Intervista a Stefano Ceccanti

 di Valentina Stella Il Dubbio 7 febbraio 2022


La rielezione di Sergio Mattarella a Capo dello Stato ha rimesso sul tavolo di discussione l'elezione diretta del Presidente della Repubblica. Ne parliamo con il prof. on. Stefano Ceccanti, costituzionalista e capogruppo del Partito Democratico nella Commissione Affari Costituzionali.

Una lettura di quanto accaduto in questi giorni descrive un Presidente della Repubblica votato con giochi di palazzo e spartizioni di prebende. Da qui la richiesta di una riforma istituzionale. Lei è d'accordo?

Non sono d’accordo con questa ricostruzione: c’è stato un movimento spontaneo e trasversale di parlamentari che, seguiti ad un certo punto dai leader politici (alcuni prima, altri dopo) ha determinato la rielezione. In ogni caso se si vuole passare all’elezione diretta l’argomento non può essere questo: altrimenti, se diffidiamo delle mediazioni, dovremmo sopprimere qualsiasi elezione parlamentare (giudici costituzionali, componenti autorità garanti) ed eleggere tutti direttamente. L’unico argomento sensato può essere il seguente: se si dispera della possibilità di far funzionare bene il rapporto tra partiti della maggioranza e Governo, e se si è quindi costretti a spostare poteri significativi in modo pieno sul Presidente (ad esempio far nascere i Governi), allora abbiamo bisogno dell’elezione diretta. Il metodo di elezione è legato ai poteri, come ha spiegato puntualmente il Presidente della Corte Costituzionale Amato nella sua conferenza stampa di presentazione. Quindi in sintesi: parlo a titolo personale, non ho pregiudiziali contrarie, non è la mia prima scelta, ma se si vuole andare lì dobbiamo sapere che si tratta di un intervento di sistema, non di introdurre l’elezione diretta in un sistema immutato.

Lei crede sia possibile mettere mano alla Costituzione? Chi ha provato a farlo si è bruciato.

Penso che  in questa legislatura ci sia obiettivamente ormai poco margine.  Come ha detto il presidente della Corte Costituzionale Amato, riforme come l'elezione diretta del Presidente della Repubblica non si possono introdurre come un ingranaggio  in un altro orologio. Le rotelle di un orologio sono tutte collegate fra di loro ed esso funziona solo se gli ingranaggi si incastrano uno nell'altro. Detto questo, se ne può parlare laicamente pro futuro. Tuttavia, se veramente si vuole fare un intervento importante sulla forma di Governo, bisognerebbe spostare alcune funzioni sul Parlamento in seduta comune: fiducia e sfiducia, bilancio, decreti. Con la riduzione a 600 parlamentari, sarebbe un nuovo ingranaggio giusto, coerente con l'orologio. 

Ma verso quale direzione si potrebbe andare? Quella del sistema francese?

Se si decide di andare in quella direzione, che non è affatto obbligata, l’unico modello sensato è quello francese. Il sistema americano di separazione delle istituzioni porta alla paralisi e infatti non è stato importato in nessuna democrazia europea. La Francia è l’unico caso comparabile per dimensioni di scala. Ovviamente si tratta del modello francese come è stato coerentemente perfezionato con le riforme del 2000: mandato di cinque anni di un Presidente, elezioni poche settimane dopo di un Parlamento con un sistema elettorale maggioritario analogo che consenta agli elettori di dare razionalmente una maggioranza al Presidente eletto.

Se non erro, dal 2018 a oggi sono state presentate in Parlamento almeno tre proposte di riforma costituzionale per introdurre l’elezione diretta del presidente della Repubblica: due da parte del Partito democratico e una da parte di Fratelli d’Italia. Quali le differenze?

La proposta a mia prima firma è basata sul sistema francese: introduce il quinquennato e fissa un calendario elettorale in cui nel nuovo sistema le elezioni parlamentari sono fissate quattro settimane dopo le presidenziali. La proposta Cerno ricalca anch’essa il sistema francese e ha il merito di chiarire bene quali poteri siano presidenziali, escludendoli dal vincolo della controfirma ministeriale. Non si possono lasciare ambiguità. Possiamo dire che siano complementari. Quella Meloni è molto strana perché inserisce due principi opposti: l’elezione popolare di un Presidente con poteri di Governo (anche se mantiene il mandato settennale poco congruente con essi) e la sfiducia costruttiva con la quale il Parlamento può imporre senza condizioni un Governo di colore opposto o comunque diverso.

C'è chi pone questa dicotomia: i presidenzialisti sono contrari alla democrazia parlamentare. Visione troppo semplicistica della questione?

Non c'entra niente. Il punto è questo: è meno sconvolgente muoversi per perfezionare la democrazia parlamentare, in modo da avere anche grazie ad alcune regole rinnovate un legame stretto maggioranza e Governi di legislatura. Se però non ci riusciamo, se il pilastro parlamentare non funziona per poggiarvi Governi forti e durevoli, si finisce per spostarsi sul pilastro presidenziale e da lì prima o poi si impone l’elezione diretta. Chi non vuole il semi-presidenzialismo, invece che inveire contro di esso, dovrebbe impegnarsi per rimuovere le cause rafforzando il governo parlamentare

 Sabino Cassese da La7, rispondendo alla domanda della conduttrice, ha sostenuto che sarebbe giusto porsi il problema "molto serio" che, se si vuole parlare di elezione diretta del presidente della Repubblica, occorrerebbe una certa  maturità politica dell'elettorato. Che ne pensa? Dovrebbe però valere per qualsiasi tipo di elezione?

A mio avviso in generale l’argomento prova troppo. Però ha una parte di verità: non si tratta di congegnare un sistema per eleggere solo una persona, ma per collegare una persona ed un programma, cosa che il sistema francese fa con due elezioni ravvicinate e con le parlamentari viste come una conseguenza delle presidenziali.

Giovanni Guzzetta dalla pagine del Riformista ha ricordato la proposta di Egidio Tosato: dopo le prime tre votazioni del Parlamento, in caso di insuccesso, la parola passa ai cittadini e il Presidente viene eletto direttamente dal popolo. Che ne pensa?

Penso che non abbia molto senso. Se il problema è di non andare all’infinito basta ad esempio stabilire che al quarto scrutinio si faccia un ballottaggio tra i primi due classificati del terzo, come si fa per il Presidente del Senato. L’elezione diretta è legata ai poteri, non alle disfunzionalità dell’elezione indiretta.  In ogni caso favorirebbe manovra volte a impedire l'elezione parlamentare da parte di potenziali candidati e gruppi persuasi che l'elezione diretta conviene loro. Costoro per definizione scatenerebbero la più sfrenata demagogia e si finirebbe per avere tutte e solo elezioni dirette con una gran perdita di tempo

 Qualche anno fa è uscito un libro molto interessante di Jason Brennan "Contro la democrazia" (Luiss University Press): "il regime che dovrebbe garantire a tutti i cittadini il diritto di essere guidati da leader competenti e capaci di prendere decisioni ponderate, somiglia troppo spesso al regno dell’irrazionalità e dell’ignoranza: molti elettori compiono le loro scelte sulla base dell’emozione o del pregiudizio, non conoscendo neanche, in numerosi casi documentati, la forma di governo vigente o addirittura i nomi dei leader in carica". L'alternativa? La proposta di Brennan è di sperimentare una forma di governo “epistocratica” che sia compatibile con parlamenti, elezioni e libertà di parola, ma distribuisca il potere politico in proporzione a conoscenza e competenza. Ipotesi irricevibile o se ne può discutere?

In realtà le nostre democrazie hanno già incorporato questo principio e la sua parte di verità, il dovere di proteggersi da spinte irrazionali, di avere un correttivo aristocratico: si tratta delle Corti costituzionali con modalità di nomina indipendenti dalle maggioranze pro tempore. Abbiamo già provveduto.



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