Prosegue il dibattito sulle torsioni del processo

 Valentina Stella Il Dubbio 12 novembre 2022

Prosegue il dibattito sul tema delle torsioni del processo basate su emergenze inesistenti. Abbiamo iniziato questo ciclo di riflessioni con il professor Giorgio Spangher: ha evidenziato come durante gli ultimi decenni il rito accusatorio sia stato snaturato, abbia perso la sua essenza. A causa di questo le garanzie processuali sono state via via compresse. Il processo si è trovato stretto entro una “tenaglia”: da un lato “pulsioni autoritarie” e dall’altro “propensioni efficientiste”, anche “variamente combinate tra loro”. Poi abbiamo accolto il contributo del professore Giovanni Fiandaca che ha evidenziato due aspetti importanti della questione. Il primo: “La propensione a utilizzare il processo come mezzo di lotta ha, altresì, preso piede nell’ambito delle strategie di contrasto alla corruzione cosiddetta sistemica: come emblematicamente dimostra l’esperienza giudiziaria milanese di Mani Pulite, di cui quest’anno è stato celebrato il trentennale, anche in questo caso l’obiettivo principale preso di mira dai magistrati inquirenti è finito col consistere, più che nell’accertare singoli episodi corruttivi, nel colpire e disarticolare il sistema della corruzione come fenomeno generale”. Secondo: “Quanto più la giustizia penale assume un’impronta combattente di tipo simil-belligerante, tanto più il magistrato interprete-applicatore delle norme incriminatrici sarà tentato di cavarne il massimo della punibilità, adottando interpretazioni estensive o addirittura analogiche (ancorché in diritto penale formalmente vietate!) che forzano o manipolano il contenuto testuale delle fattispecie legali; con buona pace dei principi di riserva di legge e tipicità, che dovrebbero in linea teorica fungere da presidi garantistici invalicabili”. È intervenuto poi il giornalista Alessandro Barbano, secondo il quale “non è solo il processo propriamente detto la sede di «corruzione» della giustizia, quanto le sue duplicazioni speciali, che si sono riprodotte dentro e fuori i confini del penale, portando a spasso il punitivismo nella democrazia italiana. E tra queste la legislazione antimafia, storica amnesia del dibattito pubblico”. È stata poi la volta del magistrato Alberto Cisterna che ha voluto evidenziare, tra l’altro, come “ L’ortodossia e il conformismo culturale sono, al momento, la minaccia più grave nel contrasto ai fenomeni criminali organizzati; la dilatazione del doppio binario ( pena/ misure di prevenzione) verso fattispecie sideralmente lontane dalla mafia ( persino lo stalking), non rappresenta la dimostrazione dell’espansione inevitabile di uno strumentario ritenuto efficiente, quanto la prova della preoccupante incapacità di procedere a elaborazioni alternative, alla costruzione di modelli di investigazione che sappiano davvero leggere il moderno poliformismo della minaccia criminale per poterlo intercettare in modo non velleitario”. In ultimo ha scritto per noi il professor Vincenzo Roppo: “Il populismo penale è incubatore di giustizialismo anti-garantista che si manifesta nella moltiplicazione delle figure di reato e nella loro crescente evanescenza contraria al principio di tassatività e tipicità, nella previsione di pene sempre più dure, nel declino della presunzione di innocenza”. 

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