Manconi: i nostri venti anni di battaglie civili

 di Valentina Stella Left 25 marzo 2022

Nell'ottobre 2001 nasceva A Buon Diritto onlus, che si (pre) occupa di garantire e tutelare i diritti civili, sociali e politici e le libertà fondamentali della persona. Ricordiamo tutti le battaglie contro gli abusi a opera delle forze di polizia e degli operatori pubblici in occasione di operazioni di fermo, arresto e trattamento sanitario obbligatorio. Solo per fare alcuni nomi, l'associazione è stata accanto alle famiglie di Stefano Cucchi, Federico Aldrovandi, Riccardo Magherini, Giuseppe Uva, Michele Ferrulli, Dino Budroni e altri.  A vent'anni e qualche mese da quella data il fondatore e presidente Luigi Manconi, sociologo dei fenomeni politici, già presidente della Commissione Diritti Umani del Senato, ha deciso di celebrare il traguardo con un evento al Maxxi, insieme a Alessandro Bergonzoni, Ascanio Celestini, Valentina Carnelutti, Caterina Corbi, Valerio Mastrandrea, Andrea Satta, David Riondino, Ilaria Cucchi, Mimmo Lucano, Sergio Staino e molti altri.

Luigi Manconi, come e perché nasce A Buon Diritto?

Nel 2001 si è conclusa la mia prima esperienza parlamentare, iniziata nel 1994. Ero stato senatore indipendente tra i Verdi e in maniera imprevedibile ne ero stato eletto portavoce nazionale. Dopo la sconfitta alle Europee nel 1999, mi dimisi da portavoce, ma rimasi nel partito ecologista fino al termine della legislatura. Allora cominciai a pensare che le tematiche alle quali mi dedicavo dovessero ritrovarsi in un contenitore grande, all'interno di una dimensione ampia dell’organizzazione politica. Non avendo, tuttavia, un partito di massa cui far riferimento decisi che quelle questioni avrebbero potuto rappresentare il programma di una associazione. All'inizio pensavo che il nome potesse essere 'Battaglie perse' ma giustamente mi fecero notare che era una formula troppo snob e autoironica e non adeguata a un'associazione che voleva perseguire obiettivi e ottenere risultati. E allora la chiamammo A Buon Diritto - Associazione per le libertà, promossa insieme a un gruppo di persone tra le quali Laura Balbo, Luigi Ciotti, Giovanni Conso, Antonio Martino, Eligio Resta e Umberto Veronesi.

La declinazione al plurale rappresenta(va) i vari ambiti di intervento dell'Associazione, immagino.

Esatto. Abbiamo iniziato a operare in quegli ambiti in cui i diritti vengono o non riconosciuti o non applicati. Partivamo da un assunto politico-teorico al quale sono rimasto sempre fedele: l'idea che una delle tragedie della sinistra sia stata, in particolare nell'ultimo mezzo secolo, la contrapposizione tra diritti sociali e diritti individuali. Tale contrapposizione ha una origine storica che ben si comprende. La sinistra, il Movimento operaio, le forze del progresso nascono in una situazione dove tutti i bisogni primari erano ancora da soddisfare per le grandi masse: lavoro, abitazione, istruzione. Dunque l'attenzione si concentrava sui diritti sociali, quelli collettivi. Ma già cinquant'anni fa, ossia negli anni '70, che vengono diffamati con il nome di Anni di piombo ma che sono infinitamente più complessi e ricchi, quella contrapposizione non aveva più ragion d'essere.

Gli anni '70 sono quelli delle grandi riforme.

Sono gli anni del divorzio, dell'aborto, del diritto di famiglia, del voto ai diciottenni, dell'obiezione di coscienza, dell'abolizione dei manicomi, dello Statuto dei lavoratori. Garanzie individuali e collettive vennero dunque conseguite nello stesso decennio e attraverso una mobilitazione comune che vedeva le stesse persone battersi per gli uni e per gli altri diritti.

Nel frattempo, cosa è cambiato?

Quella contrapposizione viene riproposta ancora oggi. Si insiste su una polemica per me incomprensibile, in cui la sinistra viene accusata di perseguire i diritti individuali a scapito di quelli sociali. Ma non è certo a causa di una eccessiva concentrazione sui diritti individuali che oggi i diritti sociali attraversano una fase tanto critica.

Tornando al cuore della vostra attività, qual è lo stato di salute dei diritti nel nostro Paese?

Da anni presentiamo il Rapporto sullo stato dei diritti in Italia che considera tutti i diversi campi di applicazione o non applicazione dei diritti: dall'abitare alla tutela dei dati sensibili, dai minori alla salute mentale e, poi, autodeterminazione femminile, carcere, migrazione e inclusione, LGBTQI+, persone con disabilità, Rom e Sinti, ambiente, lavoro, istruzione, libertà terapeutica, profughi e richiedenti asilo, pluralismo religioso, libertà di espressione. Un Rapporto fatto di saggi, timeline, grafici e storie. Si tratta di un progetto unico perché nel nostro Paese abbiamo molte analisi dei vari settori, ma non un monitoraggio complessivo di tutte le famiglie di diritti. Tornando alla sua domanda, devo dirle che lo stato dei diritti in Italia è molto deficitario. Negli ultimi anni abbiamo recuperato appena un po' del tempo perduto.

Ci faccia qualche esempio.

Ricordo che nel 2017 sono state approvate dal Parlamento due riforme importanti: una che ha introdotto finalmente il reato di tortura nel nostro ordinamento giuridico, ben 28 anni dopo la ratifica da parte dell'Italia della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura. La legge porta il mio nome ma non la riconosco come mia perché la proposta originaria da me presentata prevedeva la tortura come reato proprio, in quanto sia la Convenzione dell’ONU che le normative di altri Paesi democratici qualificano la tortura come reato che discende dall'abuso di potere. Invece è stato approvato un testo, a mio avviso debole, dove la tortura viene qualificata come violenza all’interno delle relazioni tra i cittadini mentre avrebbe dovuto trovare applicazione a quei trattamenti inumani e degradanti quando effettuati da pubblici ufficiali. Nonostante questo, è stato comunque un passo avanti e già ci sono state alcune condanne di poliziotti peninteziari per la fattispecie penale di tortura. Nello stesso anno è stato poi approvato il provvedimento sulle dichiarazioni anticipate di trattamento.

Una battaglia condotta insieme all'Associazione Luca Coscioni.

Sì, insieme, intorno al 2005, abbiamo diffuso un facsimile di modulo in cui poter indicare le proprie volontà anticipate relativamente alle problematiche della malattia e del dolore, dell’accanimento terapeutico e della sospensione delle cure: migliaia e migliaia di “testamenti biologici” sottoscritti da cittadini e consegnati alle più alte cariche istituzionali. Ma io avevo presentato sul tema un disegno di legge già nel 1995 e solo nel 2017 è stata approvata una normativa in materia. Si tratta di un approdo importante perché ha permesso di fare dei passi avanti notevoli su punti controversi come la possibilità di sospendere idratazione e nutrizione artificiali e come l’accesso alla sedazione profonda. Mentre, come tutti sappiamo, la proposta di legge di iniziativa popolare sull'eutanasia non è stata mai discussa. Adesso si dibatte di una legge sull'aiuto al suicidio che è più restrittiva della sentenza della Corte Costituzionale sul caso Dj Fabo. Su questo tema sono affezionato a un ricordo. Durante i funerali di Piergiorgio Welby, davanti alle porte chiuse della chiesa di San Giovanni Bosco, Marco Pannella mi presentò Mina, che mi raccontò come suo marito Piero, negli ultimi tempi, consultasse assiduamente il nostro sito per trovare informazioni e riflessioni. Comunque, su tali temi, il ritardo è grande, le resistenze sono tantissime, le carenze enormi. Si tenga conto che la legge sulla cittadinanza, quindi una questione fondamentale in tema di diritti collettivi, è ancora quella del 1992. Ma in quell'anno gli stranieri in Italia erano meno di 400 mila, oggi  invece i soli regolari sono più di 5 milioni.

E invece le nostre carceri come stanno?

Noi ci impegniamo anche per le più piccole riforme del sistema penitenziario, perché nell’inferno delle carceri anche il cambiamento più modesto è prezioso. Pensi che insieme all'avvocata Maria Brucale abbiamo elaborato il "paradigma-bidet". Come è possibile che, nell'anno di grazia 2022, nemmeno nelle sezioni femminili delle prigioni italiane vi sia quell'indispensabile apparecchio igienico? Se volessimo immaginare, noi liberi, che cosa sia davvero la reclusione, per bruttura e ignominia, pensiamo a una intera vita "senza bidet" all’interno di un ambiente malsano e patogeno come è la galera. Purtroppo in una buona parte delle celle il cesso è ancora "alla turca" e, in genere, esposto alla vista. Siamo comunque sempre più convinti che il carcere vada abolito. A proposito di questo,  il 22 maggio saremo in libreria con una nuova edizione di 'Abolire il carcere', scritto con  Stefano Anastasia, Federica Resta e la Direttrice di A Buon Diritto, Valentina Calderone. A proposito di Valentina, devo dire che tutto quello che ha fatto A Buon Diritto non sarebbe stato possibile senza di lei. Valentina è giovane ma lavora con me da più di quindici anni, mentre io ne combinavo in giro di tutti i colori (dal Senato fino all’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali), lei tenacemente e pazientemente ha guidato con grande intelligenza l’Onlus, tra mille difficoltà, fino a oggi.

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