Stallo sulla riforma del Csm dopo due anni di rinvii

 di Valentina Stella Il Dubbio 23 marzo 2022

La riforma del Csm e dell'ordinamento giudiziario sarebbe dovuta approdare nell'Aula della Camera lunedì 28 marzo ma molto probabilmente non sarà così. Solo oggi infatti ci sarà la prima riunione di maggioranza, convocata dal ministro per i Rapporti con il Parlamento D'Incà, alla quale parteciperà, tra gli altri, il Presidente di Commissione Perantoni e molto probabilmente la Ministra Cartabia. L'obiettivo è quello di mettere d'accordo le forze di maggioranza: permangono divisioni tra loro su alcuni temi e poi molti subemendamenti si discostano nettamente dall'impianto proposto dal Governo. È vero che sono stati dimezzati nel frattempo, in uno spirito di collaborazione richiesto proprio da Perantoni, ma sarà difficile far mollare la presa sui punti che vengono pensati come linee Maginot. Intanto ieri Conte ha incontrato i  suoi deputati della Commissione: no alle porte girevoli per tutti, no alla separazione delle funzioni, no alle norme sulla presunzioni d’innocenza portate avanti dal centrodestra. Dato questo scenario è dunque impossibile che in soli due giorni il Governo esprima un parere e si voti in Commissione per poi arrivare in Aula. Ma come si è arrivati a questa compressione e compromissione del dibattito? Questa forse, seppur non strettamente legata ai fondi del Pnrr, è la riforma più importante, in quanto dovrebbe risanare l'immagine della magistratura dopo gli scandali dell'Hotel Champagne e del correntismo. Eppure si teme che la montagna partorirà un topolino, un testo annacquato per permettere di avere in tempo il nuovo Csm con la nuova legge elettorale. Se le responsabilità siano da addebitare al Governo, alle forze politiche o ad entrambi è difficile da capire. Noi proviamo a riannodare il nastro. La riforma è stata più volte evocata dal Presidente Mattarella che iniziò a chiedere un intervento legislativo già nel 2019: la riconquista di credibilità e dell’indipendenza e totale autonomia dell’Ordine giudiziario "confido  - disse - che avverrà anzitutto sul piano, basilare e decisivo, dei comportamenti" ma anche con "modifiche normative, ritenute opportune e necessarie, in conformità alla Costituzione". E poi? La riforma è stata approvata in Cdm nell'agosto del 2020, durante il Governo Conte Due, Ministro della Giustizia era Bonafede. Il disegno di legge AC 2681  è stato poi presentato alla Camera il 28 settembre 2020. L'esame in Commissione giustizia è partito il 14 ottobre. Solo il 21 aprile 2021 il ddl Bonafede venne adottato come testo base. Intanto si era già insediato il Governo Draghi e un mese prima la Guardasigilli aveva tenuto il suo discorso alla Camera. Sul tema era stata chiara: "le note, non commendevoli, vicende che hanno riguardato la magistratura, specie negli ultimi mesi, rendono improcrastinabile anche un intervento di riforma di alcuni profili del Csm e dell’ordinamento giudiziario, anche per rispondere alle giuste attese dei cittadini verso un ordine giudiziario che recuperi prestigio e credibilità". Il termine 'improcrastinabile' non lascia dubbi interpretativi, eppure questo stesso Governo ha depositato i suoi emendamenti quasi un anno dopo, ossia il 25 febbraio 2022. In tutti questi mesi a cosa abbiamo assistito? A fine maggio 2021 si sono conclusi i lavori della Commissione ministeriale presieduta da Massimo Luciani, a cui seguì il 4 giugno un incontro della Ministra con i capigruppo di maggioranza della commissione Giustizia di Montecitorio per spiegarne i punti principali. La relazione non fu accolta molto bene a partire dal voto singolo trasferibile fino alla permanenza delle porte girevoli. Intanto il 9 e il 15 giugno la Commissione Giustizia della Camera si riunì: in attesa dell'emendamento del Governo, vennero presentati 400 emendamenti al testo base. Nel frattempo vengono approvate durante l'estate le riforme del processo penale e civile. La successiva riunione sul Csm arrivò solo il 2 dicembre, su input di Zanettin (Fi) e Costa (Azione). Tutto si era fermato in attesa del Governo. In quella occasione proprio Zanettin fece notare che  "si sono svolti finora soltanto due incontri presso il Ministero della giustizia, nel corso dei quali è stato appena affrontato il tema del sistema elettorale che, per quanto spinoso, non è certamente l'unico importante". Quattro giorni dopo fu la stessa Ministra, dopo averne discusso anche con il premier Draghi, a rassicurare: la riforma del Csm è "imminente".  Il 9 dicembre Cartabia incontrò nuovamente i partiti ma da quello che ci raccontarono le delegazioni si trattò di un altro incontro interlocutorio in cui la Ministra ascoltò le loro proposte e partecipò a parole la sua idea di riforma. Sul tavolo nessun testo. Quest'ultimo, annunciato durante le festività natalizie, è poi slittato: tutto congelato in attesa dell'elezione del nuovo, poi vecchio, Capo dello Stato. Il perché non si è mai capito bene: qualcuno dice che la Cartabia era tra i papabili per il Quirinale, altri perché tale riforma divisiva avrebbe reso ancora più complessa la trattativa quirinalesca. Sta di fatto che solo l'11 febbraio il testo del Governo verrà approvato in Cdm ma giungerà in Commissione il 25, perché bloccato dalla Ragioneria di Stato. Inizia la corsa dei partiti ai subemendamenti. Altro scoglio: sono troppi, bisogna tagliare altrimenti la riforma è a rischio. Su tutto pesano le parole di Draghi che disse di non voler porre però la fiducia. Ma se si andrà avanti di questo passo si corre davvero il rischio, ipotizzato dall'onorevole Enrico Costa, che per l'ennesima volta si metterà in campo " il classico schema per dribblare il Parlamento". 


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