Intervista a Tullio Padovani

 Angela Stella Unità 15 luglio 2023

Questione giustizia: il professore avvocato Tullio Padovani, Accademico dei Lincei, dice la sua sulle ultime vicende.

C’è uno scontro tra politica e magistratura?

Questo scontro dura da più trent’anni, lo scontro inizia molto prima di Mani Pulite. Si prepara agli inizi degli anni ‘70. Durante questi decenni ci sono stati momenti anche di stasi ma se non si rimuovano le cause è destinato a durare.

Quali sono le cause?

Derivano dal fatto che la funzione del pm, e in generale della magistratura, ha nel corso del tempo assunto un ruolo e una funzione ipertrofica rispetto alla concezione di uno Stato di Diritto equilibrato. Hanno cioè un ruolo dominante. Già anni fa dicevo provocatoriamente: L'articolo 1 della Costituzione ('L'Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione') va riletto così: L'Italia è una Repubblica giudiziaria, fondata sull'esercizio dell'azione penale. La sovranità appartiene ai pubblici ministeri, che la esercitano in modo discrezionale. Questo non vuol dire che i giudici governino in tutto e per tutto, ma in certe situazioni si atteggiano a decisori di ultima istanza.

Secondo Lei Nordio, con le sue esternazioni pubbliche più da editorialista che da Ministro, è un problema per Giorgia Meloni?

Non saprei. La Meloni lo ha scelto, lo ha voluto, lui non sorprende nessuno con quello che dice. Nordio fa bene a riaffermare la linea politica della giustizia che ha fin dall’inizio espresso. Certo, talvolta può essere impolitico dire determinate cose in certi momenti. In tutto questo Nordio mi sembra un po’ isolato.

Come giudica le parole usate dalla premier sul caso Santanché (neanche un avviso di garanzia determina automaticamente le dimissioni)?

Sono cose vecchie. Ce lo diciamo da decenni. I discorsi sono sempre gli stessi. Invece di lamentarvi, avete il potere, risolvete il problema! L’avviso di garanzia non è stato proclamato sul Monte Sinai, quindi si può disciplinare in modo più corretto, così come la disciplina sulla pubblicazione degli atti. Non giudico la vicenda in particolare, ma sul tavolo ci sono le solite questioni.

Dal punto di vista dell’opportunità politica dovrebbe dimettersi se ricevesse l’avviso di garanzia?

Ma neanche per sogno in linea di principio. Tutto ruota intorno all’esercizio dell’azione penale in Italia che è sottratto ad un vaglio preliminare di legalità. Come inizia l’azione penale? Basta che ci sia una denuncia su cui occorre svolgere le indagini. Il moto giudiziario all’inizio può essere sollecitato anche da elementi labili e poi alla fine, dopo molto tempo, quando il danno ormai è fatto, si vede che non c’era nulla di penalmente rilevante. Non puoi essere condannato se ti arriva un avviso di garanzia. Inoltre è sbagliato e assurdo che l’informazione di garanzia possa essere pubblicata. Si tratta di un problema che mi sono trovato a trattare in una commissione, nominata dal Ministro Martelli, già agli inizi degli anni ’90. Vi facevano parte, tra gli altri, anche Glauco Giostra e Giorgio Lattanzi e discutevamo di questo, ossia della segretezza degli atti di indagine. Esattamente 30 anni fa elaborammo un progetto di riforma -  avevamo rilevato che il meccanismo del codice prevede la tutela delle indagini ma non dell’indagato  - contro il quale si scatenarono campagne giornalistiche durissime che hanno indotto il ministro a disconoscere l’elaborato. Siamo fermi, siamo in un universo immobile, siamo fuori della storia.

E sul caso Delmastro e l’imputazione coatta?

Mi permetto di dissentire da Nordio. Questo sistema certamente è in antitesi col sistema accusatorio ma il fatto è che noi abbiamo un sistema costituzionale che non è ispirato all’accusatorio. In particolare noi abbiamo un sistema costituzionale che prescrive con l’articolo 112 l’obbligatorietà dell’azione penale. E allora quando il pm chiede di archiviare il controllo di legalità chi lo dovrebbe fare? Il controllo del gip è un istituto costituzionalmente necessario. Il problema sta nel 112: lo dobbiamo mantenere così? È il velame in realtà dietro al quale si cela l’arbitrarietà. Se il pm va avanti e tiene una persona sulla graticola per anni con indagini che portano a perquisizioni e sequestri e poi finisco in un non nulla, lui non risponde di nulla perché sostiene di essere obbligato ad esercitare l’azione penale. Possibili che non si vedano le cose più ovvie?  Discutiamo veramente della responsabilità dei magistrati che devono render conto di ciò che fanno, anche in relazione alla progressione  di carriera.

Secondo lei l’Anm ha il diritto di intervenire nella discussione pubblica o la giudica una interferenza?

Io la giudico una pesantissima e inqualificabile interferenza. L’Anm ha un compito assimilabile mutatis mutandis a quello di un ‘organismo sindacale’, per lavorare, ad esempio, per la tutela degli stipendi, per i problemi intra-categoriali. Quando si pretende di scendere in campo con quella forza associativa, si diventa un partito politico di maggioranza in termini qualitativi, di potere.

Come giudica il primo pacchetto di riforme targato Nordio?

L’abolizione dell’abuso di ufficio è una scelta assurda, improponibile. Si verrà a creare un buco nel quale si insinua un potere sottratto ad ogni controllo di legalità. In altri termini: quando c’è discrezionalità amministrativa non c’è sindacato del giudice penale. Ma se questo comportamento non si esprime nelle forme dell’atto viziato da una illegittimità censurabile non lo sarà neanche rispetto al Tar. Quindi in sostanza il pubblico ufficiale è il titolare esclusivo di una potestà di cui non deve rendere conto a nessuno. Saremmo quindi in uno Stato premoderno, molto più vicino al sistema feudale che non a quello dello Stato di Diritto. Per quanto concerne il collegiale per le misure cautelari rappresenta senza dubbi maggiori garanzie ma non lo si può prevedere per tutti i reati.

Ora si parla di rivedere il concorso esterno. Giusto aprire un dibattito?

Che il concorso eventuale nel reato associativo sia concepibile è il sistema che ce lo dice, solo che giustamente ha di per sé connotati di indeterminatezza. Da qui tutte quelle incertezze giurisprudenziali che lo rendono evanescente. Il problema comunque andrebbe innanzitutto affrontato sul piano del concorso in generale ma anche su questo sono decenni che ne discutiamo.

Secondo lei il Governo e il Parlamento avranno la forza e i numeri per portare a casa la separazione delle carriere?

È la battaglia finale, è irrinunciabile. Se il pm viene separato dall’ordine giudiziario non è più la stessa cosa: la separazione di conseguenza porterebbe alla discrezionalità dell’azione penale, al controllo dell’operato del pm. I tre punti che costituiscono la riforma della giustizia: discrezionalità, responsabilità, separazione. Sulla possibilità che questa riforma venga approvata mi chiedo: la forza casomai ce l’hanno ma come la eserciteranno? Nessuno mi garantisce che la soluzione sia razionale.

Si sa che d’estate le carceri sono forni bollenti. E continuano i suicidi. Non crede che ci sia un disinteresse generale nei confronti delle carceri?

Non interessa niente a nessuno. Si ammazzino pure, sarà uno di meno. E seppure la gente lo viene a sapere fa spallucce. Se l’obiettivo fosse quello di far emergere il problema, sollevare l’opinione pubblica questi eventi sarebbero denunciati dalle stesse autorità per dire ai cittadini ‘vedete in che situazione siamo?’. Il Governo dovrebbe essere il primo a rendere trasparente la situazione, invece bisogna accendere Radio Radicale o leggere quei pochi giornali che ne parlano. Quando entri in una grande azienda, trovi un grande cartello nel quale sono indicati gli infortuni sul lavoro in un determinato periodo per far vedere qual è l’andamento. E ogni morte diviene motivo di allarme per tutti. Quindi è un cartello monitorio. La stessa cosa dovrebbe esserci all’ingresso di Via Arenula per i suicidi perché sono indici di una grave crisi da denunciare sulla pubblica piazza e che deve sollecitare interventi drastici. Non possiamo avere la morte per pena, perché abbiamo abolito la pena di morte.

Qualcuno non vuole Rita Bernardini, presidente di Nessuno Tocchi Caino, come membro del Collegio del Garante dei diritti dei detenuti.

Sicuramente qualcuno non la vuole perché Rita avrebbe una linea che non farebbe piacere quasi a nessuno. Rita quel frammento di potere lo ha speso a servizio delle carceri. Per questo è unica ed è una eccezione in questo Paese. Ma la regola non ama le eccezioni e quindi meglio che lei resti fuori con mille pretesti. 


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