Caso Shalabayeva: parlano Pignatone e Albamonte

 di Angela Stella Il Riformista 5 aprile 2022

 

Ieri nuova udienza del processo d’Appello a Perugia per la vicenda relativa all’espulsione di Alma Shalabayeva e di sua figlia avvenuta nel 2013. Tutto era iniziato la notte tra il 28 e 29 maggio 2013, quando lei e la figlia furono prelevate dalla polizia in un'abitazione di Casalpalocco.  Le forze dell'ordine cercavano il marito, il dissidente kazako Muktar Ablyazov, ma alla donna venne contestata l'accusa di possesso di un passaporto falso. Presenti in aula, oltre ai sei dei sette imputati - tra i quali l’ex capo della Squadra Mobile di Roma ed ex questore di Palermo Renato Cortese e l’ex capo dell’ufficio immigrazione Maurizio Improta -  anche Alma Shalabayeva, moglie del kazako Muktar Ablyazov, parte civile nel procedimento.  La donna a margine dell'udienza ha dichiarato: " Vivo con sofferenza queste udienze che sono un momento in cui rivivo quello che mi è  accaduto, i dettagli dolorosi e le violenze vissute. Dall'inizio sono state violate tutte le leggi e tutti i miei dirittiSe i poliziotti si fossero comportati come avrebbero dovuto il destino sarebbe stato diverso".  Chiamati a testimoniare, essendosi riaperta l'istruttoria dibattimentale come da richiesta delle difese, l’ex procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone, l'ex magistrato Nello Rossi e il pm Eugenio Albamonte. La condanna in primo grado Il 14 ottobre del 2020 Cortese, Improta, e  due funzionari della mobile romana  -  Luca Armeni e Francesco Stampacchia  - erano stati condannati  a una pena di 5 anni di reclusione e all’interdizione perpetua dai pubblici uffici, il giudice di pace Stefania Lavore a 2 anni e sei mesi e due funzionari dell'Ufficio immigrazione  - Vincenzo Tramma e Stefano Leoni -  rispettivamente a 4 anni e 3 anni e sei mesi di reclusione. Condanne che, ad eccezione del giudice di pace, avevano visto il riconoscimento oltre che per i falsi, anche del reato di sequestro di persona. Le testimonianze Pignatone, oggi presidente del Tribunale Vaticano, ha riferito: "Non ho mai ricevuto pressioni da parte di Renato Cortese per il rilascio del nulla osta" per l'espulsione e "Maurizio Improta non l'ho proprio sentito quel giorno". Pignatone ha ricordato in aula di avere avuto notizia della perquisizione nella villa di Casalpalocco in maniera informale, nel corso di una telefonata con Cortese: "Mi disse che il suo ufficio doveva farla su richiesta dell'Interpol per un latitante kazako ricercato per reati finanziari e con un possibile pericolo di terrorismo. Un atto che avrebbe impegnato molto la squadra mobile. Fu una telefonata informale perché ci stavamo sentendo spesso per la vicenda del clan Fasciani e il senso era di non fare conto sui suoi uomini in quei giorni perchè sarebbero stati impegnati". In relazione alla vicenda del nulla osta per l’espulsione di Alma Shalabayeva, Pignatone ha ricostruito in aula che “mi telefonò Nello Rossi, il procuratore aggiunto di turno in quei giorni, dicendomi che c’era un problema su una persona che doveva essere espulsa perché non aveva i documenti in regola. Poi Rossi mi disse che doveva partire per un problema riferendomi che sapeva tutto il pm Albamonte, che venne a riferirmi che la donna aveva un passaporto a nome Alma Ayan che la polizia riteneva falso mentre gli avvocati Olivo, che avevano parlato con lui e con Rossi sostenevano, invece, fosse autentico. Mi feci portare il passaporto, palesemente falso”. Ha poi precisato: "Albamonte per le vie brevi aveva già dato l’ok al nulla osta ma lo sospendemmo dopo i documenti portati dall’avvocato per capire meglio come stavano le cose. Albamonte si allontanò dalla mia stanza e tornò con altri documenti, uno della Polaria, uno della Farnesina da cui emergeva che non aveva nessuno status diplomatico in Italia. Dopo l’esame della documentazione - ha proseguito Pignatone - ci siamo convinti più che mai che il documento era falso, e dopo nove anni mi chiedo ancora come sia possibile affermare il contrario con un passaporto che riporta un nome diverso, e che fosse nostro dovere concedere il nulla osta. A quel punto Albamonte ha dettato alla mia segretaria il nulla osta e io l’ho vistato e per noi la storia finisce lì. Resto convinto della falsità del documento. E non ho mai capito perché quel giorno gli avvocati non abbiano chiesto l’asilo politico”. Al quadro si è aggiunta la ricostruzione di Albamonte: "L'avvocato di Alma Shalabayeva Olivo non mi parlò  di un problema di incolumità per la sua assistita". Ha poi parlato di Improta: "Mi chiamò per chiedere chiarimenti, mi disse che erano all'aeroporto, che c'era un volo che poteva essere utilizzato per il rientro immediato della signora in Kazakistan e che aveva urgenza di avere le determinazioni per capire il da farsi". Albamonte ha definito quella chiamata "inopportuna" anche se la percepì come "una esigenza organizzativa".

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