Dl anti rave,, Anm e Ucpi: va cambiato

 Angela Stella Il Riformista 23 novembre 2022

Termineranno oggi le audizioni informali iniziate ieri nella Commissione Giustizia del Senato in merito al decreto legge del 31 ottobre 2022 (rinvio Cartabia, ergastolo ostativo, rave party). Molti gli interventi di esperti delle materie, condensati solo però in sei minuti. Da qui l’invio di relazioni più corpose ai senatori. Difficile poter trarre una sintesi, soprattutto se ci si è soffermati molto su aspetti tecnici. Potremmo dire comunque che ci sono su tutti i tre versanti richieste di modifica. Il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia ha chiesto una disciplina transitoria riguardo la riforma Cartabia su quattro aree: “indagini preliminari, udienza pre-dibattimentale nei procedimenti a citazione diretta, procedibilità d’ufficio a querela che tocca reati importanti, trattazione scritta nei giudizi di impugnazione”. Per la norma anti-rave: “non raggiunge lo scopo e c’è una anticipazione eccessiva della soglia di punibilità”.  Tra gli auditi anche il professor Vittorio Manes che in pratica ha sostenuto “che la disciplina contenuta nel decreto legge tenda ad alterare gli equilibri del sistema”. Innanzitutto la norma sull’ostativo amplia il catalogo dei reati a cui si applica il 4 bis: oltre ad essere stata confermata l'inclusione di diversi reati contro Pa, il catalogo “è stato ulteriormente dilatato fino a ricomprendere persino reati comuni che risultino collegati con fattispecie ostative (ai reati ostativi di prima fascia) da un nesso teleologico”. Si procede sempre di più verso un “diritto penale non del fatto, ma del tipo di autore”. Inoltre si vanno ad “aggravare significativamente i compiti e gli oneri probatori in capo ai difensori e a richiedere una sorta di prova impossibile”. Quanto al reato di rave-party, “si consegna uno spazio di discrezionalità valutativa e uno spazio di intervento estremamente ampio non al giudice, non al pubblico ministero, ma alle forze di polizia, a cui di fatto si consegna una delega in bianco”. Sull’eventuale estensione del catalogo si è espresso anche l’avvocato Michele Passione che ha messo in evidenza un ulteriore aspetto: “si registrerebbe un aumento esponenziale dell’overcrowding penitenziario, certamente concorrente nello spaventoso aumento dei suicidi in carcere”. Il legale poi ha criticato il fatto che tra i requisiti per l’accesso alla liberazione condizionale ci siano iniziative a favore delle vittime, sia in forme risarcitorie che sottoforma di giustizia riparativa. “Tutte le fonti internazionali – ha detto Passione – rendono assolutamente incontrovertibile come la giustizia riparativa non possa mai essere imposta, e tantomeno posta come condizione per ottenere qualcosa”. “Potrebbe rivelarsi importante -se non decisiva- la soppressione dell’avverbio ‘eventualmente’ contenuto nel nuovo comma 1bis”: farà molto riflettere una delle proposte illustrate dal giudice di Sorveglianza di Roma Marco Patarnello sull’ostativo. Il magistrato si riferisce “alle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione”. Per Patarnello “se è certo che in linea di principio possono ricorrere situazioni capaci di rendere ‘lacerante’ - e quindi ‘non esigibile’ - la richiesta dello Stato di collaborare, sembra altrettanto evidente che - a fronte della ‘vastità criminale’ dell’‘Antistato’ e di condotte associative mafiose o terroristiche capaci di asservire interi territori- solo l’effettivo ricorrere di tale apprezzabile lacerazione personale può legittimamente giustificare la decisione di non collaborare”. Critico sul nuovo 434 bis il Presidente dell’Unione Camere Penali, Gian Domenico Caiazza: “il testo, in primo luogo, di tutto parla fuorché dei rave-party, prestandosi a punire qualunque forma di assembramento di più di 50 persone in terreni privati o aperti al pubblico senza l’autorizzazione del proprietario o la comunicazione all’autorità pubblica”. Sul fine pena mai Caiazza ha aggiunto: “il legislatore, per raggiungere lo scopo di una regolamentazione più severa del regime delle ostatività, e dunque della possibilità di eluderle in assenza di collaborazione da parte del detenuto, introduce condizioni che sono costruite su nozioni a dir poco indeterminate. Cosa si pretende debba significare, ad esempio, la nozione di ‘collegamento con il contesto nel quale il reato è stato commesso’, che il richiedente dovrebbe dimostrare inesistenti sia in termini di attualità, sia in termini di ‘pericolo di ripristino’? La nozione di ‘contesto’ è già semanticamente nebulosa”. Anche il Garante Mauro Palma si è soffermato molto su questo tema: “l’impianto della riforma delle norme che prevedevano le preclusioni automatiche all’accesso ai benefici penitenziari, alle misure alternative e alla liberazione condizionale, appare disattendere i princìpi sottesi all’ordinanza n.97/2021 della Corte costituzionale che hanno fissato l’obiettivo del superamento della presunzione assoluta di pericolosità in assenza di collaborazione con la giustizia”. Questo perché “gli oneri probatori e di allegazione, cui è subordinato il solo accesso a tutti i benefici penitenziari, alle misure alternative e infine alla liberazione condizionale, configurano adempimenti impossibili o pleonastici”. Pure l’avvocato Fabio Anselmo si è concentrato sul reato anti-rave sempre in maniera critica: “Il problema della pena è grave. È assolutamente sproporzionata”. Inoltre alla misura di prevenzione, che “non contempla una fine neppure in caso di assoluzione da questo reato, saranno sottoposte intere generazioni realizzandosi il sogno proibito dello Stato di polizia: sorveglianza speciale di pubblica sicurezza; obbligo di soggiorno dal comune di residenza o dimora abituale”.

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