Intervista a Tullio Morello

 Angela Stella

Intervista a Tullio Morello, membro togato del Csm in quota Area, già Presidente della V sezione penale al Tribunale di Napoli.

Cosa ne pensa del primo ddl Nordio?

La riforma per come prevista innanzitutto mi lascia perplesso perché non accelererà di un giorno nessun processo in corso, come invece ci è stato chiesto dall’Europa. È l’ennesima riforma che non crea un beneficio al processo penale né lo rende più efficiente. Sono riforme, ad esempio quella dell’abolizione dell’abuso di ufficio, viste bene dalla politica ma non so quanto dai cittadini. Questo reato come quello di traffico di influenze nascevano dall’esigenza di assicurare il buon andamento della pubblica amministrazione e l’uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.

L’Anm ha denunciato che mancano magistrati e risorse strumentali per attuare come si deve le riforme del civile e del penale. Non ci si poteva pensare prima?

Sicuramente c’è un problema tutto italiano: ogni Governo fa la propria riforma e contemporaneamente deve gestire quella del precedente. Invece la giustizia avrebbe bisogno di stabilità. Ovviamente delle riforme ci sono state anche richieste dall’Europa, penso alla digitalizzazione e accelerazione dei processi, e richiedono degli investimenti che l’Italia fino ad ora non ha fatto. Il Csm sta facendo la sua parte con tavoli tecnici con cui cerchiamo di affrontare tutte le problematiche e segnalarne al Ministero della Giustizia.

Comunque ci saranno nuovi concorsi.

Ma il problema è adesso e va avanti da molto. Mancano in Italia 1400 magistrati. A Napoli decine e decine. E in un ufficio grande la carenza si sente ancora di più.  L’ufficio di cui ero coordinatore, quello del dibattimento penale, ha carenze di 30 giudici. Sono numeri che gridano vendetta.

Da un lato c’è carenza di giudici dall’altro lato però aumentano i reati perseguibili, ingolfando le carceri. Non è contraddittorio?

Sicuramente. Una delle poche cose positive imposte dall’Europa – perché non so fino a che punto le abbiamo maturate intimamente noi italiani -  è quello della giustizia riparativa che tende a creare un po’ una deflazione della pena, intesa come restrizione. Il problema grosso è che siamo troppi pochi e dobbiamo gestire migliaia di fascicoli. Gestiamo numeri enormi e siamo troppi di noi ad interessarci di un singolo processo. È un lusso che il sistema non può permettersi.

Quali sono le soluzioni?

Una seria depenalizzazione di reati che hanno disvalori penali minimi e che potrebbero prevedere sanzioni amministrative e multe che possono avere una efficacia più deterrente nella mente di chi viola la norma. E poi spesso la pena neanche viene eseguita perché il processo si prescrive. Il problema risiede anche nelle norme previste dalle leggi speciali. L’altro strumento sarebbe l’amnistia che consentirebbe di ripartire ad una macchina andata fuori giri. Essa avrebbe anche il pregio di far svuotare le carceri che stanno vivendo un momento davvero critico.

Depenalizzazione e carcere come extrema ratio erano anche nel programma di Nordio ma non condivise dal partito che lo ha fatto eleggere, ossia Fratelli d’Italia.

Io dico quello che penso da operatore tecnico del settore. Su depenalizzazioni e amnistia anche l’avvocatura è d’accordo.  Bisogna avere il coraggio di dire che il sistema così com’è non funziona. Negli ultimi 30 anni la politica ha lasciato il cerino in mano al giudice perché fare una seria depenalizzazione o un’amnistia avrebbe rischiato di far diminuire il consenso elettorale. Poi quegli stessi cittadini se la prendono con i giudici che sono spesso costretti a sancire la prescrizione: questo è più comodo per la politica.

Secondo il Garante Palma “dobbiamo riflettere, infatti, come un discorso pubblico sbilanciato sul versante populista e applicato all’ambito penale abbia portato in anni recenti all’estensione dell’area del controllo penale, pur in presenza della riduzione numerica dei reati più gravi”.

Purtroppo ogni vicenda che viene enfatizzata sulla stampa e in tv porta poi molto spesso alla creazione di nuovi reati. False emergenze vanno ad ingolfare un codice già saturo.

Il 34% dei detenuti totali è in carcere per la legge sulle droghe: quasi il doppio della media Ue. Quasi la metà di loro è tossicodipendente. È quanto emerso dalla quattordicesima edizione del Libro Bianco sulle droghe presentato alla Camera da Riccardo Magi di + Europa. Concorda con la necessità di politiche di decriminalizzazione per ridurre anche il sovraffollamento?

Le carceri sono piene di tossicodipendenti. Sono piene degli ultimi, dei rifiuti della società, delle persone che hanno più problemi. Certo, una decriminalizzazione potrebbe essere una soluzione e non sono il solo a pensarla così.

L’altro giorno c’è stato uno scontro sempre tra Magi e la premier Meloni sempre sul tema della legalizzazione della cannabis. Sarebbe favorevole?

È un tema scivoloso che si presta a più interpretazioni. Il contrabbando di sigarette esiste comunque, nonostante nei circuiti tradizionali sia legale la vendita di sigarette. Sicuramente un po’ servirebbe a contrastare il fenomeno criminale ma non basterebbe per vincere definitivamente la lotta alla criminalità organizzata. La battaglia si vince soltanto dotando le forze di polizia e gli organi inquirenti e chi deve assicurare la giustizia delle strutture e uomini necessari. Inoltre occorre creare le basi culturali affinché non sia più favorevole nella testa di qualcuno associarsi ad un clan invece che studiare e lavorare onestamente.

In carcere ci sono troppo suicidi. Chi e dove si sbaglia?

I detenuti purtroppo non riescono a ricevere quella rieducazione che dovrebbero avere attraverso percorsi di studio e di reinserimento lavorativo. Le condizioni disagiate sono poi anche degli operatori e gli educatori. Tutto questo è indecente in uno stato democratico. Come è indecente la mancata attuazione della riforma delle Rems.

Qualche giorno fa proprio a Napoli un giudice è stato aggredito verbalmente mentre leggeva una sentenza e uno degli avvocati difensori è stato preso a schiaffi dai parenti della vittima.

È una cosa vergognosa quella accaduta a Napoli. Come ho detto ai giovani magistrati che mi sono stati affidati negli anni: massimo rispetto per il dolore di ogni persona offesa ma il protagonista del processo è l’imputato. Abbiamo il compito difficilissimo ma anche il privilegio che la legge ci dà di giudicare vicende umane e decidere se una persona è colpevole o innocente. E lo dobbiamo fare col massimo rispetto verso l’uomo imputato. Esistono fatti aberranti ma le persone non sono aberranti.

 Il disappunto dell’opinione pubblica verso sentenze assolutorie e pene diminuite non dipende anche dalle aspettative create da pm a volte troppo zelanti nella comunicazione?

È un circolo vizioso che viene alimentato da questo e anche dalla voglia della stampa di creare sensazionalismo. Il processo mediatico penso che sia la cosa peggiore che possa capitare ad un giudice che deve avere spalle largo per gestire un processo che ha l’attenzione dei media.

Decreto anti-rave party, nuovo ergastolo ostativo, respingimenti. Che giudizio dà?

La nostra Costituzione è invidiata in tutto il mondo e anche l’indipendenza della magistratura e l’eguaglianza tra i cittadini dinanzi alla legge; ma è anche la meno attuata, pone principi bellissimi spesso disattesi da alcune leggi e dalla pratica quotidiana. Questo governo sta facendo una politica di destra, è chiaro. Ma la Costituzione è inattuata ormai da sessant’anni.

 

 Due giorni fa il nuovo Procuratore di Firenze è stato nominato con il voto decisivo del vice presidente del Csm Pinelli.

Tutti e tre i magistrati in corsa erano figure eccellenti. Ma quando si decide per una nomina lo si fa per l’ufficio che andrà a dirigere. Squillace conosceva quell’ufficio per averci lavorato e anche bene. Ci sono rimasto male perché il vice presidente per la prima volta ha esercitato  - seppur legittimante  - il suo diritto di voto, anche se non lo aveva mai fatto, ed è stato decisivo. Non abbiamo condiviso quanto da lui detto: “oggi faccio una eccezione e lo farò in futuro per le pratiche più importanti”. Le pratiche sono tutte importanti, altrimenti dal Csm parte un messaggio sbagliato facendo ritenere che una nomina sia più importante di un’altra ed è inaccettabile.

Suo padre è stato estensore della sentenza che ha assolto Enzo Tortora. Lei ha raccontato che dopo quella decisione fu isolato. L’ambiente è ancora così malsano?

Non saprei. Erano altri tempi. Non si sono stati da allora processi così eclatanti. Resta il fatto che ieri come oggi il giudice deve essere indipendente; l’indipendenza è nella nostra coscienza e nella nostra forza. Al di là di tutto dobbiamo creare anche noi una sistema che sappia tutelare la nostra indipendenza, ponendo delle regole che aiutino il giudice ad essere indipendente.

In che senso?

Penso alle regole di assegnazione dei processi: quando l’assegnazione di un processo ad un giudice viene fatta ad personam da un dirigente non so poi fino a che punto sei indipendente.

 

 

 

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