Intervista Belcastro Brezigar

 di Valentina Stella Il Dubbio 19 giugno 2021

La messa in onda del video della telecamera di sorveglianza  che ha ripreso la tragedia del Mottarone del 23 maggio ha suscitato diverse polemiche. La Procuratrice Bossi avrebbe lasciato intendere nella sua nota che sarebbero stati i legali degli indagati a diffondere quelle terribili immagini. Ne parliamo con gli avvocati Giuseppe Belcastro e Luca Brezigar, co-responsabili dell'Osservatorio Informazione Giudiziaria dell'Unione Camere Penali.

Qual è il giudizio sul comunicato stampa della Procura di Verbania?

Dopo quanto è accaduto nell’ambito di un procedimento che per il momento va praticamente avanti a spot pubblicitari, quel comunicato ci lascia perplessi. Da un lato ci è gradita la stigmatizzazione della violazione del codice di rito da parte del titolare delle indagini, dall’altro riteniamo poco eleganti  - oltre che illogiche -  le accuse, neppure tanto velate, che sono state rivolte ai difensori. Quale avvocato avrebbe interesse, difendendo gli indagati, a divulgare immagini così scioccanti come quelle che abbiamo visto? La morte in diretta delle povere vittime di Mottarone, oltre a turbare ulteriormente i parenti, non fa che gettare benzina sul fuoco del giustizialismo più spietato, corroborando le accuse prima di ogni prova tecnica. Ecco che ci piacerebbe sapere se, in applicazione della tanto amata obbligatorietà dell'azione penale, contestualmente al comunicato stampa, la Procura di Verbania abbia aperto un fascicolo dedicato a scoprire chi sia il vero responsabile di questa propalazione. Sia perché da sempre auspichiamo un codice deontologico comune che regolamenti i rapporti con la stampa da parte di tutti gli operatori del sistema giustizia, sia perché questa è un’ottima occasione per sgombrare il campo da dubbi e soluzioni dettate dai soliti saggi proverbi.

Quali dovrebbero essere le conseguenze per chi ha mandato in onda il video?

Siccome si tratta di un documento non pubblicabile, come afferma il sostituto procuratore di Verbania, l’arresto fino a trenta giorni o in via alternativa un’ammenda da 51 a 258 euro. In breve, una sanzione che è possibile oblazionare, versando 175 euro alle casse dello Stato.

Bisognerebbe sanzionare più pesantemente per creare una maggiore deterrenza?

È indubbio che l’attuale sanzione prevista dalla norma sia per davvero minima. Tuttavia non riteniamo sia una questione che possa trovare soluzione a suon di condanne. Certo, una pena adeguata alla violazione funge meglio da deterrente, ma il malcostume si combatte forse più efficacemente con la diffusione dei principi che le stesse norme poste a protezione delle indagini mirano a tutelare. Sembra quasi, infatti, che la pubblicazione di notizie riservate sia diventata un fatto innocuo, legittimato pure dalla prassi. E invece non è affatto così. Il tema della verginità cognitiva del giudice è solo uno degli aspetti del problema. Il processo è esso stesso pena: protrarlo oltre il dovuto o metterlo sotto i riflettori, dando in pasto le informazioni tecniche a chi non dispone di strumenti per comprenderle, acuisce la sofferenza di tutti, imputati e persone offese e contribuisce ad alimentare una tensione sociale che si riversa anche sugli avvocati o su quei giudici che abbiano poi l’ardire di dissentire dalle tesi d’accusa.

Cosa succede invece a chi ha inviato il video alla redazione?

Se il divulgatore fosse un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio potrebbe rispondere del delitto di cui all’art. 326 c.p., rischiando una pena che va da sei mesi a tre anni di reclusione. Altrimenti, se fosse qualcuno che a vario titolo ha appreso materiale e notizie per aver partecipato ad un atto del procedimento, la reclusione sino al massimo di un anno.

Quali sono gli articoli del codice di rito che regolano la pubblicazione degli atti giudiziari?

Sotto questo profilo è necessario fare chiarezza sull’effettiva portata della violazione dell’art. 114 del codice di procedura penale perché è opinione comune pensare che il divieto contenuto dalla norma colpisca soltanto gli atti di indagine nella prima fase. Il legislatore ha invece inteso protrarre il divieto di pubblicazione degli atti di accusa anche oltre quel termine, sino a coprire il dibattimento, proprio per salvaguardare la “virgin mind”  del Giudice e per evitare che il suo convincimento si formi sulla base di atti conosciuti per via extra processuale attraverso i mezzi di informazione. Una finalità oggi completamente obliterata dai media, visto cosa succede in alcune trasmissioni televisive.

Il nostro Paese ha recepito con ritardo la direttiva europea sulla presunzione di innocenza. Cosa fare per attuarla sul piano della comunicazione?

Sotto il profilo dell’informazione occorrerebbero regole chiare e condivise e, soprattutto, sarebbe necessario non chiudere gli occhi davanti alle plurime, ripetute e gravi violazioni della riservatezza investigativa. Cambiare canale e trovare la rappresentazione scenica del contenuto di dichiarazioni di testimoni o imputati è oramai all’ordine del giorno, ma non risultano iniziative giudiziarie di verifica. Tutto questo nuoce all’accertamento delle responsabilità e altera gli equilibri interni al processo. L’imputato – e ce lo dice anche la Corte Europea – ha il diritto di essere presentato davanti al suo giudice in maniera da apparire non colpevole, ma in Italia tutto congiura acché accada l’esatto contrario. Le immagini del Mottarone secondo lei andranno a vantaggio o a nocumento degli indagati?

La libertà di stampa è sacra: come coniugarla con il rispetto dei diritti degli indagati/imputati?

È il cuore del problema: diritti di rango costituzionale sono in tensione fra di loro e non è semplice trovare un equilibrio. L’informazione è essenziale per il processo democratico, perché rappresenta uno dei mezzi di controllo sull’esercizio della giurisdizione; ma altri diritti meritano essere preservati, come quello a essere considerati non colpevoli fino alla sentenza definitiva, a un equo processo, alla riservatezza e alla tutela del proprio buon nome e della propria onorabilità. Il criterio fondante dovrebbe essere l’equilibrio, la sobrietà informativa, la continenza espositiva. Ci si può limitare a riferire che c’è un’indagine e un indagato, ma è davvero necessario filmarlo in ceppi mentre viene condotto in questura, oppure recitare a favore di telecamera certezze investigative che si rivelano poi solo ipotesi? Anche questo è avvenuto al Mottarone. L’informazione è una cosa seria, il modo in cui la si fa purtroppo non sempre.


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