Intervista a Eugenio Albamonte

 Valentina Stella Dubbio 7 luglio 2023

Due i temi caldi di politica giudiziaria: la nomina del procuratore di Firenze grazie al voto decisivo del vice presidente del Csm e la prescrizione. Ne parliamo con Eugenio Albamonte, Segretario di AreaDg.

Come legge quanto accaduto in Csm?

È un precedente che ha lasciato sorpresi. Da che ho memoria, quindi almeno da vent’anni a questa parte, non ricordo un caso in cui il vicepresidente ha voluto o dovuto ricorrere all’espediente del doppio voto per far prevalere una posizione rispetto all’altra. In più si trattava di una nomina che la politica ha voluto rivestire di un significato particolare e quel voto del vice presidente assegna una lettura politica di quella delibera, non finalizzata a scegliere la persona più adatta in base al curriculum ma quella che dà l’impressione, ad alcuni ambienti della politica, ad essere più o meno disponibile nelle aspettative di trattazione di singoli procedimenti, come avveniva in quelle discussioni notturne dell’Hotel Champagne dove una parte politica molto vicina a quella che ha agito in questo caso si preoccupava che Creazzo dovesse essere promosso al fine di essere rimosso proprio in relazione alla gestione di quegli stessi processi.

Si riferisce a Matteo Renzi?

Leggo i giornali e mi sembra che i due temi caldi della Procura di Firenze che concentrano l’attenzione della classe politica siano da una parte il processo sulla Fondazione Open e dall’altra le indagini che si stanno facendo ancora una volta su via dei Georgofili. Da questo traggo spunto per cercare di capire cosa si è mosso dietro queste nomine.

Si torna a parlare di prescrizione. Che ne pensa del dibattito che si sta svolgendo?

Penso che il tema della prescrizione sia stato eccessivamente connotato di valenza politica prima durante il periodo in cui  Silvio Berlusconi era il primo attore della politica nazionale e la disciplina della prescrizione è stata più volte utilizzata per interferire nel corso dei processi che lo riguardavano.

E adesso che è morto?

C’è una forte contrapposizione ideologica tra i Cinque Stelle che difendono la riforma Bonafede e chi, al di là delle conseguenze sul piano processuale, vogliono abolire quel risultato dell’ex Guardasigilli pentastellato, ma solo per il significato politico da esso assunto.

Quindi?

Mi sembra assurdo mettere mano alla prescrizione con una ennesima nuova disciplina diversa da tutte quelle che conosciamo fino ad ora. Se non c’è la disponibilità del Governo attuale o del Ministro Nordio a mantenere il regime così com’è, allora l’unica cosa che si può accettare come linea di mediazione è quella proposta da Nello Rossi in una intervista proprio al vostro giornale, ossia tornare alla riforma Orlando – che poi non è stata neanche mai sperimentata – e che all’epoca sembrava condivisa sia dall’avvocatura che dalla magistratura.

Lei pertanto sarebbe contrario a far convivere l’orologio della processuale e quello della sostanziale?

Tornare alla Orlando vorrebbe dire togliere definitivamente di mezzo questa mostruosità della prescrizione processuale, mascherata nella forma dell’improcedibilità.

Lei criticò molto però Orlando in passato.

L’ho tanto criticato quando era Ministro ma oggi gli direi che su tutta una serie di cose aveva ragione lui, a partire dalla prescrizione e dall’archivio riservato delle intercettazioni come punto di approdo moderno, funzionale ed equilibrato tra privacy ed esigenze investigative.

Il paradosso è che proprio il Pd non voglia tornare alla Orlando. A dimostrazione anche il fatto che abbiano chiamato in audizione il professor Gatta che ha detto che “abolire l’improcedibilità, in piena fase di attuazione del PNRR, sarebbe un suicidio”.

A me sembra che il fatto che sia il professor Gatta che il Partito Democratico vogliano continuare a sperimentare l’improcedibilità corrisponde un po’ al vecchio adagio ‘ogni scarrafone è bell’ ‘a mamma soja’. Essendone loro i padri spirituali la tutelano come se fosse una figlia, al di là dei meriti o demeriti effettivi che possa avere. Io credo che sia un meccanismo non destinato a produrre buoni risultati, soprattutto in una situazione in cui le Corti di Appello – alcune in modo particolare – continuano ad essere un collo di bottiglia. Il rischio è che avremo – ne parlavo ieri con gli avvocati – trattati celermente i procedimenti nuovi, quelli sottoposti alla mannaia dell’improcedibilità, mentre tutto il resto sarà destinato a rimanere fermo. Si avranno processi a vita per alcuni e una pronta definizione per altri, in una situazione in cui una corretta distribuzione dei tempi della giustizia corrisponde anch’essa ad una eguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge.  

Ma la pax raggiunta qualche giorno fa tra Nordio e Anm è solo apparente?

Non si sono mai interrotti i rapporti tra il Ministro e l’Anm ed è giusto così, perché l'Anm non ha la tendenza a ritirarsi impermalosita sull’Aventino anche quando si dicono delle cose su di lei che non si ritengono giuste. Ha comunque il dovere, nell’interesse della giurisdizione e dei cittadini, di far rimanere aperta la linea del dialogo. Dopo di che una cosa è il dissenso sui singoli temi che deve essere espresso con argomenti, altra cosa è la delegittimazione. Ben venga una differenza di orientamenti tra Anm e Ministero e Nordio su quali possano essere le soluzioni migliori per il sistema giustizia, malissimo continuare con la linea della delegittimazione dell’Anm, diminuendone il prestigio e le capacità di interlocuzione. 

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