Caiazza: togliamo il Dap dal controllo della magistratura

 di Valentina Stella Il Dubbio 22 aprile 2022

Ieri dalle pagine del Dubbio abbiamo lanciato e fatto nostra la proposta di Enrico Sbriglia e Alessandro De Rossi, rispettivamente Presidente e vice presidente del CESP, di prevedere la migrazione dell'intero Dipartimento dell'Amministrazione Penitenziaria dal dicastero della Giustizia alla presidenza del Consiglio dei Ministro. Abbiamo chiesto un parere al Presidente dell'Unione Camere Penali, Gian Domenico Caiazza, che in questa intervista ci offre anche qualche riflessione sullo sciopero prima annunciato e poi congelato da parte dei magistrati contro la riforma di mediazione Cartabia su Csm e ordinamento giudiziario.

Presidente Caiazza cosa ne pensa di questa proposta del Cesp?

L'idea di affidare il Dap a Palazzo Chigi anziché a Via Arenula va approfondita ma condivido pienamente l'idea di fondo. Noi, come Unione Camere Penali, denunciamo da sempre quello che voi avete titolato come 'monopolio dei magistrati al Dap'. Non si comprende infatti perché quel Dipartimento, come altri ruoli apicali all'interno del Ministero della Giustizia, debbano essere affidati a dei magistrati. Se vogliamo poi, il Dap rappresenta persino il caso più eclatante. Il vertice del Dap è chiamato ad occuparsi della gestione amministrativa delle carceri,  quindi di personale civile, di Polizia Penitenziaria, delle condizioni detentive dei reclusi, di edilizia carceraria, e infine deve amministrare un bilancio di imponenti dimensioni. Si tratta insomma di un incarico di alta amministrazione, in uno dei comparti pubblici più delicati e peculiari. Quindi sarebbe auspicabile che a dirigerlo ci fosse finalmente una figura manageriale.

Sicuramente la figura di Carlo Renoldi rappresenta un passo avanti rispetto al passato.

La sua esperienza quale magistrato di sorveglianza è senza dubbio positiva perché come ha sottolineato anche il professor Giovanni Fiandaca è importante avere al vertice del sistema penitenziario «personalità votate alla prospettiva rieducativa». Rimane però il problema, in linea generale, che a capo del Dap c'è sempre un magistrato.

Questa idea diffusa ieri sul nostro giornale si tradurrà in una proposta di legge da sottoporre all'attenzione del Parlamento. Andando a toccare gli interessi della magistratura, secondo Lei ci sono i presupposti affinché possa essere ben accolta?

Noto che appena si toccano temi che mettono in discussione l'ipertrofia dei ruoli della magistratura, la politica si intimidisce o viene intimidita. Appena infatti essa compie dei piccoli passi in avanti, come nel caso della riforma del Csm e dell'ordinamento giudiziario, sappiamo tutti qual è la stata la reazione della magistratura. Mi auguro che la politica sappia finalmente liberarsi da questa dimensione ancillare rispetto alla magistratura.

A proposito di riforma e reazioni, Lei si è espresso ultimamente sulle "vere ragioni dello sciopero dei magistrati". Però adesso l'iniziativa è congelata in attesa dell'Assemblea generale del 30 aprile. Come interpreta questa frenata?

Probabilmente l'Anm si è resa conto di aver messo in scena una reazione totalmente insensata, nervosa, sopra le righe, rispetto alla modestia delle modifiche dell’ordinamento giudiziario apportate in sede parlamentare.

 Su questo giornale il professor Guzzetta si è chiesto se lo sciopero «politico» dell'Anm sia davvero legittimo in una cornice costituzionale.

Ha ragione a porre questa questione. Ma a prescindere dalla questione di legittimità dell'iniziativa, a me preme sottolineare il significato politico di questo riflesso, l'idea che di giustizia, nel significato più ampio possibile, la politica possa parlarne solo con il consenso della magistratura o sotto sua dettatura. Non c'è dubbio che se ci fosse lo sciopero esso sarebbe fatto contro una scelta politica del Governo e del Parlamento. Qui non si sta discutendo degli stipendi o del trattamento pensionistico dei magistrati ma di un assetto ordinamentale.

Ma accanto a questo Lei condivide il pensiero di coloro che sostengono che la magistratura non sia addivenuta ad una piena assunzione di responsabilità per la crisi che l'ha investita?

Siamo in presenza di una vera cecità, di una totale mancanza di consapevolezza di quali siano le cause vere della crisi istituzionale della magistratura e di credibilità della funzione giurisdizionale per come viene esercitata agli occhi del cittadino. Lo si è visto anche dai sondaggi secondo i quali la fiducia è calata dal 70 al 35%. Non cogliere questo aspetto e non interrogarsi sul perché il cittadino non nutra più fiducia nei confronti dei magistrati, ad esempio rispetto al tema della mancanza di terzietà e a quello della irresponsabilità dei giudici, dà la dimensione della cecità autoreferenziale della magistratura italiana.

Però è anche vero che in questi giorni l'Anm, respingendo l'accusa di voler far pressione sul Parlamento, sta ripetendo che le loro iniziative sono proprio rivolte ai cittadini affinché capiscano i motivi alla base della insofferenza che sta vivendo la magistratura rispetto a questa riforma.

Anche quando il pool di Mani Pulite andò in televisione con le barbe incolte per protestare contro il decreto Biondi si disse che l'obiettivo era quello di spiegare ai cittadini. Io trovo che oggi come allora sia grave: la magistratura pensa di avere titolo per parlare al popolo. E ciò dimostra la dimensione politica che vogliono far assumere alle loro iniziative. Eppure i magistrati sono delle persone che hanno superato un concorso e che devono esercitare una funzione connessa alla competenze acquisite. L'unico modo che la magistratura ha di parlare con i cittadini sono i provvedimenti e le sentenze. 

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