Emanuela Orlandi: e se fosse stato un serial killer?

 Valentina Stella Il Dubbio 3 novembre 2022

Che fine ha fatto Emanuela Orlandi, cittadina vaticana scomparsa a soli 15 anni dal centro di Roma il 22 giugno del 1983? Sono passati quasi quarant’anni da quel giorno ma nessuno ha ancora la risposta definitiva. Intanto in giro per Roma sono riapparsi i manifesti della disappearance della giovanissima donna. Chi li avrà affissi? Tutti conoscono questa storia ma ora la vicenda è tornata all’attenzione pubblica grazie ad una docuserie lanciata dalla piattaforma Netflix: “Vatican girl”. L’autore e regista è Mark Lewis, mentre Chiara Messineo è la produttrice. Hanno realizzato quattro puntate di circa un’ora ciascuna per provare a rimettere insieme tutti i pezzi di questa intricata vicenda, che parte dalla scomparsa di una ragazzina dopo la sua lezione di flauto in una scuola di musica in piazza Sant'Apollinare a Roma, a poca distanza da Palazzo Madama, e si trasforma in un vero e proprio thriller politico. Diciamolo subito: per chi è appassionato del genere investigativo la miniserie merita. Ti riporta indietro a quegli anni con dovizia di particolari e con la testimonianza dei protagonisti passati e più recenti. Tra le voci narranti quella di Pietro Orlandi, il fratello di Emanuela, che ha dedicato la sua intera vita alla ricerca della verità, e di Andrea Purgatori che seguì da giovane cronista la vicenda.  Però, ca va sans dire, non vi aspettate il colpo di scena finale, fatta eccezione forse per la testimonianza anonima di una amica di scuola della ragazza che ha deciso di raccontare solo oggi un episodio che potrebbe ricondurre il rapimento ad un ricatto sessuale. Ma non vi sveliamo altri particolari. Resta il fatto che Emanuela resta sospesa nella nostra memoria e ognuno di noi, con le proprie convinzioni, le assegna un destino. Per Papa Francesco ad esempio la ragazza è in cielo ma il fratello non si arrende: fin quando non ci sarà un corpo la speranza è che la sua famiglia potrà riabbracciarla. Eppure sua madre ha 92 anni e da quell’afoso giorno del 1983 ha dovuto sentirne tante sulla scomparsa di sua figlia. La docuserie riporta a galla le teorie che più hanno preso piede in questi decenni, anche se nessuna riesce a pregiarsi della certezza della verità. Perché in tutta questa storia di millantatori ce ne sono stati tanti, senza alcun rispetto verso una famiglia che evidentemente non merita, incredibilmente, la verità. Inizialmente vengono riportare alla luce tutte le ipotesi sul coinvolgimento di qualche organizzazione internazionale: dal Kgb al movimento nazionalista turco dei Lupi grigi di cui faceva parte l'attentatore di Papa Giovanni Paolo II, Ali Agca. Un misterioso ‘americano’ avrebbe chiesto la sua liberazione in cambio di Emanuela. Ma forse era l’ennesimo depistaggio, uno dei tanti iniziati appena Giovanni Paolo II fece il nome della Orlandi dalla sua finestra durante un messaggio domenicale. Da lì, probabilmente, in molti pensarono di poter speculare sulla vicenda. Dopo qualche anno entra in scena Sabrina Minardi, l’amante del boss della Banda della Magliana Renatino de Pedis. La donna racconta che la ‘vatican girl’ fu tenuta nascosta per dieci giorni in una seconda casa dei suoi genitori a Torvajanica. Poi verrà accompagnata in auto a un distributore di benzina del Vaticano per essere lasciata ad un prete. L’ipotesi è che Emanuela Orlandi sia stata rapita per ricattare il Vaticano e per ottenere la restituzione di un’ingente somma di denaro investita dalla banda della Magliana nello Ior o che la banda avesse fatto da tramite per la Mafia che aveva riciclato i soldi tramite la banca vaticana, spariti per andare a finire nelle tasche di Solidarnosc. Ma perché il potente Renatino avrebbe dovuto fidarsi di una donna conosciuta da poco? Poi è plausibile pensare che la ragazza girasse in macchina intorno al Vaticano quando tutti la stavano cercando? E non scordiamo che la Minardi nel 2009 raccontò un’altra storia che finiva con il corpo di Emanuela chiuso in un sacco e gettato in una betoniera a Torvaianica. Non poteva mancare nella docuserie l’ambigua figura di Marco Accetti, che si è fatto intervistare con il volto coperto e che ha esordito dicendo di essere stato il “creatore” del caso Orlandi.  Ha dichiarato di essere stato parte di un'organizzazione segreta composta da uomini del Vaticano, responsabile anche della sparizione di Mirella Gregori qualche mese prima. Ma durante una vecchia trasmissione televisiva fu proprio Pietro Orlando a smascherare il suo bluff. Alla fine compare appunto l’amica di scuola della Orlandi che parla per la prima volta, nonostante una famiglia stia cercando il bandolo della matassa da quarant’anni. Racconta che Emanuela le disse che  in uno dei suoi giri nei giardini del Vaticano una persona molto vicina al Papa l'aveva infastidita: “E si trattava di un'attenzione sessuale”. Mentre le sue parole scorrono il regista passa immagini dell'arcivescovo americano Paul Marcinkus, ora scomparso, ma all’epoca potente presidente dello Ior, la banca vaticana. Era lui? Insomma tutto riporta al Vaticano. Come ha detto l’avvocato della famiglia Orlandi Laura Sgrò: “sono assolutamente certa che il Vaticano sappia cosa è successo a Emanuela Orlandi”. Lo stesso Vaticano che ha negato ogni intervista. Tuttavia, se volessimo seguire il principio del rasoio di Occam, secondo il quale tra le diverse soluzioni di un problema bisogna preferire quella più semplice, allora forse gli autori avrebbero dovuto aggiungere un quinto capitolo alla storia: quello dell'omicida seriale. Ne parlano in un interessante libro dal titolo “Dodici donne Un solo assassino – da Emanuela Orlandi a Simonetta Cesaroni” (Koinè edizioni) il magistrato Otello Lupacchini e il giornalista Rai Max Parisi. “Roma. Dieci donne uccise e due scomparse. Si chiamavano Emanuela Orlandi e Mirella Gregori – si legge nella quarta di copertina – Questo libro inchiesta svela l’esistenza di un serial killer responsabile degli omicidi e delle sparizioni. Tutti i fatti di sangue rimasti insoluti, accaduti tra il 1982 e il 1990. L’ultima vittima si chiamava Simonetta Cesaroni. Gli autori hanno un’ipotesi precisa sull’identità dell’assassino, ancora libero di agire”. 

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