"Lo Stato italiano contro Monica Busetto"

 

Di Valentina Stella Il Dubbio 19 aprile 2022

 

Monica Busetto è stata condannata a 25 anni di carcere per un omicidio che forse non ha commesso. Analisi del Dna contraddittorie, ricostruzioni sbagliate, reperti che passano da un laboratorio all’altro senza precauzioni, un'altra colpevole rea confessa e l’incapacità del sistema giudiziario di correggere se stesso. Questo è quello che emerge dal libro,   scritto a quattro mani dal giornalista Massimiliano Cortivo e dal docente di statistica per l'investigazione criminologica Lorenzo Brusattin, "Lo Stato italiano contro Monica Busetto" (pagine 682, Editore Cronos dicembre 2021, acquistabile su Amazon cliccando QUI). Attraverso una attenta e scrupolosa lettura dei verbali e degli atti, gli autori ripercorrono questa paradossale vicenda giudiziaria.

Tutto ha origine dall’assassinio di Lida Taffi Pamio il 20 dicembre del 2012 nella sua abitazione di Mestre. La scena del delitto si presenta povera di indizi e prove dirimenti agli occhi degli inquirenti fino a quando iniziano a puntare l’attenzione contro la vicina dell’anziana assassinata, Monica Busetto. L’operatrice sanitaria viene interrogata e intercettata più volte fino ad essere arrestata con l’accusa di omicidio, causato da dissapori di pianerottolo. Lei si dichiara innocente. A casa della donna viene sequestrata una catenina spezzata che, secondo gli investigatori, potrebbe essere stata strappata alla vittima. Andrà a rappresentare la smoking gun  sulla quale si poggerà tutto l’impianto accusatorio in quanto su di essa sarebbe stata trovata un’infinitesima quantità di Dna della vittima, appena tre picogrammi. Ma la prova regina, evidenzieranno gli autori, si dimostrerà molto dubbia: il primo esame condotto dall’Università di Padova non trova alcuna traccia di Dna; il secondo esame, condotto dalla polizia stessa, rileva flebilissime tracce. Secondo gli autori e numerosi esperti del settore, queste tracce sarebbero frutto di un inquinamento tra reperti.  

Ma l'aspetto ancor più sconcertante di questa storia è che ad un certo punto, dopo la condanna in primo grado della Busetto, viene arrestata un'altra donna, Susanna Lazzarini, che confessa sia l'omicidio di un'altra anziana, Francesca Vianello, che quello di Lida Taffi Pamio. Ha commesso entrambi i delitti per soldi. Dopo un lungo interrogatorio fornirà particolari dettagliati di entrambi i delitti, sostenendo più volte di aver agito da sola. Circostanza confermata anche quando parla con i familiari e viene intercettata. Una traccia di sangue, inizialmente ignorata dagli investigatori, la inchioda al delitto Taffi Pamio. Monica Busetto lascerà dunque il carcere per poi dovervi ritornare dopo che la Lazzarini incredibilmente e con argomentazioni illogiche e irrazionali la chiamerà di nuovo in causa per l'omicidio Taffi Pamio. Ne parliamo con gli autori del libro.

 

 

Perché scrivere un libro sulla vicenda di Monica Busetto?

 

M.C. «Siamo venuti a conoscenza del suo caso giudiziario per motivi diversi. Io all’epoca lavoravo in redazione al Corriere del Veneto, il dorso regionale del Corriere della Sera, e ho iniziato a seguire la vicenda per il sito web del giornale. Lorenzo invece, che da anni vive a Barcellona e all’università insegna Statistica per l’investigazione criminologica, in un primo momento è stato attirato dalla vicenda per caso, essendo la storia ambientata a Mestre, la nostra città. Entrambi poi, incuriositi dalle numerose anomalie e stranezze che venivano alla luce tra articoli di giornale e aule di tribunale, abbiamo deciso di approfondire il caso studiandolo in ogni suo dettaglio. La pubblicazione del libro ci è costata molto lavoro, ma siamo sempre stati motivati dalla sensazione di dover dare notorietà al caso di Monica Busetto per una sorta di dovere civile, per darle una mano. Una storia, la sua, per certi aspetti “minore” secondo i criteri della cronaca giudiziaria mediatica, ma allo stesso tempo sbalorditiva, che altrimenti sarebbe rimasta nelle pagine locali di cronaca giudiziaria e nei servizi dei tigì cittadini. Una piccola, grande ed emblematica storia che potrebbe essere la storia di ognuno di noi, purtroppo».

 

Nelle circa 700 pagine portate alla luce alcuni aspetti incredibili di questa storia. Partiamo dalla cosiddetta 'smoking gun', la prova del Dna. Pur non essendo così granitica ha portato una donna ad essere condannata a 25 anni di carcere. Cosa c'è di sorprendente nell'analisi del Dna?

 

L.B. «L'interpretazione delle risultanze di un'analisi di genetica forense, a fini probatori, non è semplice come può sembrare. Tutti siamo abituati a sentir parlare di numeri prossimi a zero quando si fa riferimento alla possibilità che l’attribuzione di un dna non sia corretta. Ma nel caso in questione ci si trova di fronte a (1) delle analisi ripetute, (2) da laboratori diversi, (3) con esiti contrastanti, (4) a partire da una quantità di materiale biologico così bassa da stabilire un record, (5) trovata su un reperto non proveniente dalla scena del delitto e (6) di origine mai chiarita. Vieppiù, la gestione fatta durante le indagini dei reperti, provenienti da luoghi diversi e le modalità di trasferimento da un laboratorio all'altro, non permettono di escludere una contaminazione. Tutt’altro. Sottolineiamo che la domanda cui si deve rispondere in questi casi non è soltanto "a chi appartiene questo DNA?", ma anche "come c’è finito qui?". Le domande sono due e il calcolo probabilistico da effettuarsi è ben più sofisticato. Deve necessariamente includere entrambe. Così non è stato».

 

Un altro elemento sconcertante è che c'è un'altra donna, Susanna Lazzarini, che confessa il delitto per cui è stata condannata la Busetto. Dice di aver agito da sola, sia parlando con i familiari che dinanzi agli inquirenti. Poi improvvisamente cambia versione. Come è potuto succedere?

 

M.C. «Susanna, “Milly” Lazzarini decide di cambiare “improvvisamente” la sua versione mesi dopo aver confessato ad un familiare di aver fatto tutto da sola (conversazione, tra l’altro, intercettata dagli inquirenti) e dopo ben tre lunghi interrogatori avvenuti a distanza di molte settimane l’uno dall’altro. Davanti ai magistrati sino a quel momento aveva sempre sostenuto di aver compiuto il delitto da sola. Solo nel quarto e poi quinto interrogatorio spunta la figura di Monica Busetto nella versione della Lazzarini. Una Busetto vestita da sala operatoria, con camice, cuffia e tutto il resto. Giova ricordare ciò che scrive il giudice nelle motivazioni con cui condanna Susanna Lazzarini a 30 anni di carcere (con rito abbreviato) nel giudizio parallelo per l’omicidio di Lida taffi Pamio:

 

“...le dichiarazioni rese, in proposito, dalla odierna imputata, appaiono prive di ogni affidabilità, oltre che intrinsecamente inverosimili [...] l'improvvisa comparsa della Busetto sulla scena del crimine lungi dallo scaturire improvvisamente, nel corso di una spontanea rievocazione degli eventi proposta dall'imputata, risulta, piuttosto, essere stata oggetto di una ipotesi di spiegazione avanzata, nel formulare una domanda obiettivamente connotata da forte carica suggestiva, dallo stesso pubblico ministero in occasione del primo interrogatorio e, quindi, dall'inquirente riproposta nel corso dell'ultima escussione della Lazzarini”.

 

Oggettivamente, quindi, un racconto inverosimile “aggiustato” più volte in successivi incontri con gli inquirenti. Sul perché abbia deciso di cambiare versione possiamo soltanto avanzare delle ipotesi. Nessuna ci fa ben pensare».

 

E appunto  c'è la figura del pubblico ministero. L'articolo 358 ccp prevede che "Il pubblico ministero compie ogni attività necessaria ai fini indicati nell'articolo 326 e svolge altresì accertamenti su fatti e circostanze a favore della persona sottoposta alle indagini". Fatta questa premessa al lettore, come descrivere il suo operato in questa storia?

 

L.B. «Non sta a noi giudicare l'operato del pubblico ministero nello specifico. Abbiamo pubblicato ampi stralci dei verbali degli interrogatori a questo proposito. Leggendo la storia di Monica Busetto, il lettore può farsi un'idea di come possano essere andate le cose».

 

Quello che sconvolge è che leggendo i verbali si vede chiaramente tutto lo sforzo degli inquirenti per far combaciare l’ipotesi iniziale – il coinvolgimento di Monica Busetto – con tutte le risultanze successive, emerse dalle testimonianze più volte modificate di Lazzarini.

 

M.C. «Quando abbiamo deciso di scrivere questo libro avevamo due strade per raccontare la complessa vicenda giudiziaria di Monica Busetto. Stare dalla parte del lettore, prendendolo per mano nella comprensione attraverso una scrittura sintetica, chiara e perciò per forza di cose mediata, oppure affidarci quasi meccanicamente allo svolgimento preciso dei fatti nella sua modalità integrale, forse a discapito della vivacità del racconto. Abbiamo scelto di riprodurre quasi per intero i verbali degli interrogatori perché riteniamo che solo così il lettore possa realmente toccare con mano l’intero percorso giudiziario. La cui conduzione esce in maniera vigorosa pagina dopo pagina, interrogatorio dopo interrogatorio».

 

Qualche considerazione la chiedo anche sul ruolo dell'avvocato di Susanna Lazzarini. È vero che l'avvocato deve fare gli interessi del proprio assistito ma per chi ha letto il libro si è avuta l'impressione che il legale abbia applicato il principio "mors tua vita mea".

 

L.B. «Anche in questo caso, non ci sentiamo di valutare, né in termini tecnici né morali, l'operato della difesa di Susanna Lazzarini. Il ruolo di un penalista è spesso delicato e non esente da dilemmi etici e trade-off d'ogni tipo».

 

Voi scrivete che il sistema giudiziario è incapace di correggere se stesso. Lo Stato per questo sborsa milioni e milioni di euro all'anno per ingiuste detenzioni e errori giudiziari.  Quali le ragioni dietro l'inadeguatezza di correggere i propri errori?

 

L.B. «Ingiuste detenzioni ed errori giudiziari viaggiano su binari diversi. È probabilmente più difficile evitare le prime che i secondi. Il caso di Monica Busetto è sui generis. Elementi nuovi e travolgenti sono emersi quando il giudizio di primo grado si era già concluso. Alla prova genetica è stato dato un peso straordinario che, a nostro giudizio, non avrebbe mai dovuto avere. Pur dinanzi a nuove evidenze, si è insistito, coralmente, con tutta la procura e gli inquirenti in conferenza stampa, sulla cosiddetta "prova regina". Era un po' come dire: "Non possiamo esserci sbagliati. Impossibile!" Un po' più di umiltà e qualche approfondimento aggiuntivo sulla logica interpretativa utilizzata nel valutare la prova genetica e la sua acquisizione avrebbero potuto evitare quello che noi riteniamo essere un errore macroscopico».

 

Questa storia è sconosciuta purtroppo all'opinione pubblica. Abbiamo visto delle trasmissioni dedicate alla vicenda ma nulla è comparso di quanto voi raccontate in questo libro.

 

M.C.  «Purtroppo per ora la vicenda giudiziaria di Monica Busetto è rimasta confinata nelle pagine locali di cronaca e ad una trasmissione televisiva nazionale di seconda serata, per altro realizzata in collaborazione con le forze dell’ordine e, a nostro parere, molto parziale, quando non fuorviante, nella presentazione dei fatti. La complessità della storia certamente confligge con il linguaggio e le necessità di semplificazione e spettacolarizzazione della tv. La prima vittima era una persona anziana e la cosa non destava molto interesse mediatico. I giornali locali non hanno mai evidenziato le numerose anomalie che hanno portato alla condanna di Monica Busetto. Quando c’è stata una seconda vittima e Susanna Lazzarini è comparsa sulla scena come una potenziale assassina seriale, la stampa locale ha dato per buone le mosse della procura ed ha mantenuto un’equidistanza piuttosto distratta sulla vicenda, ritenendo il coinvolgimento di Monica Busetto come verosimile. Dopo questo libro le cose sono un po’ cambiate, ma per Monica era già tardi. Recentemente, la sua vicenda è tornata ad attirare l’attenzione di molti giornalisti che in un primo momento non avevano prestato molta attenzione al caso, nonché di opinionisti specializzati nelle reti sociali. Noi continuiamo a parlare della sua vicenda. La difficoltà principale rimane quella di spiegarla con chiarezza».

 

Che possibilità ci sono per la Busetto che il suo caso venga riaperto?

 

L.B. «Per come è scritto il codice di procedura penale, i margini per una revisione della condanna di Monica Busetto sono molto stretti. Ma ricordiamo che c'è pur sempre una sentenza, quella del giudizio parallelo a Susanna Lazzarini, che dichiara non provata la colpevolezza di Monica Busetto. Citiamo testualmente:

 

“Per contro, il ruolo di materiale compartecipe nel delitto in imputazione attribuito alla coimputata, giudicata separatamente, Busetto Monica, non ha trovato, alla

stregua del compendio probatorio disponibile, adeguato riscontro”.

 

La sua difesa, su questo e su altri aspetti, sta lavorando. Chiudiamo facendo notare che alcuni aspetti di questa vicenda sono stati oggetto di indagine accademica (e relative pubblicazioni, che ne hanno evidenziato le criticità). Per Monica resta ancora aperto uno spiraglio. Arrivati a questo punto, quello di cui c’è bisogno è uno slancio di coraggio da parte di chi ha nelle proprie mani quello che resta delle sue sorti giudiziarie».

 

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