A Rigopiano in scena le vittime

 Angela Stella Il Riformista 25 novembre

Dopo la mostra al Tribunale di Livorno con le foto di uomini condannati per femminicidio con tanto di nome, città, anno, arma del delitto e pure il nome della vittima, dopo che a Bolzano, nel processo a carico di Benno Neumair, la pm ha chiesto, all’inizio della propria requisitoria, un minuto di silenzio - tanto era il tempo che a suo dire l’imputato avrebbe impiegato per strangolare il padre –, ieri la distorsione della funzione giudiziaria è andata in scena a Pescara, nel processo per la tragedia di Rigopiano. Come tutti purtroppo ricordano il 18 gennaio 2017 una valanga investì un hotel provocando la morte di 29 persone. Per la prima volta, ieri, in aula, dopo oltre due anni di processo, sono stati fatti tutti i nomi delle vittime e, addirittura, mostrati anche i loro volti. È stato, riferisce l’Ansa, il sostituto procuratore Anna Benigni durante la sua requisitoria a colmare la lacuna, causata dalla formula processuale del rito abbreviato, durante il quale si saltano alcuni passaggi e non viene ricostruita l'intera vicenda, lasciandola quindi alle conclusioni dell'accusa. “Il dolore che tutti hanno provato di fronte a questa tragedia è stato il motore di questo ufficio, e a questo dolore vogliamo dare una risposta”: ha detto la Benigni. Ma è davvero questa la ragione che deve spingere a chiedere delle condanne? Tra i numerosi parenti delle 29 vittime c’è stata commozione durante l’ ‘appello’ e qualche lacrima, “è come se ci fossimo riappropriati del processo, ci ha molto colpito il gesto non scontato del pm, ci ha fatto piacere in qualche modo”, hanno dichiarato a freddo i parenti che come sempre hanno partecipato alle udienze con la pettorina bianca che ricorda a sua volta i nomi di tutti e che in ognuna porta stampato il volto del parente deceduto. Ma passiamo ai veri protagonisti del processo penale: gli imputati. Secondo l'accusa, i principali responsabili sono il Comune di Farindola e la Provincia di Pescara, e si aggiunge il comportamento della Prefettura e le mancanze amministrative gravi della Regione Abruzzo. La pena più alta, 12 anni, è stata chiesta per l'ex Prefetto di Pescara, Francesco Provolo, mentre 11 anni e 4 mesi, sono stati chiesti per il sindaco di Farindola, Ilario Lacchetta, e 6 anni per l'ex presidente della Provincia di Pescara, Antonio Di Marco. L'accusa rappresentata dal procuratore capo, Giuseppe Bellelli e dai sostituti procuratori Anna Benigni e Andrea Papalia, ha puntato il dito sulle responsabilità dei dirigenti comunali e provinciali nella gestione dell'emergenza e della viabilità sconvolta per il grave maltempo di quei giorni, e sui permessi urbanistici: l'hotel era stato realizzato in una zona notoriamente esposta a valanghe e di conseguenza avrebbe dovuto essere chiuso e la strada sgomberata. È stata scandagliata anche l'attività della Regione Abruzzo per la mancata realizzazione e approvazione della Carta Valanghe: pesanti le richieste per i dirigenti regionali in quello che è stato definito “un collasso di sistema”, anzi “un fallimento dell'intero sistema”. Insufficiente, secondo la ricostruzione dei pm, il comportamento della Prefettura per la mancata tempestività ed efficacia nell'emergenza, tanto che è proprio per l'ex prefetto Provolo la richiesta della condanna più severa, appesantita dal filone del cosiddetto ‘depistaggio’, che in aula il capo della Procura Bellelli ha liquidato sottolineando che “non ci sono grandi misteri oggi da svelare. C'era - ha proseguito Bellelli - l'inefficienza grave della Prefettura, non ci sono grandi depistaggi italiani: non c'è un anarchico che cade dal balcone della Questura, non ci sono tracce scomparse dal cielo di Ustica, non c'è una agenda rossa trafugata. Parliamo di un prefetto di provincia che lascia cadere nel vuoto una richiesta di aiuto”. Secondo la Procura, ci sono tante responsabilità diffuse: quelle dei dirigenti comunali, provinciali e regionali, per la viabilità e la carta valanghe, per i permessi, per gli ex sindaci di Farindola, per i tecnici che non certificarono il vero e anche per la società proprietaria di Rigopiano. Per il gestore Bruno Di Tommaso, infatti, la richiesta è stata di 7 anni e 8 mesi.

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