Intervista ad Angelo Piraino

 di Valentina Stella Il Dubbio 13 novembre 2021

Intervista al dottor Angelo Piraino, giudice della prima sezione civile della corte d'Appello di Palermo e segretario di Magistratura Indipendente. 

Si parla molto di rigenerazione etica della magistratura: come realizzarla concretamente?

Il Capo dello Stato ci ha ricordato che dobbiamo impegnarci per difendere la credibilità della magistratura, intraprendendo un percorso di riforma culturale ed etica. Non possiamo illuderci che si tratti di solo di rimuovere poche mele marce: qui è il paniere che si sta sfaldando. Occorre comprendere le ragioni che hanno fatto sì che le correnti della magistratura, nate per discutere ed elaborare idee, siano state viste da alcuni come luoghi dove intrattenere rapporti utili alla carriera. Dopo l’epoca delle grandi contrapposizioni ideologiche, la magistratura ha sperimentato un periodo difficile, caratterizzato da carrierismo, eccessi di personalismo, e dalla malsana idea che le dinamiche interne al CSM dovessero replicare gli schemi della politica. Sono problemi ancora in larga parte irrisolti, che riguardano tutti i gruppi associativi, anche se alcuni, a torto, se ne ritengono più immuni di altri. Si dice che acquisire coscienza della malattia è il primo passo verso la guarigione: noi questa consapevolezza l’abbiamo, ma possiamo dire lo stesso di altri gruppi?

Il processo di rinnovamento non dovrebbe passare anche da una rivisitazione delle regole per l'assegnazione degli incarichi?

Quando le regole non offrono sufficienti certezze, ci si illude di poterle raggiungere attraverso i rapporti personali o l’aggregazione in gruppi. L’ampliamento della discrezionalità del CSM è uno dei più importanti fattori che hanno concorso a determinare l’attuale crisi di credibilità. Le scelte del CSM devono essere rese più trasparenti, ancorate a criteri predeterminati e MI è sempre stata in prima linea nel contestare l’attuale sistema di scelta dei dirigenti degli uffici. Da tempo affermiamo che bisogna attribuire punteggi predeterminati ai parametri che concorrono alla scelta, che è indispensabile recuperare il valore dell’esperienza lavorativa, attestata dall’anzianità di servizio, e solo di recente abbiamo visto le nostre idee trasfuse in un documento approvato a larghissima maggioranza dal Cdc dell’ANM, ma il cammino è ancora lungo.

Una visione gerarchica e verticistica della magistratura non crede abbia creato un sistema in cui garanzie e diritti tendono a essere sacrificati sull'altare del carrierismo?

La riforma dell’ordinamento giudiziario del 2002, purtroppo, ha contribuito a radicare l’idea che esista una carriera, in contrasto con il modello disegnato dalla Costituzione, che impone che i magistrati si distinguano tra loro solo per diversità di funzioni. Dirigere un ufficio dovrebbe essere un servizio reso alla collettività e agli altri magistrati, ma viene sempre più visto come un privilegio che, una volta conseguito, deve essere mantenuto. Anche se è stato introdotto un limite di tempo, assistiamo alla bramosa ricerca di passaggio da un incarico all’altro: questo dà l’idea di una magistratura alta fatta dai dirigenti, e una bassa fatta dai magistrati che celebrano i processi. È un’idea sbagliata, che va contrastata con la previsione dell’obbligo di rimanervi fino alla naturale scadenza dell’incarico e di tornare al lavoro ordinario, prima di poterne chiedere un altro. Nelle procure poi la situazione è ancora più complessa, perché si è accentrato l’esercizio dell’azione penale solo sul capo ed è stato eliminato l’obbligo delle tabelle, le regole organizzative che lo stesso dirigente deve rispettare nell’assegnazione del lavoro ai magistrati. Riteniamo che tale obbligo debba essere reintrodotto, perché oggi l’indipendenza dei magistrati va difesa non solo nei rapporti esterni, ma anche in quelli interni.

Innanzitutto dalle Camere penali si fanno notare due questioni relative al peso della magistratura requirente negli equilibri generali dell'ordine giudiziario: la forza politica oggettiva conferita ai pm dalla visibilità delle loro iniziative; la necessità, proprio per questo, di non eliminare, nel sistema per l'elezione dei togati, le quote distinte per requirenti e giudicanti.

Così com'è oggi, anche in futuro la composizione del CSM deve rispecchiare la ripartizione per funzioni dei magistrati. Non si tratta di dare un peso maggiore o minore ai pm, ma di garantire che nel CSM entrino tutte le esperienze professionali che compongono il nostro variegato mestiere.  Non condivido l’idea di un magistrato che acquisisce forza politica attraverso la visibilità delle sue iniziative, perché demolisce la credibilità della magistratura e avalla la tendenza al personalismo e al carrierismo. Le prerogative costituzionali che garantiscono l’indipendenza del magistrato sono funzionali a garantirgli libertà del giudizio da condizionamenti, sia interni che esterni alla magistratura, e un magistrato che cerca visibilità non è libero.

Cosa pensa della revisione delle valutazioni di professionalità che risultano positive nell'ultimo quadriennio nel 99,2% dei casi?  

Va chiarito un equivoco: le valutazioni di professionalità in magistratura non sono delle promozioni. Si tratta di verifiche periodiche condotte in base a parametri specifici, per assicurare che il magistrato sia idoneo a proseguire nella sua attività. Verifiche così rigorose non sono previste in nessun altro ufficio pubblico: con due verifiche negative si viene licenziati. I numeri riferiti non sono anomali: non si tratta di decidere se il magistrato sia bravo o quanto lo sia, ma solo se è adatto a continuare a svolgere il suo mestiere. D’altronde la Commissione Europea ci dimostra che la magistratura italiana è la più produttiva d’Europa. Se i tempi della giustizia non sono soddisfacenti non è perché i magistrati lavorano poco ma per carenza di personale, con un rapporto numerico rispetto alla popolazione tra i più bassi dei Paesi occidentali, a fronte di una domanda di giustizia tra le più alte.

Si discute molto del sistema di voto per il rinnovo del Csm. Area contesta che la vostra proposta riprodurrebbe il sistema attuale.

Il sistema elettorale elaborato dalla Commissione Luciani, sostenuto con convinzione da Area, invece di ridurre il peso delle correnti, rischia solo di escluderne alcune, aumentando l’influenza di altre. Il sistema del voto singolo trasferibile, infatti, prevede che il candidato più votato trasferisca il suo surplus di voti sui candidati che sono indicati nella sua stessa scheda elettorale come seconde e terze preferenze: l’elettore ordina le preferenze secondo una graduatoria, da utilizzare per assegnare i seggi qualora – come certo accadrà – non è possibile attribuire tutti i seggi sulla base dei primi voti. Ma il trasferimento dei voti viene operato dall’alto, a partire dai candidati più votati, e questo si presta a favorire accordi, tramite lo scambio reciproco tra candidati forti delle seconde e terze preferenze.  La preferenza secca, invece, evita le “liste” ed evita controlli del voto. Secondo noi si devono eliminare i difetti del sistema attuale, ormai ben conosciuti. Bisogna accorciare la distanza tra l’elettore e l’eletto, con collegi elettorali né troppo grandi, per non richiedere un eccessivo sforzo organizzativo, né troppo piccoli, per evitare condizionamenti locali, e bisogna garantire un numero minimo ampio di candidature, con adeguata rappresentanza di genere. Non c’è alcun pericolo di candidati “di paglia”, perché con una minore distanza tra elettore ed eletto, un effettivo supporto logistico ai candidati indipendenti e una maggiore libertà di espressione del voto senza paura di condizionamenti o controlli, tutti i candidati avrebbero certamente maggiori chances di quante non ne potrebbero avere con un sistema che si presta ad accordi fra correnti.

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