorso rieducativo del detenuto e non considerarlo pregiudizialmente parte di un tutto, ossia di una categoria di uomini mafiosi irrecuperabili. Dopo tanti anni di detenzione gli uomini possono cambiare e non possono quindi rimanere incatenati per sempre alla loro condanna. E' giunto ora il momento che il giudice esamini in concreto il percorso riabilitativo intrapreso dal detenuto, nel pieno rispetto della nostra Costituzione e della Convenzione».


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