Intervista a Enza Bruno Bossio

 di Valentina Stella Il Dubbio 1 marzo 2022

 

Ieri nell'Aula della Camera è iniziata la discussione sull'ergastolo ostativo. Entro maggio, come richiesto dalla Consulta, il Parlamento deve varare una legge. Per il Pd sono intervenuti Walter Verini e Enza Bruno Bossio, la quale in questa intervista sintetizza i punti chiavi del suo discorso.

 Con il testo in discussione si risponde alla linea dettata dalla Corte Costituzionale?

Purtroppo no, né nei principi ispiratori, né nella pratica. Esso si presenta come testo base che unifica diverse proposte di legge, tra cui la 1951 a mia prima firma, che evidentemente, perché troppo in linea con il mandato della Consulta, come rilevato anche dal Presidente dell'Anm Giuseppe Santalucia, non trova nel testo unificato alcun minimo riscontro. Di contro il testo trova specifico fondamento nelle relazioni alle  proposte Ferraresi del M5S e Paolini della Lega,  che coincidono nei fatti con il testo base.

 E secondo Lei non rispettano la strada indicata dalla Consulta?

No, affatto. Ferraresi indica le decisioni della Corte costituzionale come un "colpo mortale all’ergastolo ostativo", a cui la sua proposta di legge mira a porre rimedio.   Paolini invece afferma che allentare le maglie del 4 bis, per come la Corte indica, significherebbe "perdere una delle poche ed efficaci armi che lo Stato ha contro organizzazioni criminali".

Quindi chi è con la Consulta fa il gioco della Mafia?

Secondo queste tesi dovremmo restare in quella logica di tipo militare, che tante distorsioni ha creato al nostro Stato di diritto,  “la logica del nemico catturato e condannato che poteva liberarsi dalla prigionia solo passando nelle file di un avversario altrettanto armato che lo aveva fatto prigioniero”, logica giustamente contestata dall’ex presidente della Corte Costituzionale Valerio Onida nella sua prefazione al libro “Contro gli ergastoli”. Ma lo Stato non è un avversario armato e non può conformarsi a questo tipo di logica opposta al diritto costituzionale. Lo Stato ha il dovere di rispondere al delitto con il diritto e non certo aggiungendo un’altra dose di delitto.

 Cos'è nello specifico che non va nel testo?

La norma trascura l’insegnamento della Corte costituzionale che reputa legittimo distinguere tra chi rimane silente per sua scelta, potendo oggettivamente collaborare, e chi, invece, rimane silente suo malgrado, volendo soggettivamente collaborare ma non potendo oggettivamente. Inoltre, la ridefinizione del comma 1 bis fa scomparire la collaborazione impossibile o inesigibile, che la Corte Costituzionale ha invece nuovamente ritenuto essenziale con la sent. 20/2022.  È prevista una competenza collegiale anche in caso di permessi, fortemente critica per la tenuta del sistema. Infine il divieto di scioglimento del cumulo, che colpisce anche reati che non hanno a che fare con mafia e terrorismo.

Se dovesse passare questo testo che scenario si aprirebbe?

Quello delineato nei pm in audizione che hanno chiesto al Parlamento di non arretrare di un centimetro rispetto al rigore della norma vigente, se non si vuole offrire alla mafia "un trampolino di lancio". Dunque, secondo questi unici depositari della lotta contro la mafia, come giustamente afferma Alessandro Barbano, "il condannato non deve aver nessuna chance di superare il muro di divieti che la legge gli alza di fronte".  A nulla servirà la sua buona condotta, perché per definizione assoluta i pm auditi affermano che "il mafioso è obbligato dal suo giuramento a non dare fastidio in carcere". A nulla varrà un percorso rieducativo, perché, sempre per questi pm, "il mafioso è abilissimo nel fingere una redenzione". Quanto alla dimostrazione di non essere più mafioso, si tratta appunto di una probatio diabolica, poiché "la mafia non muore mai".

 Lei sembra sola, e soprattutto a sinistra, a combattere per far prevalere i dettami della Consulta.

Mi fa piacere ricordare che a sottoscrivere i miei emendamenti ci sono i colleghi Pini, Raciti, Magi. E Lucia Annibali in Commissione ha fatto una battaglia importante.  Qualche giorno fa un collega,  in considerazione della mia ostinazione ad affrontare il tema dell’ergastolo ostativo, più universalmente conosciuto come fine pena mai, mi ha risposto: io non so cos’è l’ergastolo ostativo e non voglio saperlo mai. Io ho replicato, conoscendo tra l’altro le sue qualità umane e politiche, nonché il suo rigore istituzionale: sbagli.  Perchè tutti i parlamentari, soprattutto di sinistra,  dovrebbero essere sensibili alle questioni che riguardano le violazioni dei diritti costituzionali, in questo caso  l'art.  27 comma 3 della Costituzione, e la violazione del principio di umanità della pena, ex art. 3 della CEDU. Ovviamente spetterà alla Corte verificare ex post la conformità a Costituzione delle decisioni che verranno effettivamente assunte in Aula. 

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