Così le manette ai polsi condizionano il giudizio (negativo) sull’imputato

 Valentina Stella Dubbio 1 febbraio 2024

 

Il caso di Ilaria Salis, l’antifascista italiana rinchiusa da quasi un anno nel carcere di massima sicurezza di Budapest e portata nell’aula di tribunale in catene, apre lo spazio per una riflessione più ampia su come la presentazione pubblica degli imputati incida sulla formazione del giudizio collettivo  da parte della giuria popolare o persino dei giudici togati. Nel libro del professor Pieremilio Sammarco, «La presunzione di innocenza - Un nuovo diritto della personalità» (Giuffré Editore, 2022), è riportata una ricerca svoltasi in Australia. L’ordinario di diritto comparato presso l’Università degli studi di Bergamo spiega come in una simulazione di un processo giudiziario in cui hanno preso parte oltre 400 giurati ai quali erano state forniti i medesimi elementi conoscitivi del processo, l'imputato veniva presentato dinanzi alla giuria in modalità diverse: seduto al tavolo accanto al suo avvocato, seduto in uno spazio autonomo, seduto all'interno di una gabbia. Ebbene, la giuria ha disposto un verdetto di colpevolezza nel 60% dei casi in cui l'imputato era nella gabbia, nel 47% dei casi per quello che era nello spazio autonomo, nel 36% dei casi per quello seduto vicino al suo legale. «Non è da escludersi - scrive Sammarco - che questa influenza o suggestione che avvolge i giurati quando si trovano davanti l'imputato in una condizione di costrizione possa ugualmente essere esercitata anche nei confronti del giudice togato. Il punto è che, per certo, la presentazione in aula di giustizia dell'imputato all'interno di una gabbia di ferro o di vetro che sia, qualora non sia giustificata da concrete esigenze di sicurezza o di incolumità per i partecipanti al processo giudiziario, produce l'effetto di trasformare l'aula in una prigione, o comunque di farla apparire al pubblico una sua articolazione e questo prima del riconoscimento della colpevolezza dell'individuo; e attraverso questa modalità, il bene che viene profondamente leso è la sua dignità, oltre all'intero complesso dei suoi diritti della personalità». Secondo quanto riportato in « The dock on trial: courtroom design and the presumption of innocence» (Autori: Meredith Rossner, David Tait, Blake McKimmie and Rick Sarre) più l’imputato è presente in aula in uno stato di privazione della libertà personale e più cresce la possibilità di un giudizio di colpevolezza. Sammarco racconta anche dell’esperienza francese: «nel 2016, sulla scorta di una politica giudiziaria repressiva, il Ministero della Giustizia emanava una direttiva sulla sicurezza delle attività giudiziarie che consentiva ed incentivava l’installazione di box di vetro o con sbarre all’interno delle aule di giustizia. L’adozione di tali strutture nei tribunali provocava la protesta degli ordini e delle associazioni forensi francesi che ne contestavano l’uso indiscriminato e lesivo del principio di presunzione di innocenza e, per ottenerne la disapplicazione, si rivolgevano senza successo sia alla giurisdizione ordinaria che a quella amministrativa. Per protesta alcuni avvocati, durante le udienze, entrarono all’interno dei box insieme ai loro assistiti». Nel 2018, dopo un intervento del Difensore dei diritti francese, il Ministero decise che spettava al giudice di volta in volta stabilire dove collocare l’imputato. Anche la Human Right House Foundation ha condotto delle ricerche presentando a gruppi di persone fotografie che ritraevano dei soggetti che venivano accompagnati in Tribunale, graduando nelle immagini forme sempre più coercitive della libertà individuale, dal semplice accompagnamento della polizia giudiziaria alle manette ai polsi dietro la schiena ed il risultato è stato che il campione di individui sottoposto al test riteneva come probabile se non certa la colpevolezza per il soggetto sottoposto alla misura più restrittiva. Sammarco, a tal proposito, suggerisce la lettura di «Innocent until proven guilty? The presentation of suspects in criminal proceedings» a cura dell’associazione Fair Trials. E in Italia che succede? Tutti ricorderete Enzo Carra, immagine simbolo di Tangentopoli, condotto in aula con gli schiavettoni. Da allora qualcosa è cambiato: non vediamo in aula persone ammanettate piedi e mani. L’imputato, come previsto dal codice di rito, «assiste all'udienza libero nella persona, anche se detenuto, salvo che in questo caso siano necessarie cautele per prevenire il pericolo di fuga o di violenza». Come ci hanno raccontato diversi avvocati, capita non di rado che l’imputato entri in aula ammanettato, scortato dagli agenti penitenziari. Le manette poi vengono tolte quando si siede accanto al suo legale. Dietro rimangono in piedi gli agenti a fare da barriere e scorta.  Altre volte vengono poste nei gabbiotti di vetro o dietro le sbarre senza manette. Con la legge di recepimento della direttiva europea sulla presunzione di innocenza è stato aggiunto un comma all’art. 474 cpp secondo cui spetta ora al giudice con atto motivato decidere se davvero l’imputato deve stare dietro le sbarre o dietro un vetro protettivo perché viene considerato pericoloso, oppure se all’opposto ha diritto di sedersi accanto al suo avvocato.  

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