Intervista a Valerio Spigarelli

 Valentina Stella Dubbio 9 dicembre 2023

“Ridateci il processo accusatorio” (per firmare cliccare QUI) è l’appello lanciato da alcuni giuristi, tra cui Paolo Ferrua e Gaetano Pecorella, a cui si è aggiunto in corsa anche Valerio Spigarelli, già presidente dell’Unione Camere Penali. Con lui entriamo più nel dettaglio delle istanze di una parte dell’accademia e dell’avvocatura.

Perché lanciarlo adesso?

L’appello è finalizzato da un lato a segnare lo stato ormai ridotto a lumicino dell’ispirazione accusatoria del cpp. Diverse leggi – l’ultima è la Cartabia –hanno smussato e piallato quelli che sono i principi fondamentali del codice accusatorio, che oggi è figlio di nessuno. Il tutto si somma  alle prassi dei tribunali e le giurisprudenze che tradiscono  l’ispirazione del codice. Dall’altro è stato pensato per proporre delle soluzioni al fine di rimettere il codice sui suoi binari. Il problema è che pare non ci sia una grande tensione su questo argomento. E allora era necessario riportarlo alla ribalta e lo hanno fatto meritoriamente Paolo Ferrua insieme ad  altri. È necessario riaprire una stagione di protesta dell’avvocatura. Da questo punto di vista la situazione attuale non è molto diversa rispetto a quella del 1992, dopo le sentenze della Corte Costituzionale.

Che situazione era?

In Italia, per dieci anni, hanno condannato all’ergastolo persone che non avevano diritto ad interrogare coloro che le accusavano. Ciò produsse una forte reazione dell’avvocatura. Oggi siamo in una situazione simile, però manca la reazione.

L’appello sottolinea diverse criticità. Volendo sceglierne un paio tra le più significative?

Si indica, per esempio, il problema delle impugnazioni sotto diversi profili. Da un lato si è snaturato l’appello, prima attraverso le sentenze creative di piazza Cavour poi con la legge Cartabia cercando di assimilarlo al ricorso per Cassazione. Alla fine il sistema delle impugnazioni è stato affrontato con un spirito di deterrenza: si sono inserite norme – come la necessità dell’elezione di domicilio della procura speciale per il secondo grado – che, al di là dell’illogicità delle soluzioni, in realtà seminano ipotesi di inammissibilità al solo fine di falcidiare gli appelli.

Si parla poi di inappellabilità delle sentenze di assoluzione.

Persino la Commissione Lattanzi aveva segnalato questa possibilità. Se c’era un problema di tenuta generale rispetto ai numeri, con riguardo all’appello, si doveva cominciare eliminando quello del pubblico ministero.

L’appello prevede pure la sostituzione dell’improcedibilità con la prescrizione sostanziale. Sembrava fatta in parlamento ma ora sembra che Nordio voglia raccogliere l’ennesimo grido di dolore dei magistrati che hanno chiesto una norma transitoria.

A me pare che questa richiesta dei presidenti delle Corti d’Appello non abbia molto senso. Si lamentano che non sono pronti dal punto di vista organizzativo. Ma non mi pare un problema insormontabile, soprattutto se si adottasse una ipotesi di sospensione della prescrizione sul modello della legge Orlando.

Un aspetto discusso del documento  è l’istituzione di un organo parlamentare bicamerale di vigilanza sulle interpretazioni ‘creative’ della giurisprudenza. Ci spiega meglio?

Su questo punto, effettivamente, si è creato maggior dibattito in quanto tale previsione  viene vista da qualcuno come un attentato alla  libertà della giurisdizione. Io, semmai, noterei che gli unici casi di leggi interpretative si sono risolte in evidenti riduzioni delle garanzie. Tuttavia non è meno vero che noi abbiamo un problema, da tante parti riconosciuto, di limiti dell’interpretazione che si è fatta autonoma rispetto al testo della legge. Uno degli esempi più chiari è proprio  quello della sentenza a SU Bajrami, su cui poi hanno costruito una parte della legge Cartabia, che ha svuotato di contenuto il principio di immutabilità del giudice e l’oralità del dibattimento. E allora che fare? Se si tratta di un fenomeno dilagante, come rilevano accademici che non possono essere ritenuti vicini a idee in qualche misura contrarie all’opera della magistratura o alla sacralità della libertà della giurisdizione, allora perché non prevedere una commissione bicamerale per fornire al Parlamento gli strumenti per verificare come l’applicazione della legge si distanzi dal punto di vista dei principi da quella che era  la lettera e le ratio della legge?

L’Italia difende gli abusi antimafia davanti alla Cedu, in merito alle misure di prevenzione. Che ne pensa?

C’è un aspetto che mi sorprende: da quando circolano le risposte dell’Avvocatura dello Stato, sembrerebbe che tutti dicano ‘il re è nudo’, stigmatizzando le povere argomentazioni alla base della risposta del Governo. Ma si tratta delle stesse argomentazioni spese da qualche lustro dalle nostre Corti.

Infatti l’Avvocatura ha allegato sentenze della Cassazione e della Consulta.

Esatto: quella non è una cattiva figura del Governo italiano ma di tutto il nostro sistema giudiziario. Le distinzioni, ad esempio, tra imprenditore colluso, concusso, appartenente o continguo, le ha elaborate la giurisprudenza affinando quella ingiustizia suprema che è il sistema delle misure di prevenzione.  

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