Intervista a Stefano Musolino

 di Angela Stella Il Riformista 26 novembre 2021

Il dottor Stefano Musolino è sostituto procuratore della Repubblica a Reggio Calabria e da luglio è Segretario di Magistratura Democratica. In questa lunga intervista ci dice, tra l'altro, che il metodo targato Caselli di combattere la criminalità organizzata è ormai «finito, è antistorico.  La mafia è un fenomeno cronicizzato che deve essere affrontato con una legislazione che tenga insieme le ragioni della sicurezza sociale, insieme ai diritti dei soggetti coinvolti nei processi».

Si sta discutendo molto di ergastolo ostativo. Qual è il suo parere in merito al testo base?

Credo che sia un testo poco rispettoso del principio di legalità a causa di una eccessiva fumosità che espone qualsiasi argomentazione del magistrato di sorveglianza a reclami e ricorsi ed impone al detenuto dimostrazioni diaboliche. Vi sono poi aumenti draconiani della pena per accedere ai permessi e alle misure alternative in violazione del principio di progressività trattamentale: non saranno rari i casi che consentiranno di accedere ai permessi solo poco prima del fine pena. Insomma, lo ritengo un esito deludente che lascia soltanto sullo sfondo il quesito decisivo: il detenuto si è liberato della sua appartenenza alla cosca? Non sono stati indicati con chiarezza i criteri ed i metodi per sperimentare nel tempo gli effetti rieducativi della pena e verificare, così, l’autenticità dell’abbandono degli schemi e modelli comportamentali, nonché delle relazioni che erano a base delle scelte criminali pregresse.  

Non ritiene che sia sbagliata la narrazione di chi sostiene che appoggiare la linea della Consulta significhi vanificare la lotta alla mafia?

Continuare a ragionare in termini emergenziali di lotta alla criminalità organizzata è ormai antistorico. La mafia è un fenomeno cronicizzato che deve essere affrontato con una legislazione che tenga insieme le ragioni della sicurezza sociale, insieme ai diritti dei soggetti coinvolti nei processi. Questo è il nuovo equilibrio invocato dalla Corte Costituzionale che è anche una sfida culturale. La risposta del legislatore non è stata adeguata a questa sfida, rimanendo asservita ad una logica eminentemente repressiva della lotta alle mafie.

Il dottor Gian Carlo Caselli invece è di parere completamente opposto, come ha evidenziato nella sua audizione.

Il dottor Caselli ha grandi meriti ed ha ottenuto brillanti risultati nella lotta alla mafia. Ma quel tempo è finito. E io dico per fortuna, perché significa che lo Stato, nonostante tutto, ha lavorato bene. Ciò non significa affatto che abbiamo risolto il problema, anzi occorre prendere atto del fatto che esso si è cronicizzato: ma proprio per questo, affrontarlo ancora con una normativa repressiva di corto respiro non rappresenta più, a mio parere, una strategia adeguata.

Rimanendo in tema di carcere, c'è una commissione ministeriale al lavoro. Ma non sarebbe stato meglio prevedere degli interventi immediati per, ad esempio, diminuire la popolazione? Il garante Palma ha rilevato che "oggi sono detenute in carcere per scontare una pena inferiore a un anno ben 1211 persone, altre 5967 per una pena da uno a tre anni". Il carcere forse non ha più bisogno di commissioni ma di atti concreti.

Sì, condivido molto questa prospettiva. Credo che sia arrivato il momento di affrontare seriamente il problema delle pene brevi che troppo spesso sono trascorse in carcere non per reali esigenze di prevenzione della recidiva ma per la carenza di risorse basiche, quali un tetto sotto il quale trascorrere l'esistenza. Il progetto della Commissione Lattanzi, che apriva alle pene alternative, sembra essersi ristretto con la legge delega. Tuttavia, anch'esso sarebbe incappato negli stessi problemi di carenza di risorse. C'è una evidente necessità che gli strumenti di welfare si estendano anche a questi ambiti, per non abbandonare dentro il carcere la marginalità sociale. Non può essere tutto appaltato al terzo settore.  

Sul tavolo della giustizia c'è il tema della riforma del Csm e dell'ordinamento giudiziario. Non se ne sente più parlare. C'è il pericolo che si faccia in fretta e male?

Mi pare che non vi sia una progressione del dibattito. La riforma del sistema elettorale del CSM è fondamentale, si dovrà votare a luglio ed ancora non sappiamo quale sia l’orientamento del Governo. Il timore è che la soluzione prescelta sarà più attenta a tenere insieme le varie anime che compongono questo Governo, piuttosto che a trovare uno strumento che aiuti a superare le attuali criticità. Ci auguriamo che qualsiasi riforma elettorale venga adottata, garantisca la rappresentanza delle plurali sensibilità che percorrono la magistratura. Questa è il primo antidoto contro le degenerazioni del passato.

Per Md quali sono le direttrici pratiche che occorre sicuramente seguire per superare la crisi di credibilità della magistratura?

Sono preoccupato soprattutto per la parte più giovane magistratura: intimidita da una formazione in cui è molto enfatizzato il “pericolo” del disciplinare, frustrata dai recenti scandali, costretta a convivere con le continue accuse di politicizzazione dell’azione giudiziaria. Si creano, così, le condizioni per cedere alla tentazione di una chiusura corporativa. Ed invece la magistratura può recuperare credibilità soltanto se riesce ad essere dialogante, aperta, trasparente. C’è, poi, una prospettiva culturale da recuperare che è quella della magistratura orizzontale (art. 107 Cost.). Dobbiamo rompere lo schema dominante per cui ci sarebbe una magistratura di serie A ed una di serie B; la prima che insegue ruoli ed incarichi di prestigio, la seconda affannata dal dovere di rendere una risposta efficiente e dignitosa alle domande di giustizia, nonostante i carichi di lavoro e le inefficienze strutturali. Servire la giustizia e i cittadini deve tornare ad essere, insieme, obiettivo e parametro di valutazione del magistrato, a prescindere dall’incarico ricoperto.

Unione Camere Penali, Partito Democratico, Azione chiedono che venga introdotto il parametro delle smentite processuali nelle valutazioni di professionalità. Giusto o sbagliato?

Questo parametro esiste già ed è previsto dal capo quarto della circolare sulle valutazioni di professionalità ("possesso delle tecniche di argomentazione e di indagine, anche in relazione all’esito degli affari nelle successive fasi e nei gradi del procedimento", ndr). Certo, il capo dell'ufficio non sempre offre informazioni adeguate sul punto, ma è raro che sfugga una situazione patologica. Mentre è fisiologico un confronto tra orientamenti. E non è insolito che, all’esito, l'interpretazione proposta dal magistrato, smentito in grado di appello, possa rivelarsi quella privilegiata nel cd. diritto vivente. Insomma, enfatizzare ulteriormente il dato delle smentite non offre elementi idonei ad una migliore valutazione del magistrato, ma potrebbe avere effetti intimidenti che inaridiscono il confronto giurisprudenziale. Piuttosto, sarebbe più utile concentrarsi sui metodi per ampliare le fonti di conoscenza del lavoro del magistrato, senza pregiudizio per la sua indipendenza.

L'onorevole Costa ha presentato una interrogazione parlamentare per rendere pubbliche le statistiche del sistema giustizia. Sarebbe favorevole?

Sì, la giustizia deve essere una casa di vetro. Qualunque strumento che migliori la trasparenza della magistratura e della giurisdizione rafforza la nostra legittimazione democratica. Peraltro, sono convinto che ampliare la trasparenza statistica potrebbe sfatare alcuni pregiudizi sui rapporti tra PM e Giudici.

Senza voler entrare nel merito del caso Renzi, è tornato comunque all'attenzione del dibattito il problema dell'inserimento nel fascicolo di indagine di elementi non rilevanti. Lei ritiene che ciò rappresenti una criticità?

Credo che sia molto difficile in sede di indagini preliminari stabilire cosa sia rilevante oppure no; per definizione, in questa fase, l’imputazione è fluida ed è impossibile fissare rigidamente un giudizio di rilevanza. Mentre è ampia la nozione interesse pubblico che giustifica la pubblicazione di una notizia così appresa dalla Stampa (per come insegna una consolidata giurisprudenza di legittimità) anche per fatti non strettamente attinenti al tema di prova.

Cosa ne pensa della vicenda Storari-Davigo?

Ci sono almeno due profili generali da considerare. Uno è quello relativo all'isolamento ed alla sfiducia istituzionale in cui può trovarsi un magistrato. Quanto è accaduto ci insegna che un magistrato solo e sfiduciato è più debole e indifeso; e può, quindi, commettere degli errori, perché gli manca un confronto personale ed un conforto istituzionale che lo aiuti a sostenere al meglio le responsabilità a cui è chiamato. L'altro aspetto interessante è capire se vi siano dei limiti -  e quali -  all’orientamento dell’azione di un ufficio di Procura, da parte del suo dirigente. Credo che Francesco Greco sia stato nominato Procuratore di Milano soprattutto per le sue straordinarie qualità professionali in materia di reati economici. È quindi evidente che l'organizzazione dell'ufficio che ha approntato abbia destinato a questo settore molte risorse a discapito di altri, creando malumori tra i sostituti, ma anche conseguendo brillanti risultati. Ci si deve interrogare su come gestire, in modo equilibrato, queste differenti esigenze, dando a tutti i magistrati dell'Ufficio la percezione di concorrere ad un obiettivo generale condiviso.

E su Davigo?

Ho poco da dire su questo. La sua condotta si è sviluppata nell'ambito di una sua personale percezione di quelli che erano i poteri e le prerogative del consigliere del Csm, che certamente non rispettavano l'ortodossia. Non credo che vi siano questioni generali da valorizzare.

 

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