Via Poma: parla Del Greco

 di Valentina Stella Il Dubbio 22 marzo 2022

L’indagine sull’omicidio di Simonetta Cesaroni “si può riaprire in qualsiasi momento ma a questo punto serve un segnale dalla Procura di Roma che in questi ultimi anni però non è arrivato”: così ci disse due anni fa l’avvocato Federica Mondani, legale della famiglia della ragazza uccisa il 7 agosto di 32 anni fa in via Poma con 29 colpi d’arma bianca al volto e al collo. Il caso rimane irrisolto:  diverse piste, nessun colpevole, un mistero italiano forse secondo solo a quello del mostro di Firenze. Ma oggi finalmente quel segnale invocato dalla famiglia della povera Simonetta sembra essere arrivato perché, come reso noto da Massimo Lugli su Foglio, ci sarebbe un indagato, che già all’epoca dei fatti finì nel mirino degli investigatori. I dettagli che trapelano sono pochissimi. Il sospettato avrebbe mentito fin dall’inizio sull'alibi, fornendo a chi indagava una ricostruzione degli spostamenti non precisa. Ora la storia sembra vacillare, grazie alla testimonianza di una persona, ritenuta affidabile da chi conosce il caso. A riaprire le indagini è stata la pm Ilaria Calò, la stessa che sostenne l’accusa contro Raniero Busco, l’ex fidanzato della vittima assolto definitivamente in Cassazione. Tra i testimoni ascoltati dal pm Calò c'è Antonio Del Greco, che con Lugli ha scritto un libro sul caso, e che all'epoca era funzionario della squadra mobile di Roma che si occupò dell'omicidio. Ora è vincolato al segreto istruttorio, non può sbilanciarsi molto, ma ci dice che lui ha "in mente un nome ma non posso farlo" per evidenti ragioni. Comunque "il profilo dell'assassino è sicuramente di qualcuno che ha tentato un approccio sessuale. Al rifiuto della vittima è scattata la molla della furia violenta. Simonetta dopo un primo momento di irrigidimento ha tentato di tranquillizzarlo, persino slacciandosi le scarpe lentamente, sperando che arrivasse qualcuno ad aiutarla. Abbiamo pensato fin da subito che si trattasse di un personaggio che ha un rapporto difficile con le donne". Certamente il profilo del killer è di un "territoriale" che va cercato "in una lista di massimo 15 persone tra colleghi e conoscenti di Simonetta". Si è sempre detto che l'arma del delitto sia quella rinvenuta sul tavolino di lavoro della dipendente Maria Luisa Sibilia, rimesso a posto dopo l'omicidio.  L'assassino dunque conosceva l'ufficio. Ma Del Greco ci precisa: "il tagliacarte che sequestrammo era similare a quello utilizzato possibilmente dall'assassino. Ma non è detto che fosse quello della Sibilia". Certamente la scena del crimine è stata ripulita: "c'è stato un tentativo di ripulire l'appartamento perché la quantità di sangue ritrovata è minima rispetto a quella fuoriuscita dopo 29 fendenti. Poi la porta dell'ufficio è stata chiusa con quattro mandate. Tutto questo è  difficile che l'abbia potuto fare un assassino che aveva perso la testa. Sicuramente avrà avuto l'appoggio di un'altra persona". E quella persona si è sempre pensato potesse essere il portiere Peppino Vanacore. Ma di certezze adesso ce ne sono poche. Diversi indagati, nessun colpevole. Agli investigatori sono state rivolte diverse accuse per aver mal gestito le indagini: "Quando io arrivai - si difende Del Greco-  sulla scena del crimine, essa era stata già inquinata da diverse persone. Le tecnologie degli anni '90 erano preistoria rispetto a quelle di adesso. Non avevamo testimoni, persino la famiglia non conosceva il luogo di lavoro di Simonetta. Abbiamo fatto il massimo. L'unico errore forse che abbiamo commesso è aver pensato all'inizio che Vanacore potesse essere l'esecutore dell'efferrato omocidio. Invece poi abbiamo capito che era un fiancheggiatore. Ci ha mentito, ci ha depistato, ha indicato testi inaffidabili, designandoci persino un probabile colpevole che, se non fosse stato in vacanza con altre persone al momento del delitto, avrebbe rischiato l'ergastolo". E ora che succede?  "Questa nuova testimonianza, che io ritengo affidabile, potrebbe calare l'asso di cuori. Essa rafforza quella che era l'ipotesi investigativa di allora, ossia che Vanacore era un personaggio chiave della vicenda. Era stato chiamato a testimoniare nel processo a carico di Busco perchè doveva dar conto di due telefonate partite dalla sede dell'Aiag dopo il delitto (sulla scrivania di Simonetta fu trovata l'agendina rossa del Vanacore, ndr)" e indirizzate probabilmente a due persone poi sentite in dibattimento. Ma perché Vanacore si è suicidato? "Doveva portare con sé la verità", conclude Del Greco. Riusciremo finalmente a conoscere questa verità? Questa volta non si può sbagliare. La famiglia in primis attende una risposta. 

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