La gelosia dei magistrati per gli avvocati

 di Valentina Stella Il Dubbio 11 aprile 2022

Partiamo da alcuni dati: una ricerca condotta qualche anno fa da parte dell'Osservatorio Informazione Giudiziaria dell'Unione Camere Penali, presieduto ai tempi da Renato Borzone, in collaborazione con il dipartimento di statistica dell’Università di Bologna, ha rilevato che il contenuto degli articoli di cronaca giudiziaria  "è fondato essenzialmente su fonti di carattere accusatorio (circa il 70% degli articoli non riporta la difesa quale fonte di informazione), e comunque larga parte di esso è, ancora una volta, modellato sulle tesi d’accusa, siano esse oggetto di apprezzamento e consenso o di mera esposizione". Inoltre, sempre quella ricerca ci disse che oltre il 60% delle notizie riguardava l'arresto e le indagini preliminari, solo l'11% la sentenza. Quindi, a causa di una certa stampa cosiddetta 'embedded' delle Procure, in questi anni abbiamo assistito ad un racconto unilaterale delle vicende giudiziarie, dimenticandoci della fase del dibattimento. Sapete invece cosa teme ora parte della magistratura? Che saranno gli avvocati a prendersi la scena e/o a divenire le nuove fonti privilegiate della stampa, visto che la direttiva ha imposto dei limiti alla comunicazione della magistratura requirente e alla forze di polizia giudiziaria. La preoccupazione è emersa anche recentemente in un interessante convegno organizzato da 'Giustizia Insieme', "piattaforma permanente dedicata al confronto tra magistrati, avvocati, studiosi del diritto e società civile", dal titolo Processo mediatico e presunzione di innocenza (lo potete riascoltare su Radio radicale). Proprio durante un panel è stata sollevata, anche giustamente, la seguente questione dalla dottoressa Donatella Palumbo: considerato che la norma si riferisce alle autorità pubbliche, le fonti del giornalista potrebbero ora essere in maniera prevalente le difese e/o le parti offese, che non rientrano in quella categoria. In pratica ci si è chiesto se non possa verificarsi una indiretta lesione della presunzione di innocenza. In altri contesti altri magistrati hanno rilevato che già prima dell'entrata in vigore della norma a contattare i giornalisti sono stati spesso gli avvocati per farsi pubblicità. Per una citazione su un giornale sarebbero capaci di danneggiare persino la reputazione dell'assistito, hanno detto. Siccome in ogni categoria c'è sempre qualcuno che agisce in maniera poco ortodossa, possiamo anche immaginare che sia così. Ma di certo, come ha sottolineato recentemente in un altro convegno l'avvocato Lorenzo Zilletti, responsabile del Centro Studi Giuridici 'Aldo Marongiu' dell'Unione Camere Penali, "non è paragonabile il fenomeno delle conferenze stampa o delle veline delle Procure con i comportamenti deontologicamente scorretti tenuti in modo occasionale da avvocati spregiudicati. Il lettore del giornale o lo spettatore del tg sono certamente più influenzati dalla comunicazione ufficiale della Pubblica autorità che non dalla notizia filtrata ai giornalisti da altre fonti". Anche perché nella fase interessata dalla normativa, ossia quella delle indagini preliminari, gli avvocati non hanno tutte le informazioni di cui dispone invece il pubblico ministero. Certo, un problema potrebbe essere generato dalla mediatizzazione delle parti civili e delle persone offese prima del processo. Apriamo una parentesi: non ha torto il professore avvocato Ennio Amodio quando sostiene che nel processo penale la presenza della parte civile costituisce un aspetto incompatibile con il rito accusatorio, in quanto la difesa deve giocare una partita contro l'accusa e contro la parte civile, avendo davanti a sé anche un giudice non sempre terzo ed imparziale. Chiusa la parentesi, pensiamo ad esempio ai casi di violenza sessuale. Abbiamo visto tante trasmissioni televisive con le presunte vittime in studio a raccontare la loro esperienza e i loro avvocati in collegamento. Questa è sicuramente una profonda distorsione della comunicazione giudiziaria, tesa a ledere la presunzione di innocenza. Ma, comunque, esiste davvero il rischio che oggi a condurre la narrazione giudiziaria ci siano altri protagonisti con lo stesso potere mediatico delle Procure? Ora andiamo verso una inversione di tendenza? Impossibile, per le ragioni che vi abbiamo esposto. Piuttosto, come ha sottolineato il direttore scientifico di Giustizia Insieme, il dottor Roberto Conti, occorre promuovere una "leale cooperazione" "fra i diversi attori nella rappresentazione della giustizia", "lasciando ai margini atteggiamenti assolutistici, onniscenti, a volte supponenti e boriosi di coloro che, pur legittimamente espressivi di una di quelle verità, la contrabbandano come l'unica verità. Tutto questo impone dunque una grande dose di coraggio in tutti i protagonisti".  Eppure durante lo stesso convegno di 'Giustizia Insieme', il Procuratore Generale di Cassazione Giovanni Salvi ha tirato in ballo sempre l'avvocatura: "Per il magistrato informare è un dovere, non è un diritto [...]Resta ancora inaffrontato il tema del processo mediatico, perché il pubblico ministero e il giudice devono contrastare le informazioni errate e fuorvianti che vengono fornite dalle parti che non hanno obbligo di verità, non hanno obblighi specifici di correntezza.  Anche questa è una cosa che dobbiamo discutere: il difensore ha obbligo di verità? Ha obbligo di correttezza? Non so, è un tema però che forse va posto, perché non è possibile che la disciplina sia solo quella del magistrato". Innanzitutto sarebbe interessante capire come si concilia il dovere comunicativo evocato da Salvi con le recenti parole del Presidente della Repubblica e del Csm Mattarella: " A voi - rivolto a giovani magistrati -  è chiesto di amministrare la giustizia con professionalità e con riserbo". Per il resto, la sensazione è che alla magistratura non solo dia fastidio questa nuova norma, come spesso vi abbiamo raccontato, ma che il fastidio aumenti perché ad esserne interessati sono solo i magistrati e non anche  gli avvocati. Si sta guardando forse il dito e non la luna? 

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