Intervista a Cinzia Barillà

 Valentina Stella Il Dubbio 4 novembre 2022

Ergastolo ostativo: ne parliamo con Cinzia Barillà, Presidente di Magistratura Democratica e giudice di sorveglianza presso il Tribunale di Reggio Calabria.

Cosa pensa dello strumento del dl utilizzato dal Governo?

Non mi è sembrata una scelta felice, ma forse strategica. L’uso del decreto legge, in settori nevralgici, è sempre stata una prova muscolare per i governi di tutte le estrazioni, però sperimentarlo per regolamentare temi così controversi, da avere meritato plurimi rimpalli tra le Corti ed il Parlamento, è in sé una operazione criticabile. La versione precedente, e molto simile, di questa norma è stata approvata solo alla Camera: non è stata votata dal partito di cui è espressione l’attuale premier perché ritenuta troppo permissiva, mentre è stata plaudita come buon compromesso dalle forze dell’odierna opposizione e parte della attuale maggioranza.

Cosa deduciamo?

L’operazione normativa nel suo complesso da parte del Governo si presta ad essere letta come rassicurazione del proprio elettorato; si è compensato un cedimento alle proprie posizioni di durezza della risposta sanzionatoria, criminalizzando in modo esorbitante fenomeni, viceversa, di modestissimo cabotaggio per l’ordine pubblico. In un Paese che va verso un vertiginoso aumento della povertà, l’incriminazione del rave-party, già recepita da più parti come passibile di inconstituzionalità per la sua formulazione generica, contribuisce ad aumentare i “muri” di distanza discriminatoria tra le marginalità ed i fenomeni dei festini di alto borgo in luoghi privati volontariamente offerti dal loro proprietario, ma tradottisi, sulla base esperienziale media, in scenari di altri e più gravi delitti contro la persona.

Il 'fine pena mai' termina davvero o la prova richiesta all'ergastolano è diabolica?

La percezione immediata che sia diventata una corsa ad ostacoli, più che una regolamentazione responsabile e ricettiva del travaglio culturale oltre che giuridico che la precede, non è certamente venuta meno.  

Perché?

L’accesso ai benefici è condizionato, tra l’altro, all’adempimento delle obbligazioni civili o all’assoluta impossibilità di adempiervi; ad elementi specifici volti ad escludere i collegamenti con la criminalità organizzata ma anche il ripristino di tali collegamenti, alla revisione critica della condotta criminosa, alle ragioni della mancata collaborazione, alla partecipazione al percorso rieducativo, alla mera dichiarazione di dissociazione.

Missione impossibile

La sfido a non sentirsi preda di un labirinto, che non aggiunge molta sintesi alla complessità del tema. Anche le vittime ed il loro diritto all’oblio, in casi in cui il risarcimento non interessi, restano al centro della mia riflessione delle perplessità che la nuova norma mi suscita. Tuttavia anche la magistratura di sorveglianza ha già accettato questa sfida al cambiamento, con la bussola orientata verso la Costituzione, munita di buona dose di capacità di mettersi in gioco, destreggiandosi con metodi di indagine e ragionamenti probatori che le hanno fornito un buon banco di prova ed è questo uno dei campi su cui pure si gioca il futuro di questo tema: l’accrescersi graduale della professionalità dei giudici di prossimità.

Questo Governo, compreso il Ministro Nordio, vuole vedere questi uomini uscire dal carcere dentro una bara?

Non credo affatto che il Ministro voglia vedere questi uomini uscire dal carcere solo in una bara, però penso che ancora tanti Italiani non sono affatto interessati a dove costoro muoiono, purché lo facciano separati da loro.

Dicono che se viene ammorbidito l'ergastolo ostativo i condannati potrebbero cessare di collaborare.

Il numero delle collaborazioni non ha mai seguito andamenti proporzionali all’incremento della risposta sanzionatoria, tuttavia il numero di anni da passare in carcere per un ergastolano condannato per reati ostativi è stato elevato a trent’anni, fortunatamente si collabora già per evitare pene temporanee di gran lunga inferiori.

Esiste la tentazione di utilizzare esseri umani imprigionati a vita come simbolo e funzionali alle esigenze preventive generali?

Mi pare che l’animo umano funzioni così. È più facile scacciare ogni paura del nostro bimbo dicendo che il cattivo di turno non arriverà mai a prenderlo, perché lui è al sicuro tra le mura di casa. Anche il popolo preferisce che si costruiscano più “case” e “muri” dove tenere gli altri, i cattivi, i persi lontani. Ed è più facile, perché ci solleva dal vedere che il potenziale “orco” è in ciascuno di noi. Se è vero che esiste questa tentazione, la stessa è superabile non guardando fuori ma dentro di noi.

Il 4bis è applicato anche ai detenuti condannati per reati gravi contro la P.A. Corretto?

L’aumento del perimetro delle ostatività è stato la panacea di ogni male per chi decide del destino della cosa pubblica dinanzi a situazioni di recessione o di emergenza provenienti anche da settori diversi dalla giustizia. Il carcere, specie per condotte che non richiedono l’applicazione di freni ad una violenza in atto, non rappresenta mai una risposta utile se non è in grado di abbinarsi al dovere/responsabilità della cura, cioè del trattamento delle cause e delle condizioni in cui ha agito la personalità che ha deragliato e del dolore arrecato alla vittima.

Non sarebbe stato meglio se la Consulta avesse dichiarato l’incostituzionalità della norma senza concedere tutti questi rinvii al Parlamento?

In un sistema di grande crisi delle Istituzioni democratiche occidentali, in cui il Parlamento tende a tergiversare su temi divisivi del consenso politico molto è demandato alle Corti di interpretazione della costituzionalità delle leggi. Il loro ruolo politico e sostitutivo aumenta in modo esponenziale, come accaduto per il fine vita. In questo panorama l’esistenza di stop and go contribuisce ad aumentare la sensazione di smarrimento e di confusione dei cittadini e degli operatori, che a maggior ragione cercano luoghi di confronto collettivo per rassicurarsi e affrontare il futuro in un’ottica di nuova resistenza costituzionale che spinge dal basso verso l’alto e non il contrario.

Il Governo conferma la sua deriva carcerocentrica?

Lascio questo giudizio ai lettori. Le dico però che anche tra i miei colleghi occorre sfatare la preoccupazione che l’esecuzione penale esterna sia solo un modo per schivare la pena. Sono certa che l’introduzione e l’ampliamento delle sanzioni sostitutive e alternative della pena, se implementate le risorse per seguirne adeguatamente i percorsi, può costituire anche un ponte di maggiore comprensione e rispetto tra il lavoro della magistratura di cognizione e quella di sorveglianza, ampliando la percezione che il prodotto o la misura dell’impegno di ogni giudice non è caratterizzato dalla carcerazione ma dalla realizzazione di occasioni di riscatto sociale.  

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